Una domenica di luglio - Live Sicilia

Una domenica di luglio

In via D'Amelio morì un padre che amava i suoi figli. Ecco il ricordo di un altro padre.

Vent'anni dopo
di
4 min di lettura

Ci alzammo presto tutti e quattro. Preparammo le sacche per la domenica al Circolo. Nella mia: la racchetta da tennis, due magliette, un costume, un paio di ciabatte di plastica. In quella di mia moglie: il costume, il telo, le creme abbronzanti e il latte solare per i bambini. Manu insisteva per portare la sua Barbie preferita e gli occhialini per le immersioni. Anche se non c’è poi tanto da vedere nel fondale di una piscina. Arrivammo al Circolo di buon’ora salutando gli amici e prenotando il tavolo sotto il pergolato per il pranzetto domenicale.

Tornammo a casa dopo le quattro del pomeriggio e, mentre mia moglie stendeva al sole i costumi bagnati, mi stravaccai sul lettone. Il doppio del mattino e la nuotata del primo pomeriggio mi avevano sfinito. Manu si lanciò su di me con un libro in mano: “Papà, leggiamo insieme ?”. Avrei voluto dormire, ma la sua insistenza vinse la mia stanchezza. Si accucciò sulla mia spalla, interrompendomi di tanto in tanto con i suoi soliti perché. D’un tratto, uno strano rumore. Come un tuono in lontananza. Uno spostamento d’aria che fece tremare i vetri delle finestre. Un brivido percorse la mia pelle arrossata dal sole quando Manu, che aveva solo sei anni, sollevò la testa dal mio petto e disse: “Papà, hai sentito ? Forse i mafiosi hanno ucciso un altro giudice buono”.

Mi sconvolse il fatto che la mia bambina, sentendo un rumore lontano, pensasse subito alla guerra che si stava combattendo nella città in cui l’avevo fatta nascere. E condannata a vivere. Ripensai ai racconti di guerra di mia madre, ai bombardamenti, alle corse nei rifugi, a quegli spezzoni incendiari caduti nel palazzo di fronte che per poco non mi avevano reso orfano ancor prima di nascere. “Ma cosa vai a pensare, bimba mia. Non oseranno tanto, quei bastardi. E poi, hai visto quanta gente c’era per le strade a fare la catena umana. E quanti lenzuoli appesi ai balconi. Stai tranquilla, che non è successo niente”.

Squilla il telefono. Riconosco mia madre sin dal primo sospiro. Per chi lavora tutta la settimana come lei, non rimane che il pomeriggio della domenica per far visita alla vecchia mamma. E “loro” lo sanno. La casa di mia nonna è in Via Rutelli. Tra via De Amicis, dove furono uccisi Cesare Terranova e Lenin Mancuso, e Via Libertà, dove fu ucciso Piersanti Mattarella. “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” scriveva Bertold Brecht. Povera la mia Palermo, lastricata dalle lapidi dei suoi martiri. “Che c’è, mamma. La nonna sta male ?”. “C’è stata un’esplosione fortissima qui vicino. Dal balcone si vede una colonna di fumo nero nella zona di Via Autonomia Siciliana. La puzza di bruciato arriva fino a qui”. Odo l’urlo delle sirene in sottofondo. Nella voce di mia madre, l’angoscia di una bimba di tanti anni fa cresciuta nel ricordo di quei boati e di quel puzzo di fumo. “Resta tranquillo a casa tua. Noi stiamo bene. Adesso chiamo papà per dirgli che stasera dormo dalla nonna”. Mia figlia è ancora sul lettone a pancia in giù e protesta perché ho smesso di leggere. Ripenso sgomento al suo presagio. E alle generazioni della mia famiglia accomunate dalla guerra: quella del tempo di guerra e quella del tempo di pace.

Accendo la TV. I sottotitoli cominciano a scorrere sulle scene del solito film melenso di una domenica pomeriggio d’estate, quando non c’è neppure un pallone a tenermi compagnia. Ciò che tutti gli onesti temono da circa due mesi accade davvero. E’ Paolo con i suoi cinque angeli custodi. Mia figlia, che sa leggere appena, piange in piedi davanti alla TV. La Barbie a testa in giù, stretta nelle piccole mani. “Papà, ma allora non è servito a niente tenerci per mano con gli altri bambini. E perchè quelli non hanno ascoltato il Cardinale e quella signora giovane che piangeva ?”. “Non piangere, bimba mia”. Come può darmi retta, vedendo le lacrime che scendono silenziose sul mio viso ? Nella mente, i miei pensieri di padre angosciato: “Che brutto posto in cui far crescere un figlio. Un luogo in cui, sentendo un botto in lontananza, una bimba di sei anni pensa a un massacro e non a una festa”.

Scorrono le prime immagini in TV. Vedo quel fumo, i palazzi sventrati della mia città stuprata, quei lenzuoli per terra a coprire lo scempio dei corpi. Carezzo quella piccola testa capace di pensieri più grandi di lei. Come si cresce in fretta a Palermo ! Ma rifiuto il pensiero che nella città in cui l’innocenza non ha diritto di residenza, la speranza possa perdere il diritto d’asilo. Capisco che non possiamo andar via. Sarebbe come arrendersi, come ucciderli ancora. E come può morire di nuovo Colui che disse: “Chi non ha paura di morire, muore solo una volta” ?

“Usciamo, bimba mia. E’ tanto che non ti porto a mangiare il gelato. Portiamo la Barbie, se vuoi. Ma il libro non lo finiremo stasera. Stasera dobbiamo dire una preghiera. Per i nostri morti, per la nostra terra”.

 


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