"A Palermo abbiamo salvato l'Italia| La Procura ha fermato la mafia" - Live Sicilia

“A Palermo abbiamo salvato l’Italia| La Procura ha fermato la mafia”

Giancarlo Caselli, in un'intervista a La Repubblica, difende l'operato della Procura di Palermo: "I risultati ottenuti, dati alla mano, sono mafiosi arrestati in quantità industriale, come mai accaduto né prima, né dopo".

GIANCARLO CASELLI
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“Noi abbiamo salvato l’Italia”. Così Gian Carlo Caselli, in un’intervista a La Repubblica, difende il lavoro della procura di Palermo che “ha fermato Cosa Nostra”.

E all’ipotesi che l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia possa finire sul nulla, risponde: “Questa teoria fa a pugni con la realtà. Sono stato a capo della procura di Palermo subito dopo le stragi del ’92 per quasi sette anni”. E snocciola i dati: “I risultati ottenuti, dati alla mano, sono mafiosi (latitanti e non) arrestati in quantità industriale, come mai accaduto né prima, né dopo. Una slavina di pentiti, una vera diserzione di massa, perché noi dimostravamo di voler fare sul serio”.

“Ed è proprio grazie ai collaboratori di giustizia e al lavoro delle forze dell’ordine – continua Caselli – che ho potuto contare condanne a 650 ergastoli e un’infinità di anni di reclusione. Ho assistito al sequestro di 10mila miliardi di vecchie lire di beni mafiosi, gettando le basi di quella che oggi è diventata una vera e propria impresa che riempie le casse dello Stato. Ho visto scoprire moltissimi arsenali zeppi di armi. Così è come è stato fermato l’attacco criminale di Cosa Nostra allo Stato”.

E sui pentiti e sul loro presunto uso contraddittorio parla di storia costante dell’antimafia. “Finché i collaboratori parlano di mafiosi di strada va tutto bene, quando invece raccontano di imputati speciali diventano roba di scarto. È la storia costante dell’antimafia. Tant’è vero che lo stesso Falcone fu accusato di uso spregiudicato dei pentiti. Dissero perfino che lui, un maniaco delle regole, portava i cannoli a Buscetta, all’evidente scopo di insinuare che volesse favorire un rapporto non corretto”.

Tanti i processi politici, da Andreotti a Dell’Utri, dai risultati contrastanti, “ma in generale parlare di esiti fallimentari è fare disinformazione. Perché la bontà di tutte le inchieste è sempre stata avvallata dai gip. Poi ci sono state condanne come assoluzioni, com’è fisiologico, perché solo sotto le dittature l’accusa ha sempre ragione. Comunque, senza eccezioni, anche le sentenze di assoluzione hanno provato intrecci torbidi tra politici, imprenditori e mafiosi. La procura non si è mai inventata niente. L’esempio più clamoroso è costituito proprio dai casi Andreotti e dell’Utri, entrambi riconosciuti penalmente responsabili di associazione con Cosa Nostra, il primo fino al 1980, il secondo almeno fino al 1978, da due sentenze della Cassazione”.

Rifarebbe tutto quello che ha fatto Caselli: “Sono risultati straordinari unici al mondo. Abbiamo contribuito, insieme ad altri a salvare l’Italia. Non pretendiamo di essere pensati avvolti nel tricolore. Certamente possiamo anche essere criticati. Ci mancherebbe. Ma sempre nel rispetto dei dati che emerge dai dati di fatto”.

E sul caso del presunto pentito Scarantino – che assecondato dalla procura di Caltanissetta ha favorito il depistaggio – conclude: “All’errore compiuto ha posto riparo sempre la stessa Procura nella sua attuale composizione”.


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