Cordaro: "Ecco perché quell'emendamento non poteva essere approvato" - Live Sicilia

Cordaro: “Ecco perché quell’emendamento non poteva essere approvato”

Una norma che arebbe violato i principi della Costituzione. Per questa ragione, secondo Cordaro, la "blocca indagati" non poteva essere approvata dall'Assemblea.

Il deputato del Cantiere popolare
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Toto Cordaro, come gli altri colleghi-deputati del Cantiere popolare si è palesemente opposto all’emendamento di Lillo Speziale al “bloccanomine” che avrebbe impedito la nomina in enti e società di persone rinviate a giudizio per tutta una serie di reati. Cordato scrive a Live Sicilia spiegando le ragioni (giuridiche, oltre che politiche) alla base del “no” del suo partito. Riceviamo e pubblichiamo:

“Sono plurime – spiega Cordaro – le ragioni che mi hanno spinto ad esprimere palesemente, e non attraverso il mezzo legittimo del voto segreto, il dissenso all’emendamento dell’On. Speziale, che voleva precludere la nomina ad assessori, a consulenti ed a cariche di governo e di sottogoverno, a soggetti rinviati a giudizio per una serie di reati gravi (dall’associazione mafiosa, alla corruzione e ad altro).

In primo luogo, va ricordato che ho raccolto una richiesta formulata dalla presidenza dell’Assemblea – e indirizzata al collega Speziale – di ritirare l’emendamento in ragione del fatto che, a detta del Presidente e degli Uffici, vi erano in quell’emendamento numerosi profili di incostituzionalità. In effetti, così come ho fatto rilevare nel mio intervento in Aula, l’emendamento in oggetto violava e viola certamente gli articoli 3 e 27 della Costituzione.

L’art. 3 è, infatti, violato nella misura in cui il divieto di assumere cariche viene previsto esclusivamente nei confronti dei nominati e non anche degli eletti, determinando in fatto e in diritto una inosservanza palese del principio di uguaglianza fra tutti i cittadini dello Stato.

L’art. 27 è violato per il fatto che il principio di non colpevolezza e, dunque, la presunzione di innocenza, che esclude pregiudizi a danno del cittadino fino alla sentenza irrevocabile di condanna, prevede un’unica deroga soltanto per gli eletti, condannati con sentenza di primo grado, nel qual caso scatta la sospensione dal mandato parlamentare, in attesa di una sentenza definitiva.

Far dipendere il divieto di assumere incarichi da un mero rinvio a giudizio costituisce una grave violazione anche sotto il profilo del diritto processuale e del diritto sostanziale. Intanto, l’emendamento in oggetto non rispettava i principi elementari di generalità e di astrattezza che devono sovraintendere a una norma, che deve essere in linea di principio applicabile a tutti.

E ancora, con il rinvio a giudizio, che avviene attraverso un decreto – che dunque è immotivato – il Giudice per le indagini preliminari invita un Tribunale della Repubblica ad un approfondimento delle carte del processo, stabilendo di fatto che non è possibile, ictu oculi, pervenire ad un proscioglimento dell’imputato.

Il rinvio a giudizio costituisce dunque tutto, tranne che un giudizio negativo nei confronti del cittadino, nei cui riguardi il giudice non esercita alcun giudizio di merito, attribuendo ad un Tribunale il compito di decidere attraverso un provvedimento motivato, che si chiama sentenza.

Già per queste ragioni la norma di che trattasi sarebbe stata irricevibile, in quanto, come ho avuto modo di dire, durante la discussione in aula, trattavasi di una norma “ignorante”. Ma l’emendamento in questione è ancora più aberrante se solo si aggiunge che dall’elenco sono assenti alcuni reati gravissimi, come quelli di violenza sessuale e pedofilia, come a voler sostenere che il disvalore oggettivo arrecato alla società da un pedofilo è inferiore rispetto a quello di un mafioso o addirittura è inesistente.

Per non parlare dell’assenza del delitto di abuso di ufficio, che costituisce l’ipotesi di reato più “gettonata” fra quelle attribuite in questi anni alla classe politica. Tutte queste argomentazioni, oltre che dal presidente dell’Assemblea, che aveva posto il tema in principio di discussione, sono state accolte dal Governo, che attraverso l’assessore, on. Spampinato, avvocato, ha invitato a sua volta il presentatore dell’emendamento a ritirarlo, per evitare all’Ars un ulteriore schiaffo da parte del Commissario dello Stato, che certamente avrebbe impugnato la norma in oggetto, per non dire, in questo caso forse in maniera più appropriata, che l’avrebbe cestinata.

La mia condotta di Aula è stata chiara e palese, così come è stato riconosciuto dai colleghi del Pd che hanno attaccato il voto segreto, riconoscendo però all’on. Cordaro l’azione di chi, in maniera trasparente, ha sostenuto un principio.

Questi sono i fatti. Tutto il resto fa parte della polemica politica che comprendo, soprattutto in una campagna elettorale ormai avviata, ma che non può far dimenticare, soprattutto ad uomini delle Istituzioni, per di più nel ruolo di Legislatori, che un conto è formulare una norma, con tutti i crismi fin qui enunciati, un altro conto è seguire gli istinti e le passioni, pur legittime, della piazza. Non sempre le due cose possono coincidere, anzi assai spesso e, certamente in questo caso, divergono.

Si abbia allora il coraggio, come ho ancora sostenuto in Assemblea durante il dibattito, di sedersi attorno a un tavolo, prima delle prossime elezioni e di redigere un codice etico che stabilisca, una volta per tutte, quali sono i requisiti per la candidatura di un cittadino.

Questo è il compito della politica, se vuole riconquistare credibilità tra la gente. Questo è ciò che sono pronto a fare, insieme a chi, lungi da proclami e populismo, ne avrà il coraggio.

Questo e solo questo sul tema in argomento, perché nulla potrà mai farmi deflettere su quelli che sono stati i miei insegnamenti universitari, su quella che è stata ed è la mia esperienza professionale di avvocato, su quelli che sono e saranno i miei principi e le mie convinzioni di uomo”.


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