“Quegli anni a Santa Chiara” - Live Sicilia

“Quegli anni a Santa Chiara”

A nove anni dal suo allontanamento da Palermo, don Baldassare Meli – il sacerdote che scoprì lo scandalo della pedofilia all’Albergheria – si racconta. E dice: “Gli abusi? Non sono finiti”.

L'INTERVISTA A DON MELI
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CASTELVETRANO. L’ultima volta, eravamo in un cortile, sotto le stelle di Santa Chiara, a Palermo. Lui mi consegnò una lettera d’amore paterno per i bambini. Io la pubblicai. Ora che lo rivedo, mi chiedo se questo sacerdote con i capelli bianchi che mi viene incontro dal portone di una chiesa di Castelvetrano sia talmente cambiato da non avere più tracce di somiglianza con quel prete dai capelli con qualche centimetro di nero che combatteva per difendere l’Albergheria dagli orchi. A leggerla in un certo modo, la favola è finita male. Don Baldassare Meli, con l’aiuto prezioso di don Roberto Dominici, denunciò i pedofili del quartiere, mise in moto una colossale operazione di pulizia, con arresti e processi. E come tutti coloro che sono decorati eroi a Palermo rimase solo. Alla scadenza del suo mandato piombò la mannaia del trasferimento. Il tempo della sua permanenza era concluso.

Non fu soltanto l’allontanamento a ferire i suoi estimatori e amici. Colpirono di più le modalità, il silenzio, l’indifferenza. Acclamato come un pifferaio magico buono che aveva salvato i piccoli da una maledetta cittadella di pedofili. Cacciato quasi come un cane. E poi il sepolcro del silenzio. Da quando don Meli non è più a Palermo, un mutismo collettivo è calato sull’Albergheria, su Ballarò, sul regno dei carnefici che violentarono per sempre l’innocenza perduta delle vittime. Ne chiacchieriamo su un balconcino fuori dalla canonica. Don Baldassere dice: “Penso che il problema lì esista ancora”. Non aggiunge altro. Basta l’accenno alla violenza peggiore che c’è, perché il gelo morda la schiena, in una calda giornata di fine agosto. Da cronista ho raccontato il dolore e la speranza di Santa Chiara. Mi è venuta voglia di parlare ancora con l’uomo di Dio che scrisse quella lunga lettera d’amore, sotto le stelle di un oratorio.

Don Meli, come sta?
“Ho superato il peggio, il senso di sconfitta. Ho pregato per coloro che mi hanno fatto male. Sto meglio”.

Nove anni sono passati dal suo trasferimento
”Non è stata una bella conclusione”.

La ferita sanguina?
“E’ vero, il mio periodo era scaduto. Lo sapevo e avevo chiesto io stesso una nuova destinazione. Mi brucia il modo”.

A cosa si riferisce in particolare?
“C’era evidentemente l’urgenza di voltare pagina rispetto a me, di troncare ogni discorso, di annullare e ricominciare. Mi domando perché”.

Qual è il suo bilancio?
“Un’esperienza entusiasmante. Con molte pazzie, in senso positivo”.

Non si parla più dell’Albergheria. Il suo passato di abusi è caduto nell’oblio. Quella vicenda è stata dimenticata, nonostante abbia segnato l’anima e il corpo di tanti.
“Doveva essere così. Il traguardo che si desiderava raggiungere era chiarissimo: non parlarne più. Mai più. Specialmente per proclamare la pace con il quartiere”.

Lei che rapporti aveva con la gente?
“Contrastanti, in varie occasioni sono stato picchiato. In qualche caso, pessimi. Mi chiamavano ‘il cornuto’. Si chiedevano: ‘E non se ne va il cornuto?’. Scrissi una missiva molto pesante in cui richiamavo le famiglie alle loro responsabilità. Ci furono problemi e incomprensioni”.

Per esempio?
“Quando alcuni coinvolsero nella nostra organizzazione ragazzi del rione dediti allo spaccio e non solo. Rammento situazioni di tensione”.

Ha avuto mai paura di essere ucciso?
“L’avevo messo nel conto”.

Lei non è più un salesiano.
“Mi sono incardinato nella diocesi. Sono successe cose spiacevoli. Addirittura si era sparsa la voce che avessi portato con me i soldi degli immigrati di Santa Chiara, circa centomila euro. Sono stato costretto a spedire una nuova missiva, ai miei confratelli. E qualcuno ha scannerizzato la mia firma, per associarla una letteraccia, cose spiacevoli, appunto”.

Ma perché tanta ostilità – da quello che racconta – nei suoi confronti. La pedofilia è un punto debole e critico per la Chiesa?
“Solo se c’è di mezzo un prete, che viene subito allontanato e non curato. La storia di Santa Chiara era diversa”.

E allora?
“E’ stato tutto strano”.

L’orrore è risolto all’Albergheria?
“Penso invece che esista. All’epoca si mise in moto uno splendido movimento, una rivolta dei bambini, sostenuta dal meraviglioso lavoro della polizia”.

Ne ricorda qualcuno, tra facce e biografie?
“Sì, quattro ragazzini. Tutti adottati. Tutti si sono rifatti una vita”.

Abusi, tema scottante anche per i religiosi. Lei dichiarò proprio a me di essere convinto dell’innocenza di padre Paolo Turturro che attende una sentenza definitiva e che, intanto, ha subito condanne.
”Non ho cambiato parere. Secondo me è stato incastrato. Glielo dicevo: ‘Don Paolo, stia attento’”.

La memoria le tiene compagnia
“Una ragazza di Santa Chiara si sposa tra poco e la sposo io. Tanti mi chiamano ‘il padre’, non mi hanno dimenticato. Non posso dimenticarli”.

Non solo la memoria
“Provo un sentimento di ribellione. Però sono in pace, sono sereno e combattivo. E’ il mio messaggio. C’è da rimboccarsi le maniche, mentre la politica sta a guardare”.

Lei farebbe politica?
“Non presentando liste. Un sacerdote è naturalmente un politico perché tende al bene comune. Qualche idea ce l’ho”.

Quali idee?
“Ritengo che sarebbe giusto mobilitarsi con azioni dimostrative, come riconsegnare le schede elettorali. E’ una campagna che sosterrò in un frangente difficile”.

Difficilissimo. E tragico per Palermo.
“Le notizie le ascolto. Leoluca Orlando mi è stato amico in battaglie complicate. Erano i giorni della Primavera. Adesso Luca ha qualche capello bianco in più”.

Che farà, don Meli?
“Il lavoro non mi manca. Affronto la miseria che c’è qui. Il passato? Rifarei il mio cammino senza cambiare nulla. La difesa dei deboli è il comandamento di Don Bosco e il mio cuore batte per lui. Nonostante tutto, rimango un salesiano”.

 

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