Grillo, dizionario per l'uso | C come "convivialità" - Live Sicilia

Grillo, dizionario per l’uso | C come “convivialità”

Dietro le provocazioni, i paradossi e perfino i "vaffa" di Beppe Grillo, ci sono anche idee filosofiche di vecchio e nuovo conio. Idee che è possibile riconoscere e spiegare. Lettera per lettera.

PALERMO- L’aria stralunata, i capelli scomposti, il gesto arringatore, la battuta, il turpiloquio talvolta, quel parlare a braccio sparando a zero contro tutto e tutti generano in molti – in molti politici specialmente – un senso di fastidio e di rifiuto. «Populismo», «pura protesta» sono i sostantivi più frequentemente evocati per descrivere la retorica grillina. Ma che cosa dice Grillo, al netto della forma più o meno discutibile dei suoi discorsi?

Una della parole più usate da Grillo è «convivialità»: l’ha usata spesso nel corso del tour elettorale in Sicilia ed è una delle parole più usate nei post degli attivisti del Movimento 5 stelle. Che si tratti di rapporti armonici fra gli aderenti ai progetti di ‘orti collettivi’, o di incrementare il benessere attraverso progetti come il Velib parigino (biciclette che vengono prese e restituite nel giro di 35-40 minuti, con speciale abbonamento) o ancora di gruppi d’acquisto che consentano di ottenere prezzi migliori, circolazione delle informazioni e conoscenza diretta dei produttori; in tutti questi casi è questione – dice Grillo – di «convivialità». Sembra tutto molto nuovo e casuale, invece il concetto e alcune delle sue applicazione risalgono agli anni ’70 e al sociologo Ivan Illich, che sosteneva le sue idee con vis polemica e passione non inferiori a quelle del (ex) comico genovese.

Si tratta di questo: l’industrializzazione giunge, ad un certo punto, ad un momento di non ritorno, ad una soglia superata la quale invece di produrre utilità e vantaggi, essa inizia a produrre svantaggi e impotenza. L’alternativa a questo stato di cose, sostiene Illich in un libro del 1973, (“La convivialità”, Boroli editore, 2005) è la “società conviviale”. Pensiamo a ciò che accade quando siamo seduti intorno ad un tavolo a consumare ciò che abbiamo prodotto, dividendolo con una comunità, rispettando delle regole, e traendo piacere dalla compagnia e da cibo. Estendiamo questo modello ad un numero maggiore possibile di situazioni: questa è la società conviviale.

Questo genere di società deve reagire a tre catastrofi causate dalla crescita industriale senza freno: la degradazione della natura, la disintegrazione dei legami sociali, la disintegrazione della persona umana. Allora: natura, rapporti sociali e persona devono riacquistare autonomia rispetto a necessità che tali non sono e invertirne la relazione. Non più l’uomo per il progresso ma il progresso per l’uomo. Frenare l’escalation di servizi e produzioni che finiscono per togliere più di quanto diano. Molte delle cose che usiamo, dai trasporti ai cibi, producono più danni – inquinamento, malattie, costi eccessivi – che vantaggi. Danni non alla società nel suo complesso, ma al suo utilizzatore in particolare.

Illich, che aveva previsto una crisi globale, immaginava l’uscita dalla crisi non ad opera di partiti, ma di singole ‘voci’, dapprima isolate, e si esprimeva in questi termini: “……non c’è dubbio che le loro voci avranno una diversa risonanza quando la crisi della società superproduttiva si aggraverà. Essi non costituiscono un partito, ma sono i porta-parola di una maggioranza di cui ognuno può potenzialmente far parte. Più inattesa sarà la crisi, più improvvisamente i loro appelli all’austerità equilibrata e gioiosa potranno assumere il valore di un programma”.

Ma come spiegare un tale programma? Ecco Illich: “Per essere in grado di controllare la situazione quando sarà il momento, queste minoranze debbono comprendere la natura profonda della crisi e saperla esporre in un linguaggio che tocchi il segno, spiegando chiaramente che cosa vogliono, che cosa possono e di che cosa non hanno bisogno. Sin d’ora, esse già possono identificare le cose a cui possono rinunciare. La riconquista della lingua quotidiana é il primo perno dell’inversione politica (…). Saranno necessari gruppi capaci di analizzare coerentemente la catastrofe e di esprimerla con un linguaggio semplice. Essi dovranno saper patrocinare la causa di una società che si pone dei confini, e farlo in termini concreti, comprensibili da tutti, desiderabili in generale e immediatamente applicabili.”

Convivialità è per molti versi il contrario di rivoluzione: non c’è da scendere in piazza, imbracciare forconi o compiere alcunché di straordinario. E infatti Grillo ci tiene molto a differenziare il Movimento 5 dai movimenti estremistici e violenti, che in altri paesi europei la crisi ha prodotto o fatto avanzare nei consensi. Convivialità significa per Illich organizzazione di individui che agiscono con procedure e regole trasparenti, che sono una collettività come chi siede allo stesso tavolo condividendo regole, non come una massa che travolga ordinamenti e regole. Un ricorso lucido alla procedura, fatto in spirito di opposizione continua alla burocrazia, è la sola maniera possibile, per Illich, per dare un valore esecutivo alle decisioni prese da uomini comuni. Pochi ricordano che, prima dei vaffa-day, Grillo aveva presentato delle proposte di legge di iniziativa popolare (nel 2007, una riforma della legge elettorale).

Da ultimo, convivialità è anche il contrario di specializzazione: ogni persona integrata con la collettività deve poter avere accesso a tutti gli strumenti, sia materiali, che etici, che tecnologici, alla sola condizione di non ledere la libertà altrui. “Chiamo società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività e non riservato ad un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo.”

Illich è stato molto letto negli anni ’70, ma la sua fortuna in anni più recenti si deve soprattutto all’economista e filosofo francese Serge Latouche, la cui teoria della “decrescita felice” ha fatto molto discutere. Latouche, che in Italia è molto noto ed invitato a talk show e festival, sostiene che siamo ormai ‘tossicodipendenti’ della crescita, bulimici dell’acquisto, dipendenti dal lavoro. Ma questi meccanismi producono continuamente infelicità perché creano sempre nuovi bisogni che nessuno è in grado di soddisfare. È felice solo chi non è condizionato o frustrato da ciò che non può avere. Rieducandoci alla frugalità, dice Latouche, comprenderemo la vera abbondanza, sapremo apprezzarla e saziarcene.

Da queste teorie, una strana miscela di visionarietà e pragmatismo, derivano moltissime delle idee di Grillo, almeno quelle – orti collettivi, trasporto, gruppi di acquisto, per non citarne che alcuni – volte al recupero dell’autonomia delle persone dall’overdose dei consumi e alla socializzazione della decisione politica all’interno di una procedura ben regolata e trasparente (e qui si rifà alla ‘teoria della scelta pubblica’ o public choise). E ne deriva anche un linguaggio semplice e comune e “che tocchi il segno”, ma alle spalle del quale c’è una scelta filosofica e di ecologia politica per niente grossolana o improvvisata, alla quale converrebbe contrapporre altre scelte e altri argomenti.

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