L'assassino di mio figlio è libero| Lo hanno ucciso due volte - Live Sicilia

L’assassino di mio figlio è libero| Lo hanno ucciso due volte

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Marina Amoroso, madre di Davide Scarfeo, il giovane di 35 anni morto in un incidente stradale nel gennaio dello scorso anno.

Una pugnalata al cuore mi ha gettato in uno stato di immensa prostrazione, esanime, condannata ad un ergastolo intimo, quello del dolore, mi è stata inferta con violenza la mattina del 1 gennaio 2011. Walter Segretario ha ucciso mio figlio, il mio adorato e amatissimo primogenito Davide Scarfeo.

Davide è stato ucciso all’alba nei pressi di Palermo, intorno alle 7 di mattina, mentre tornava a casa in scooter dopo aver lavorato a Capodanno occupandosi della sicurezza di un locale. Mio figlio era sobrio e, come sempre, prudente e rispettoso dei limiti di velocità. Walter Segretario, a bordo della sua auto, guidava ubriaco con un tasso alcolemico di 1,35 gr/l (Il tasso alcolemico consentito per legge a chi si mette alla guida di un qualsiasi mezzo motorizzato è pari a 0,5 grammi di alcol per litro di sangue) e viaggiava a circa 160 Km/h laddove il limite massimo era di 100Km/h.

Una velocità azzardata assieme al consapevole stato di alterazione psicofisica, quella condotta idonea ad uccidere, quella condotta di guida in cui si accetta il rischio che si possa travolgere un altro utente della strada, si accetta a qualunque costo il rischio della morte altrui consapevolmente e comportandosi, di conseguenza pigiando sull’acceleratore sapendo di essere ubriaco, si corre con la mente ebbra anche a costo di causare un incidente stradale.

Non appena la sua auto a folle velocità, nonostante il limite di 100 Km orari, raggiunse lo scooter di mio figlio, si verificò l’evento altamente prevedibile, il tamponamento, scagliandolo a 103 metri di distanza dal punto d’urto ed uccidendolo, a soli 35 anni. Questi dati sono stati ulteriormente comprovati dalla consulenza depositata dall’Avvocato Gianmarco Cesari, nell’ambito delle sue indagini difensive, l’Ing. Filippo Begani della facoltà di Ingegneria dipartimento di Meccanica dell’Università di Firenze che aveva stimato la velocità di marcia dell’autoveicolo condotto dal Segretario verosimilmente compresa nel range 145-161km/h, dati mai sconfessati nel processo. Il tasso alcolemico dell’investitore fu rilevato ben 4 ore dopo la tragedia e nessuno dispose il test antidroga.

Ebbi la sensazione subito dopo che la notizia sparì dai giornali del giorno dopo che il “caso” Davide Scarfeo, mio figlio, venisse affrontato senza una particolare attenzione, come se si trattasse di un semplice incidente stradale, uno dei tanti di questa Italia macchiata di sangue delle vittime della strada, una pratica burocratica di Tribunale per di più capitata a Capodanno, una seccatura per i festeggiamenti per l’anno nuovo. Ulteriore motivo di grande dolore fu per me essere stata avvisata 4 ore dopo la morte del mio Davide, impedendomi di fatto di poter donare i suoi organi, cosa che mio figlio avrebbe voluto tantissimo: lui si donava già in vita alle persone in tutti i modi che gli erano possibili, difendeva chi non poteva difendersi da solo e disprezzava i prepotenti e le prevaricazioni. Un uomo giusto e rispettoso che non si è mai arreso dinanzi alle difficoltà della vita.

Dopo la sofferenza per la morte di mio figlio un altro colpo basso, un’altra pugnalata, questa volta, da parte di quella giustizia italiana, che speravo tutelasse le vittime di una simile tragedia (me e i miei due figli superstiti, Michele e Giuliana) e desse una giusta e congrua pena all’imputato. Martedì 3 aprile 2012, un’altra data che ahimè non dimenticherò, è come se mi avessero colpita a tradimento ma cosa ben più grave è come se avessero ucciso Davide una seconda volta, negandogli il rispetto e la giustizia che la sua prematura scomparsa meritava.

Il mio legale, l’Avvocato Gianmarco Cesari poiché aveva accertato che non era stata svolta un perizia tecnica ricostruttiva dell’incidente tramite un ingegnere per stabilire con precisione la velocità dell’auto al momento del tamponamento, con pronta e decisa competenza ed altissima professionalità tecnica sia giuridica che scientifica provvedeva ad espletare nell’ambito delle indagini difensive tutte quelle attività tese all’accertamento dei fatti e della verità al fine di sopperire alle lacune istruttorie che si era venuto a trovare.

L’Avvocato Gianmarco Cesari nell’esplicazione del suo mandato aveva invocato la massima attenzione e sensibilità istituzionale, vista la gravità del reato, al fine di comprendere le gravissime conseguenze dannose per la guida a velocità elevatissima, sottolineando come l’imputato corresse ubriaco con evidente colpa cosciente, se non con dolo eventuale, e che quindi occorreva chiedere una pena vicina al valore edittale massimo in base al codice penale.

Alla udienza avanti al Giudice Vittorio Anania del Tribunale di Palermo il 3 aprile scorso scoprimmo con immensa amarezza che il pm Ennio Petrigni aveva dato il suo consenso al patteggiamento nei giorni prima della udienza concedendo addirittura le attenuanti generiche abbassando ancor più la pena finale, contro l’invocata sensibilità istituzionale altamente invocata dall’Avvocato Gianmarco Cesari in relazione alla gravità estrema del fatto altamente allarmante per la compagine sociale tutta e della città di Palermo che aveva manifestato grande solidarietà il giorno del funerale.

Francamente assistere all’esercizio della azione giudiziaria nei Palazzi di Giustizia che hanno ospitato due altissimi testimoni, simbolo del rispetto dei diritti e delle garanzie di tutti, quali i magistrati Falcone e Borsellino, ai quali come cittadina italiana e, in particolar modo, quale siciliana e palermitana faccio riferimento pensando alla giustizia, mi hanno lasciato incredula! Mi chiedevo tra me e me .. quanto vale la vita di un giovane uomo di 35 anni, sano, forte, che aveva tutta una vita davanti a sé, che aveva una giovane compagna che lo aspettava, incinta dei suoi figli, due gemelli (che poi ha perso per il dolore).

Una pena simbolica patteggiata ad un anno ed 11 mesi con la sospensione condizionale della pena. Il Giudice dopo aver ascoltato con attenzione le argomentazioni del mio avvocato che faceva punto per punto rilevare la incongruità della pena rispetto al reato ed al danno rappresentando che la pena era troppo bassa, che non poteva essere condivisa socialmente, che non avrebbe mai portato ad alcuna riconciliazione del reo con la società e con le vittime alle 12.30 si ritirava per deliberare.

Io speravo che il giudice rigettasse la richiesta di patteggiamento, dimostrando sensibilità e attenzione a quelle che sono le attuali richieste di giustizia sociale in ambito di criminalità stradale. Alle 14 venivamo richiamati in aula, ma ancora prima della lettura della sentenza, mi cade il mondo addosso quando vedevo arrivare in aula due carabinieri, evidentemente chiamati dal Giudice, nel timore che alla lettura della sentenza di accoglimento del patteggiamento io o i miei figli avremmo manifestato vivamente la nostra protesta, neanche fossimo dei delinquenti, dei mafiosi o appartenenti alla malavita organizzata.

Lì ho capito che il patteggiamento era stato accolto e poi la lettura un anno e undici mesi, pena sospesa…….Walter Segretario, colui che ha ucciso mio figlio per lo Stato italiano è un uomo libero, libero di uccidere ancora. E Davide non ha avuto e non avrà mai più giustizia, come tanti altri. L’allarmante sentenza per l’omicidio di mio figlio, Davide Scarfeo, che non garantisce la congruità della pena rispetto alla gravità del reato e non elimina le conseguenze dannose evidenzia che i pubblici ministeri prima ed i giudici poi interpretano la legge lontano da quel sentire della intera comunità nazionale che chiede nei confronti della criminalità stradale che guida in modo azzardato e temerario e in stato di ubriachezza la certezza della pena da espiare in carcere al fine di un ravvedimento operoso del reo che lo porti ad una riconciliazione con la comunità dopo aver compreso la gravità della condotta posta in essere.

Sentenze come questa di Palermo esprimono un modo di affrontare i problemi totalmente distante dalla aumentata e diffusa sensibilità sociale e dall’impegno delle Autorità e delle massime cariche dello Stato di fronte al recente allarme lanciato dalla Commissione Europea, non considerano la macroscopica gravità degli eventi dannosi derivanti dalla circolazione stradale e dell’aumentato costo sociale di 30 miliardi di euro l’anno, non correlano una adeguata interpretazione della norma che disciplina il delitto di omicidio con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e, stabilendo pene non congrue, costituiscono una ulteriore grave offesa nei confronti del dolore dei familiari per l’irreparabile perdita di valore umano subita a causa di un comportamento criminale alla guida.

Si prova sconcerto di fronte a sentenze che non riescono più ad interpretare le esigenze di giustizia della società civile e delegittimano la giustizia. Occorre una maggiore sensibilità istituzionale da parte dei pubblici ministeri e dei magistrati innanzi alle istanza della società civile nelle pronunce contro la criminalità stradale, non solo nei confronti di soggetti ubriachi e drogati ma soprattutto nei confronti di coloro che guidano in modo azzardato e temerario, occorre garantire la congruità della pena rispetto al bene giuridico costituzionalmente protetto della vita!

Non rimanete indifferenti, quel che è capitato a me può succedere ad altri, a tutti! La morte stradale arriva improvvisa ed inaspettata per mano criminale; in Italia i criminali stradali restano impuniti e magari colpiscono ancora. Unitevi a chi come me colpita dal dolore, pur soffrendo, non smette di lottare per dare giustizia ai superstiti e fermare la strage stradale. Io, insieme alla mia Associazione – Giustizia per le Strade – Contro gli Assassini alla Guida, mi sono unita alla Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada che in Italia da oltre dieci anni rappresenta l’interesse collettivo alla vita sulla strada, per dare un senso alla mia vita e per far sì che altri abbiano giustizia, quella che lo Stato non mi ha dato.

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