La calata dei leader di partito - Live Sicilia

La calata dei leader di partito

Si avvicina il tempo delle elezioni. E' parata di leader nazionali che sono già calati o caleranno in Sicilia. La domanda è inevitabile: che venite a fare?

PALERMO- Ma che venite a fare nella Sicilia derelitta, colpevole dei suoi crimini e abbandonata a se stessa? Perché venite da noi – buoni o cattivi selvaggi, a seconda del vostro consenso e del nostro voto – per sceneggiare una pantomima di democrazia? Già, la democrazia, che è parola adatta nel tempo della raccolta elettorale. E non serve mai più nelle altre occasioni. Quando i cittadini vorrebbero contare, far sentire la loro voce sempre più stentorea. Quando vorrebbero essere informati da un corretto servizio pubblico e partecipare, all’edificazione di un mondo nuovo: allora la democrazia non vale. E non c’è.

Casini, Bersani, Fini, Di Pietro, Alfano, in tour qui. Pare uno scioglilingua che si può rovesciare. Alfanocasinibersani… Dipietrofinialfano…. La formazione di una squadra inutile. Scendono in questo lembo d’Africa per parlarci di sviluppo, di prospettive, di cose da fare. Non ce n’è uno che consideri la Sicilia strategica in un progetto di rinascita. Pagano l’obolo della presenza al candidato di turno. Noi siamo la costa da abbordare, il granaio da svuotare. C’è una campagna elettorale da vincere. Vogliono solo vincere.

Cantava Francesco Giunta: “Chi paura hanno di scappari, alla fine di lu parrari. E li strati su campusantu, ciuri ‘i marmi, duluri e chiantu”. Calano e risalgono. Fuggono. Si ricorderanno della Sicilia al prossimo abbordaggio.

Non sono tutti gli stessi, tutti i’ stissi, come si dice a torto. Angelino Alfano, Pierferdinando Casini, Pierluigi Bersani, Gianfranco Fini, Antonio Di Pietro rappresentano personalità differenti, che si declinano secondo gusti, fazioni, idee. Un elemento, tuttavia, li accomuna: l’irrilevanza della questione siciliana nell’agenda della politica, nei pensieri dei fuoriclasse che compongono la Nazionale della politica italiana. In massima parte – ed è un chiodo rovente e inemendabile – è colpa nostra. Siamo i responsabili principali della nostra insignificanza. La piena democrazia va meritata, più che proclamata. Non bastano le leggi, la forma a protezione del contenuto, se manca uno straccio di coscienza civica. Siamo sudditi. Non votiamo per mandare al governo uno schema collettivo da tradurre in atti concreti. Omaggiamo la mano del satrapo di turno. Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo – condannato il primo, vilipeso il secondo – non sono arrivati allo scranno più alto per uno scherzo del destino. Sono stati nominati da palermitani, catanesi, siracusani, trapanesi, ragusani, nisseni, agrigentini, ennesi e messinesi in cerca di un vicerè.

Ma è anche colpa loro, degli stranieri. La nostra casa è stata conquistata con furia colonizzatrice. La terra che calpestiamo è un fondo per bandierine da piantare. Le speranze che i siciliani migliori coltivano, nonostante tutto, somigliano alla spazzatura, alla cartaccia da spostare col piede in un angolo. L’opinione è un lusso. La clientela è un legame intramontabile.

Ma che venite a fare? Che viene a fare Pierluigi Bersani, leader di una sinistra che si è impancata in un settentrionalismo di maniera, al limite dell’idiozia? Che viene a fare Angelino Alfano, condottiero di una forza smarrita, già sodale del proto-leghismo? Che viene a fare Pierferdinando Casini, col marchio di un governatore del suo partito in carcere per mafia? Che viene a fare Gianfranco Fini, con i suoi ondivaghi proconsoli? Che viene a fare Antonio Di Pietro con la sua morale un tanto al chilo, spietata per gli avversari e indulgente con i compari?
Domani ripartiranno. Domani la Sicilia tornerà quello che è. Un fastidio, una riserva di caccia. Un’isola che non c’è.


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