"Palermo è una città |che vuole risorgere" - Live Sicilia

“Palermo è una città |che vuole risorgere”

"Stasera Rosalia si fa voce di questa citta' che desidera risorgere". Lo ha detto nella sua omelia l'arcivescovo di Palermo, cardinale Paolo Romeo, a Piazza Marina al termine della processione dell'urna di Santa Rosalia, patrona della città. Per intero, ecco il suo discorso.

PIAZZA MARINA
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9 min di lettura

Questa tradizionale processione dell’Urna argentea delle reliquie di Santa Rosalia tutti ci coinvolge in una corale attestazione della nostra fede in Dio, fonte di ogni santità, e della nostra devozione nei confronti della vergine eremita palermitana, nostra Patrona. È un evento in cui si rinnova l’incontro della Santuzza con la sua Palermo, che rende vivo ed attuale quel primo passaggio sul Cassaro delle reliquie ritrovate sul Monte Pellegrino, e che ripropone l’inizio della prodigiosa liberazione della Città dalla terribile pestilenza del 1624. I palermitani ricordano quella straordinaria intercessione. Che avvenne in un momento storico in cui nessun mezzo o intervento umano avrebbe potuto arrestare il contagio e la morte. Allora non restava che affidarsi all’azione miracolosa dell’eremita vissuta cinque secoli addietro e poi dimenticata nel tempo. E Rosalia fu da allora riconosciuta come liberatrice.

Anche oggi – non possiamo tacerlo – la nostra Città è ancora attanagliata da un male diversificato in mille e mille forme pestilenziali! Ciò che viene partorito dall’azione di singoli fa presto a coalizzarsi in gruppi, fazioni, come pure a contagiare cultura, modo di pensare, atteggiamenti del vissuto quotidiano e persino la nostra religiosità. La radice dell’egoismo, della sopraffazione, del profitto, dell’ingiustizia, come pure tutte quelle scelte marchiate di violenza e di morte, a tutti i livelli, trovano diffusione nel terreno del cuore dell’uomo, segnato dalla ferita del peccato e dalle sue conseguenze. Oggi, come nel lontano Seicento, Palermo deve comprendere che non può farcela con la fragilità dei soli mezzi umani! Che deve chiedere un aiuto dall’alto! Che ha bisogno dell’azione misericordiosa di Dio e della potente intercessione di Santa Rosalia! Per questo, la solenne processione delle reliquie, ci ricorda anche che Palermo crede e spera nin quel Dio che può salvarla dai lacci del peccato e della morte!

Ma c’è un rischio nella nostra devozione, e cioè quello di invocare aiuto e protezione dall’alto in modo miracolistico, delegando a Dio soltanto, e all’intercessione della Santuzza, ogni passo in avanti verso il riscatto, verso la libertà, verso migliori orizzonti di bene e di progresso. Tante volte ho avuto modo di ribadire che Rosalia non è un talismano! E che la fede non è un tranquillante per le coscienze! Quello che abbiamo vissuto in questi giorni di Festino, ciò che si è svolto questa sera, e comunque tutto ciò che ereditiamo dalla fede trasmessaci dai nostri padri, non serve a convincerci di essere a posto con noi stessi. Anche il quietismo è pestilenziale se continuiamo a credere che sia Dio il delegato a risolvere i nostri problemi, e che a noi non è affidata nessuna parte da compiere. No! Non è così! Abbiamo due modi di vivere la devozione alla Santuzza.

Potremmo vivere questi momenti di religiosità pubblica con il fardello nascosto di un immobilismo rassegnato che attende che le soluzioni vengano sempre dall’esterno…Oppure anche questa processione può interpellare la nostra umanità, risvegliare la nostra fame e sete di giustizia, farci progredire sulla via dell’autentica libertà, educarci a vivere una carità sempre più alta.

Invochiamo il Signore! Invochiamo l’intercessione di Rosalia! Ma imploriamo l’intervento dall’alto – la grazia appunto – sul nostro cuore, che è ciò che davvero può e deve cambiare prima di ogni altra cosa. È nel cuore che nascono le nostre scelte, le determinazioni piccole e grandi che orientano la nostra quotidianità. L’affermazione del bene, della verità, della giustizia, della legalità, della libertà e della carità, ha sempre origine dall’interiorità dei singoli, che hanno la capacità di reagire ai contagi pestilenziali del male. Abbiamo bisogno dell’azione di Dio che, con la sua grazia e con la sua amicizia, con la luce dello Spirito Santo, venga a dirigere i nostri passi, venga a corroborare le nostre scelte, venga a risanare l’uomo nel cuore, rafforzandolo nella novità di vita evangelica.

In un celebre dipinto ad olio su tela, conservato presso il nostro Museo Diocesano, che proprio ieri ha celebrato i suoi 85 anni di attività, è raffigurata Santa Rosalia che intercede per la Città. Lo sguardo della vergine eremita è rivolto alla Trinità assisa nei cieli, mentre le palme delle sue mani indicano Palermo e la mostrano a Dio stanca, appestata, sconfitta. Rosalia si fa voce di questa Città in cui il disagio non ha più voce, non è più ascoltato e interpretato, piuttosto è spesso strumentalizzato. Rosalia interpreta, dinanzi a Dio, una voce che è spesso soffocata nella rassegnazione, o che si esprime con la rabbia, che è gridata nelle strade e nelle piazze, ma anche – purtroppo – nelle relazioni quotidiane.

Questa Città ha bisogno di una maggiore serenità, ha bisogno di ritrovarsi, di riascoltare se stessa e le proprie esigenze, di comprendere le sue lentezze e di lottare le sue inerzie. Non le servono polemiche o perdite di tempo in questioni oziose: le servono battaglie quotidiane, ordinarie, condotte fino in fondo.

Stasera Rosalia si fa voce di questa Città che desidera risorgere.

Tuttavia, in quello stesso dipinto dell’intercessione di Santa Rosalia a favore della Città mi piace leggere anche un’interpretazione simmetrica: con gli occhi rivolti a Dio e le mani rivolte alla Città, è Rosalia ad indicare e mostrare il volto della Trinità ad una Palermo stanca e delusa, attanagliata dai suoi mali pestilenziali, quasi a voler indicare che dall’azione di Dio bisogna ripartire, nella sua presenza bisogna scommettere, con il suo amore misericordioso è possibile camminare. In un tempo di crisi come quello che stiamo vivendo scorgiamo pestilenze materiali e morali, antiche e nuove, personali e comunitarie, diffuse o emergenti. Intravediamo un futuro segnato sempre più dalle nubi dell’incertezza, perché sperimentiamo il presente di una crisi che marchia l’uomo con tratti devastanti e disumanizzanti, una crisi che non è soltanto economica, ma anche e soprattutto umana, culturale, sociale, religiosa.

Rosalia mostra a questa Città, a noi tutti, il volto di Dio, e sembra dirci che senza Dio tutto si risolve nell’avvilimento e nella distruzione dell’uomo. Invece con il Dio di Gesù Cristo messo al primo posto si può davvero ripartire con autentici percorsi di costruzione e ricostruzione dell’uomo dalle sue fondamenta, nella sua originaria immagine e somiglianza con il Creatore, nel suo bisogno di amare e di essere amato, nel suo desiderio di bene e di felicità.

Carissima ed amata Palermo! Nel solco dell’unica santità che ha da sempre attraversato e che continua ad attraversare la nostra Chiesa, e in un appuntamento che vede convergere così tanta gente, non posso non ricordare che nei giorni scorsi il Santo Padre ha autorizzato la pubblicazione del decreto sul martirio di don Pino Puglisi, sacerdote del presbiterio di Palermo ucciso dalla mafia “in odio alla fede” il 15 settembre 1993. Nella sua vita sacerdotale, culminata nel martirio, don Pino ha saputo sempre ascoltare in profondità i bisogni del territorio, facendosi voce dei piccoli, dei più deboli, soprattutto dei bambini e dei giovani.

Da autentico sacerdote al servizio dell’uomo e fedele al Vangelo che quest’uomo può davvero cambiarlo, ha letto profeticamente le condizioni della quotidianità che i suoi fedeli si trovavano a vivere. E di fronte alle forme pestilenziali che andava incontrando – comprese le ataviche cancrene mafiose e criminali che distruggono la dignità e la libertà dell’uomo – non si è affidato a miracolismi esteriori, non ha delegato a nessuno il bene da compiersi, pur richiedendo con insistenza che le Istituzioni facessero la loro parte nel territorio.

Sapeva che per operare meraviglie, il Signore aveva bisogno della sua risposta e della risposta di quanti egli sarebbe riuscito a coinvolgere nei suoi progetti al servizio dell’uomo. In lui si è celebrato un perfetto equilibrio: da una parte un’opera di evangelizzazione, in cui don Pino mostrava agli uomini che solo il Vangelo poteva liberarli in modo profondo e definitivo; dall’altra un costante impegno di promozione umana, nella quale ad ognuno era affidata la responsabilità di crescere e far crescere. Non ha pensato di risolvere tutto, don Pino. Sapeva bene delle difficoltà che sempre si incontrano e che sono connesse all’inerzia del cuore dell’uomo.

È emblematico che nel febbraio del 1993, ad un gruppo di universitari della FUCI, riuniti nel Centro di accoglienza Padre nostro, don Pino diceva: “Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. È soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”

Don Pino fuggiva dall’illusione di trasformare automaticamente e quasi “magicamente” la realtà. Non perché il male fosse inattacabile, no! Ma perché costruire il bene è impegnativo, e fa appello alla responsabilità di tutti, al modo in cui ciascuno crede nella possibilità di cambiare. Il bene non è delegabile a niente e a nessuno: la trasformazione della nostra società è affidata alle scelte di tutti, non alle iniziative di pochi. Se i germi di bene rimangono isolati rischiano di perdersi in contesti ancora malsani. Inoltre, all’appello alla responsabilità personale “se ognuno fa qualche cosa” aggiungeva realisticamente: “allora possiamo fare molto”. Molto, non tutto.

Un “molto” compiuto però insieme, che sprona ad andare avanti senza adagiarsi, perché “molto” ancora resta sempre da fare. Un “molto” che dice la necessità di perseverare nel bene, nell’annuncio e nella testimonianza di Cristo nel territorio, in mezzo alla gente, soprattutto fra i più deboli. Facile lamentarsi, difficile e più impegnativo fare la propria parte, lasciarsi scomodare da un Dio che la richiede ed anzi, per salvare l’uomo, scommette proprio sull’uomo. Ecco il vero miracolo…

Amatissima Città di Palermo! Lanciamo accorata la nostra preghiera a Dio chiedendo l’intercessione della nostra Patrona Rosalia, e quella del Servo di Dio don Pino Puglisi, che mentre presentano a Dio l’intera nostra Città, alla stessa Palermo indicano il suo vero volto di salvezza. Presentiamogli le nostre situazioni dolorose, le pesantezze della nostra convivenza, gli stalli amministrativi, le carenze istituzionali, la spaventosa disoccupazione, il disagio giovanile, il dissesto delle famiglie, le strade mortifere dell’alcool e della droga, le perversioni della mentalità materialista ed edonista. Preghiamo perché Palermo riscopra ogni giorno il suo vero volto, recuperi la sua storia più nobile, guardi con speranza al futuro da costruire.

Questa nostra preghiera sia sostenuta dagli impegni che, a tutti i livelli, desideriamo assumere, nei nostri contesti, nell’ambito delle sfide da realizzare. Sia una preghiera che, oltre che di fede, si alimenti di un rinnovamento interiore autentico e solido. E allora sarà più credibile il grido che tutti ci unisce nel dare onore alla nostra Città e alla sua Patrona, un grido che è preghiera e che è coraggioso sprone di speranza per il futuro, un grido che anche stasera, tutti vogliamo far risuonare insieme: Viva Palermo e Santa Rosalia!


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