Default. Sprechi. Spread. E poi forestali, bilancio, Armao, Lombardo. Come la Grecia. Non siamo la Grecia. La Sicilia è come la Grecia. La Sicilia non ci fa entrare in Europa. Spezzoni di discorsi che si sentono ormai dovunque, su cui è difficile non essere chiamati ad esprimere un’opinione. Difficile chiamarsene fuori: tutti ci sentiamo in qualche modo chiamati in causa. O forse no. Parlare con Manlio Sgalambro, filosofo e paroliere, ma anche scrittore e cantautore, è come uscire dalla corrente, sedersi sulla riva e vedere le cose come da lontano, ma forse più nitidamente.
Sgalambro, che cos’è la misantropia di cui parla nel suo ultimo libro (Della misantropia, Piccola Biblioteca Adelphi, 2012 p. 128)?
“Io ho cercato di mettere in luce il lato misologico della ragione. Non si può amare unilateralmente la ragione: se Platone avesse amato la realtà, non avrebbe cercato le Idee. La ragione detesta le cose, le tortura, le apre. Misantropia – come misologia – significa detestare la realtà, è un momento misologico della ragione, l’esecuzione del conoscere. Se la ragione lascia le cose tali e quali non fa filosofia, ma accademia. La filosofia non è accademia, insegnamento: è testimonianza. Io sono un testimone”.
Nell’età di internet, dei voli low cost, dell’alta velocità, il sentimento dell’insularità esiste ancora? Nel mondo antico isola era spesso sinonimo di fortuna, ricchezza, condizioni di vita speciali: le Isole Fortunate, le Isole dei beati. Oggi che significa essere isolani?
“Per me ha significato il luogo in cui noi trovavamo il nostro stare e divenire, trovavamo il meglio di tutto di questo: solo nell’arte l’isola è vera”.
Il luogo in cui si vive, si è vissuto da bambini ha un ruolo nella definizione dei nostri concetti di limite, di distanza, di misura, di potere o impotenza. Nel caso della Sicilia questo ruolo è molto enfatizzato da tutta una serie di retoriche: del clima, della cultura, dell’impegno. È possibile essere Siciliani senza retorica, senza che ogni nostro gesto abbia uno spessore “culturale” scontato?
“Io mi sento siciliano, con dei dubbi. Isolano, piuttosto. Isolanità significa abolire e non abolire l’isola. I polinesiani, che vivono fra miriadi di isolette, solcano costantemente il loro mare con le piroghe e cercano di annullare l’isolanità, di costruire una terraferma. L’isolano ama la solitudine più completa. Io sono adesso uno stanziale, sono stato nomade in gioventù: l’ isola è per me la mia stanza, il mio stare”.
Non vi sente una costrizione?
“No. Perché l’ho slargata, questa stanza, con i miei viaggi. E quindi ora è un posto cui tornare, con beatitudine, per riflettere. L’isola è un momento della vita in cui restar soli, insularità è solitudine. La mia insularità è una della cause della mia solitudine”.
Nel pensiero occidentale l’antidoto all’essere governato è governarsi, è l’autonomia. Ma oggi vediamo che le autonomie, nel senso di regionalismi, di statuti speciali – vedi ora la Catalogna, oltre che la Sicilia – sono in crisi. Che cos’è l’autonomia, se è qualcosa: una necessità, un lusso o un’utopia?
“Durante il fascismo, che io ho vissuto, io sostenevo il separatismo, vedevo lo statuto autonomo come merito perché ritenevo che noi dovessimo separarci dal fascismo e quindi dall’Italia. L’Italia resta, come è stato detto, un’espressione geografica: c’è Roma, c’è Napoli e c’è la Sicilia. La vedo come un qualcosa di disgregato: se la vedo così, la vedo migliore, vedo la speranza. Altrimenti è un astratto. La crisi delle autonomia è una crisi politica, non metafisica. Io vivo l’isola come se dovesse sparire: come l’isola ferdinandea, che sparì prima che si vi potesse piantare una bandiera, mentre i sindaci sulla costa litigavano per chi dovesse mettervi la sua, di bandiera. La Sicilia può sparire, può inabissarsi”.
Dopo molti secoli il Mediterraneo torna ad essere teatro storico, con le rivolte del mondo arabo. La Sicilia stenta a ritagliarsi un ruolo: troppo a nord per fare la rivoluzione e troppo a Sud per uscire senza traumi dalla crisi. I Forconi non hanno la resistenza dei ribelli egiziani, che per mesi hanno manifestato a Piazza Taharir e la società civile non ha la forza per debellare i clientelismi e i protezionismi. È la svogliatezza la malattia della Sicilia?
“Se è una malattia è una malattia positiva, questa terra non deve fare rivoluzioni o altro. Deve riprendere a scrivere, riprendere la sua letteratura. Vedo qui i dolori della Sicilia, nel significato che essa ha dato scrivendo di se stessa. La mia generazione era una generazione che si esprimeva attraverso la scrittura, viveva la Sicilia mediatamente, non immediatamente attraverso azioni politiche, ma attraverso azioni culturali: questi sono i valori che ha la Sicilia”.
Fra le retoriche di cui parlavo c’è anche quella della difesa, dell’orgoglio. Tanto più da quando c’è un “caso Sicilia” rispetto al quale è difficile non prendere posizione. Lo zoccolo duro dell’elettorato di Lombardo è catanese. In questi giorni il governatore è in tutti i telegiornali a difendere il suo operato. Catania si sente chiamata in causa nel “caso Sicilia”, dalle cento nomine del governatore? Lei si sente chiamato in causa?
“Guardo poco la televisione e no, non mi sento chiamato in causa. Io abito un luogo metafisico. Anche quando ho parlato di mafia, ne ho parlato in senso metafisico. Io devo fare i conti ormai con la mia vita, questi sono i conti che mi interessano, che indago. Che ci importa dei Lombardini? Non mi interessano. Lei se ne interesserebbe, se dovesse fare i conti con la sua vita?”.
In questo momento di crisi profonda ci si e’ rivolti ad un filosofo chiedendogli una risposta, una soluzione, una strada. E il filosofo ha risposto che non sono fatti suoi, dovendo ormai fare i conti con se stesso, dato che di anni ne ha fatti 88. Non ho letto il suo ultimo libro sulla misantropia, ma mi pare che e’ stata l’ennesima lezione, da parte di un uomo che, per quello che ne so, e’ stato comunque sempre molto amato
..a me pare che sgalambro non abbia proprio idea. Del resto non gliene frega un fico secco di nulla se non di se stesso
Sgalambro e’ un gigante del XX secolo
Tagliategli i viveri,la pensione,vedrete come riprenderà a fare i conti col padrone di casa.Il misantropo dovrà accettare la realtà , inventarsi qualcosa e ritornare sul pianeta terra,chistu è u malu chiffari.Con tanto rispetto per i filosofi virtuosi.Lo stoicismo non è filosofia…….Cordiali saluti.
Manlio Sgalambro ha scritto anni fa un saggio meraviglioso intitolato “Dell’indifferenza in materia di società” in cui sosteneva, se non ricordo male, che l’essere governati è uno scandalo. In questo libro, da leggere assolutamente, il filosofo esprimeva tutto il suo disprezzo per l’uomo politico, il quale, invece di servire la società (compito per il quale è predestinato) pretende di essere servito. Sgalambro è un grandissimo e lucido pensatore dei nostri tempi, alieno al compromesso e con un rigore senza pari.
Condivido il pensiero di Manlio Sgalambro. Mi pare una lettura lucida e reale di questi nostri tempi. Leggo da anni con forte interesse i suoi saggi.
Per una mano sgalambro dovrebbe rammaricarsi per essere conterraneo del presidente lombardo e non lavarsene le mani. Di certo e’ stato un regalo dei catanesi ai siciliani, un vero colpo di grazia per una terra gia in ginocchio
Sgalambro è di Lentini.
Purtroppo il parallellismo tra sicilia e l’isola ferdinandea non mi pare del tutto rispondente. Quell’isola, come una vergine di fronte ai suoi carnefici, avendo compreso quale sorte l’attendeva, ha preferito far cessare subito la propria esistenza.
La sicilia, inveve, e’ stata violentemente stuprata: raffinerie, abusivismo, pale eoliche, impianti fotovoltaici, ne hanno deturpato il volto.
La politica, se possiamo chiamarla politica, ne ha deturpato l’anima, corrompendo il cuore e annichilendo la storica dignita’ dei siciliani.
La globalizzazione, infine, ne ha ucciso l’insularita’, come luogo di sana solitudine e corroborante rifugio.
E’ nato a lentini ma vive da sempre a catania
@ Franco
Ma lei crede realmente che un filosofo dovrebbe interessarsi a lombardo?
Non posso che fare i complimenti a Livesicilia: con questa intervista ci ha ricordato che la nostra vita non è fatta solo di passioni pseudo politiche o di quotidianità. Laici o religiosi, ci accomuna il mistero del senso della vita, breve o lunga che sia. Alle volte, proprio per mascherare la nostra inadeguatezza, ci rifugiamo nelle piccole certezze che pensiamo di avere. Sgalambro ci ricorda che, o facciamo gli struzzi fino all’ultimo, oppure dovremo fare i conti con la nostra anima, prima o poi.
Sgalambro è uno degli intellettuali più importanti del nostro tempo. Mille spanne sopra a tutti.