Il lettore militante - Live Sicilia

Il lettore militante

I giornalisti spesso sono faziosi. Ma c'è un'altra categoria che mette a rischio l'informazione: quella del lettore militante.

La stampa ha colpe infinite, eppure non è facile essere giornalisti nell’era del lettore militante. Non è semplice arrogarsi la libertà di raccontare i fatti ed esprimere un pensiero. Una volta i giornali coltivavano un pubblico che cercava sorprese. Oggi i lettori vogliono conferme. L’informazione non è più un vaso di pandora capace di regalare un racconto sobrio, onesto, o fazioso del mondo. E’ lo specchio che deve rassicurare l’insicurezza personale in un frangente di incertezza complessiva. Un giornale serve per riconoscersi, proprio come in un riflesso. Per guardarci dentro e vedere sempre lo stesso paesaggio.

La parola ha perso il significato di scoperta. Ha acquisito il peso dell’ultimo residuo ostinato di una identità che non ama mettersi in discussione. E vale per tutto. Vale per la carta che si porta a spasso sottobraccio, pur di rivendicare un’appartenenza. Vale per i siti di informazione, che sono interattivi. In teoria potrebbero fungere da Agorà, da scambio sereno di opinioni. Nella prassi, si riducono a feroci campi di battaglia in cui ci si scontra, armati delle proprie consuetudini.

Perché si è arrivati al punto? La colpa iniziale è dei giornalisti che hanno abdicato al ruolo di informatori pensanti per trasformarsi in militanti. L’informatore pensante conserva una struttura autonoma di giudizio. Non è mai del tutto imparziale – ogni singolarità del resto è una scelta – però sa attivare lo strumento della critica. Parte da un’opinione, pronto a cambiarla. E non rinuncia alla saggezza delle cose. Non le interpreta nel verso più consolante. Le narra e le spiega, pure quando lo smentiscono.

Il militante, invece, piega la sostanza alla forma che gli conviene. Il militante che scrive sui giornali di sinistra sa che sarà eternamente colpa di Berlusconi. Il militante che scrive sui giornali di destra non ha rossore nell’affermare che i giudici di Palermo sono i responsabili unici della morte del povero D’Ambrosio. In un Paese normale, un siffatto modo di procedere avrebbe da tempo smesso di inquinare la pacata civiltà degli intelligenti. Purtroppo, a forza di inalare i fumi della distorsione, i lettori hanno mutato pelle. Il giornale non è più la chiave verso l’ignoto che vuole diventare noto. E’ una balia che canta la ninna nanna risaputa, a notte fonda. Serve da postulato, da estrema roccaforte di un cammino.

Ecco perché quando un cronista racconta e valuta seguendo soltanto un filo logico, viene accusato di eresia. E’ una reazione che rammenta la famosa parabola del re pazzo. C’era una volta un re in un regno lontano. Una strega cattiva avvelenò l’acqua del pozzo. I sudditi la bevvero e impazzirono. Poi, accusarono il loro sovrano di improvvisa follia. Al malcapitato non rimase altro rimedio: bevve anche lui l’acqua del pozzo avvelenato. E il popolo si rasserenò. Il re, finalmente, aveva ritrovato la ragione. Sovente, noi viandanti senza scettro nel reame delle notizie ci sentiamo così.


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