Tutti dietro la vara | per omaggiare il boss - Live Sicilia

Tutti dietro la vara | per omaggiare il boss

Una processione religiosa importante per la Madonna del Carmelo a Ballarò. E nella folla, riverito, il boss Alessandro D'Ambrogio, un "pezzo da novanta".

Piazza del Carmine trabocca di gente. Nessuno a Ballarò, nell’ultima domenica di luglio, rinuncia all’appuntamento più atteso dell’anno. Per tutti è “un secunnu fistinu” perché la festa in onore della Madonna del Carmelo è seconda solo a quella che celebra Santa Rosalia. La gente si raduna sotto la cupola – a “granni minna” la chiamano – in attesa che il simulacro venga portato a spalla fuori dalla chiesa. I membri dell’antica Confraternita del Carmine hanno l’onore e l’onere di reggere il peso della vara.

Domenica scorsa, il 29 luglio – come racconta il nostro video – c’è un uomo in mezzo alla folla. Indossa la pettorina che distingue i confrati dalla massa. Si dà da fare come gli altri. Più degli altri. Quell’uomo è il boss Alessandro D’Ambrogio. Uno che ha già scontato dodici anni di carcere per mafia. Le sentenze, ormai definitive, hanno ricostruito il suo ruolo di reggente di Ballarò. Quattro anni fa D’Ambrogio è tornato in carcere nell’operazione Addiopizzo. Nel marzo del 2011 è stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il suo nome fa capolino nelle più recenti informative delle forze dell’ordine. D’Ambrogio oggi sarebbe l’uomo forte nelle zone di Palermo centro e Porta Nuova, orfane di Gianni Nicchi, dei Lo Presti, dei Milano e dei Di Giovanni, tutti finiti in carcere. Un personaggio capace di serrare le fila dell’organizzazione colpita dagli arresti. Uno che né il carcere né la fede sarebbero riusciti a redimere.

D’Ambrogio è un’istituzione a Ballarò. Tutti gli riconoscono il carisma del capo che si concretizza in un gesto, forte e simbolico, carpito dalle immagini di una telecamera amatoriale durante la processione. Qualcuno consegna un bimbo tra le sue braccia. Si affida a lui per avvicinare il piccolo alla Madonna. Gli riconosce il compito di intercedere con la Vergine del Carmelo. È il segno di una fede distorta. Sotto la vara a cui i fedeli rivolgono lo sguardo sottomesso, va in scena la pagana riverenza verso il mafioso. Lo baciano. Chi conosce quei luoghi e le dinamiche di forza sa bene che si tratta di una manifestazione di rispetto verso D’Ambrogio. Una manifestazione che si rinnova ogni giorno. Al bar come in processione.

La sua appartenenza a Cosa nostra viene certificata nel lontano 1998, due anni dopo l’arresto, quando la Cassazione rese definitiva la condanna per mafia ed estorsione. Una fetta consistente dei suoi attuali 38 anni D’Ambrogio li ha così trascorsi in galera e in silenzio. Un silenzio premiato una volta tornato in libertà. I collaboratori di giustizia hanno raccontato il suo recente contributo nella nuova Cosa nostra palermitana. Da semplice picciotto era stato scelto per reggere la famiglia di Ballarò. Franco Franzese, il primo tra gli uomini di Lo Piccolo a “saltare il fosso”, ha indicato in Tommaso Lo Presti, reggente del mandamento di Palermo Centro, il suo padrino. Franzese e D’Ambrogio hanno avuto modo e tempo di conoscersi bene. Sono stati, infatti, detenuti assieme tra il 2002 e il 2006 nel carcere Pagliarelli. Poi, si sono aggiunte le dichiarazioni di Nino Nuccio che disse di avere condiviso con D’Ambrogio il compito di imporre il pizzo ai commercianti. Un ruolo, quello di esattore, confermato dal contenuto di un pizzino a firma di Salvatore Lo Piccolo. Il capomafia di San Lorenzo scriveva a Masino Lo Presti, chiedendo che fosse “Alessandro D’AMBROG”, ad occuparsi della messa a posto di un costruttore.

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