L'amianto killer del Cantiere navale |Le drammatiche testimonianze - Live Sicilia

L’amianto killer del Cantiere navale |Le drammatiche testimonianze

La sofferenza e la morte sul banco dei testimoni al processo contro tre ex dirigenti di Fincantieri. Il racconto dei parenti di chi è stato ucciso dall'amianto e quelle chi ha avuto la fortuna di sopravvivere.

PALERMO – Giovanna oggi è una donna di cinquantadue anni. Ne aveva parecchi di meno quando vide il padre spegnersi, giorno dopo giorno, senza sapere cosa lo stesse uccidendo. L’amianto killer gli aveva divorato i polmoni, ma trascorse l’ultimo periodo della sua vita a ripetersi “perché, perché”.

La sofferenza e la malattia salgono sul banco dei testimoni al processo che vede imputati tre ex direttori del Cantiere navale di Palermo: Luciano Lemetti, Giuseppe Cortesi e Antonino Cipponeri. Sono già stati condannati in primo grado in un altro processo che presto sarà definito anche in appello. La pena più alta è stata sette anni e sei mesi Le accuse sono le stesse del dibattimento che si sta svolgendo davanti alla prima sezione del Tribunale: omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime. Decine e decine di operai in servizio tra gli anni Ottanta e Novanta sono stati colpiti da mesotelioma pleurico e asbestosi, malattie incurabili provocate dall’inalazione di fibre di amianto. Una strage, silenziosa per troppi anni: novanta morti (dieci nel solo processo in corso), altrettanti operai colpiti dal tumore. Un numero destinato a crescere, visto che sono state presentate nuove denunce ancora in fase istruttoria.

Giovanna racconta di “quell’omone che sembrava una roccia finito sulla sedia a rotelle. Mio padre non sapeva perché si fosse ammalato. Quando lo ha capito voleva denunciare Fincantieri. Io sono qui per portare avanti la battaglia che lui non ha potuto combattere. Mio padre voleva questo”. Le lacrime interrompono la sua testimonianza. Riprende fiato per aggiungere che il padre si rese conto del dramma in cui era piombato contattando i suoi compagni. E fu un dramma nel dramma. Cercava conforto e scoprì che in pochi, pochissimi, avrebbero potuto offrirglielo. Erano già quasi tutti morti. Saldatori, carpentieri, montatori che costruivano le navi senza sapere che ci avrebbero rimesso la pelle. L’azienda ne era a conoscenza e ha fatto ciò che doveva per evitare la strage? Per il pubblico ministero Claudia Bevilacqua la risposta è no.

Alcuni operai hanno avuto la fortuna di sopravvivere e si sono costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Fabio Lanfranca, Salvatore Cacioppo, Paolo Palma e Walter Iadicicco. E ora si presentano in aula per raccontare le tragedie familiari. Il signor Emanuele ha un filo di voce. Le sue parole si sentono a malapena, ma sono chiare nel contenuto: “Finivo di lavorare e avevo sempre la febbre. Stavo male, sempre male. Non riuscivo a digerire più niente. Andavo a mensa mentre sabbiavano e pitturavano le navi e queste porcherie finivano nel mangiare. C’è gente che non c’è più, che se ne andata, gente ammalata. Credetemi, preferirei non parlarne più”. Il signor Giuseppe ricorda ancora il giorno in cui la malattia si manifestò in tutta la sua forza: “Nel ’93 mi sono sentito male di notte, non potevo respirare. Mi hanno fatto tre tac, poi cinque medici mi hanno convocato per dirmi che mi dovevo operare subito. Non sapevamo che ci fosse e invece ci coricavamo sopra l’amianto. la sera, perché faceva freddo ed era riscaldato”.

Testimonianze drammatiche e unanimi nel ricostruire le condizioni dei luoghi di lavoro. Locali chiusi, senza adeguati sistemi di areazione, dove si andava senza il giusto equipaggiamento. Una tuta, dei guanti e delle mascherine di stoffa che dopo cinque minuti “dovevamo togliere per non rimanere soffocati. Nessuno ci ha mai avvertito della pericolosità”.

Si sono tutti ammalati ai Cantieri navalioppure altrove visto che, come provano a fare emergere le domande dei difensori degli imputati, gli operai hanno lavorato presso altre ditte? Di certo si sono ammalati per colpa delle fibre di amianto. Il resto lo stabilirà il processo “nel quale non si affronta il tema della morte sul lavoro – spiega l’avvocato Lanfranca – ma quello della morte a causa del lavoro, che non è dovuta in questo caso ad una tragica fatalità ma ad una grave incuria e negligenza del datore di lavoro che non ha saputo tutelare i suoi dipendenti. Morire di lavoro può essere la normalità in una determinata realtà industriale – conclude -. In Fincantieri a Palermo morire per mesotelioma, carcinoma polmonare, asbestosi è diventata una drammatica disfunzione del sistema produttivo”.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI