Pacifico svela il "Sistema Catania"| Mafia, politica e colletti bianchi - Live Sicilia

Pacifico svela il “Sistema Catania”| Mafia, politica e colletti bianchi

I rapporti della mafia con i politici catanesi, la mappa dei clan, il traffico di droga, il ruolo dei colletti bianchi implicati nel riciclaggio di fondi illeciti. Tutti i segreti di Cosa Nostra  svelati durante una lunga intervista a Pasquale Pacifico, il Pm più temuto dalla mafia alle falde dell'Etna.

CATANIA – “Ammazzate quel cesso”. Un ordine per uccidere un personaggio scomodo, un magistrato che con le sue indagini ostacolava la sua scalata. Tre pizzini, però, che finirono proprio nelle mani di chi doveva essere crivellato con 32 colpi in testa. Pasquale Pacifico, sostituto procuratore della Dda catanese, svela a LiveSiciliaCatania, un particolare, da film, dell’inchiesta della procura di Messina che portò, lo scorso mese di marzo, all’ordinanza di custodia cautelare per Orazio Finocchiaro. “Ho provato sconcerto in un primo istante, ma scegliendo questo mestiere lo avevo messo in conto”. Senza tracce di esitazione il suo commento. Oggi Pasquale Pacifico vive sotto scorta. Tra le sue operazioni più importanti, l’inchiesta Revenge che nel 2009 fermò sul nascere una guerra tra il Clan Cappello e Bonaccorsi. Sebastiano Lo Giudice, capo storico dei Cappello insieme ad altri vertici di cosa nostra, finì dietro le sbarre. Pacifico, immerso dalle carte del suo ufficio in procura, scatta una lucida fotografia della mafia catanese oggi, con tutte le sue proiezioni: nella politica, nella finanza, senza dimenticare il contributo attivo dei colletti bianchi. “Una cosa è certa –  afferma il magistrato  – la crisi economica rappresenta un’occasione storica per la mafia”.

Mafia e politica. E’ appena terminata la campagna elettorale per le regionali e ci stiamo avvicinando alle comunali e alle politiche. C’è un rischio concreto di collusione?

“A mio avviso il rischio c’è sempre, nel senso che la campagna elettorale è un periodo sensibile per il politico perché è in cerca voti. La storia ci insegna, così come dimostrano le ultimi indagini, che le organizzazioni criminali sono in grado, specie in alcuni quartieri disagiati, di condizionare pesantemente il voto e, quindi, di indirizzare i consensi. Noi come autorità giudiziaria abbiamo il compito di monitorare quelle che possono essere le potenziali situazioni di rischio e di inquinamento”.

Mafia, finanza e “colletti bianchi”. Una relazione esistente, lo hanno dimostrano molte inchieste condotte da questo Ufficio. Ma come agisce la criminalità organizzata, soprattutto in questo periodo di crisi?

“Un momento storico come quello attuale, con una crisi economia molto forte da un lato e forti difficoltà, soprattutto, per la piccola e media impresa di accesso al credito bancario, rischia di diventare un’occasione storica per la criminalità organizzata. Le organizzazioni criminali hanno la possibilità di disporre di grossa liquidità che può essere inserita nel settore produttivo mediante finanziamenti di imprese in crisi attraverso formule diverse: si va dalla tradizionale usura fino alla totale acquisizione dell’azienda. Va detto, però, che queste operazioni richiedono la presenza di professionisti, i cosiddetti “colletti bianchi”,  che con la loro consulenza riescono a creare queste società che, in parole povere, servono per riciclare il denaro frutto dell’attività illecita. Come io dico spesso per la mafia il problema non è l’accumulo di capitali illeciti, ma è quello di riciclare e giustificare questi movimenti di denaro, per prevenire il rischio di sequestri preventivi o altre misure di prevenzione”.

Quale scenario si profila all’interno di Cosa Nostra dal punto di vista “militare” a Catania?

“Siamo in un periodo di pace. Non c’è una guerra in corso tra i vari clan per il controllo del territorio. Negli ultimi due anni, infatti, non si sono registrati omicidi eccellenti. La situazione è caratterizzata dalla presenza di diverse organizzazioni, il Clan Santapaola ha un po’ il predominio essendo per tradizione la famiglia legata a cosa nostra palermitana. Va detto, però, che negli ultimi anni gruppi, anche rilevanti, legati alla famiglia Santapaola si sono staccati dalla cosca. Questo fenomeno è emerso nel corso del processo Revenge: ci riferiamo alla famiglia Martiddina di Monte Po e alla famiglia Strano. Movimenti che hanno causato un mutamento negli equilibri interni della criminalità organizzata etnea. Questi gruppi, infatti, si sono avvicinati al Clan Cappello, e precisamente al gruppo dei Carateddi. Dopo le operazioni Revenge e Iblis, che la Dda ha condotto, c’è un momento di stasi all’interno di Cosa nostra, c’è solo qualche frizione causata soprattutto dal controllo del traffico di droga”.

E possibile disegnare una mappa?

“A Picanello, quartiere limitrofo al borgo marinaro di Ognina, è sempre predominante la presenza del Clan Santapaola, ma opera anche qualche propaggine del Clan dei Laudani. Librino, zona popolare adiacente all’aeroporto, vede la famiglia dei Nizza (affiliata ai Santapaola) che si contendeva la gestione del traffico di stupefacenti con la famiglia Arena che faceva riferimento al superlatitante Giovanni Arena, arrestato nel novembre 2011. A San Cristoforo è forte la presenza del gruppo dei Carateddi, collegata alla cosca Cappello che è presente a macchia d’olio in molte altre zone della città come Corso Indipendenza e San Berillo Nuovo. Quartiere dove operano anche i Cursoti Milanesi. I clan, invece, maggiormente operanti in provincia sono i Laudani per i comuni pedemontani ed i Santapaola, ma abbiamo notizie che anche il Clan Cappello ha dei gruppi che controllano territori fuori dai confini della città”.

I settori criminali?

“Mi verrebbe da dire che i settori sono quelli tradizionali. Le estorsioni continuano ad avere un certo peso ma non dal punto di vista economico. Con l’imposizione del pizzo, infatti, il clan più che cercare un introito monetario, si garantisce il controllo del territorio. Negli ultimi anni il settore di maggiore rilevanza è sicuramente il traffico di drogai. Un affare potremmo dire globalizzato, in quanto viene gestito dai vari clan, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i fornitori, consorziandosi tra loro. E’ frequente trovarsi davanti a clan apparentemente contrapposti o distinti che acquistano insieme lo stupefacente per poi dividerlo nelle varie piazze di spaccio. Il traffico di droga produce l’entrata più rilevante dal punto di vista economico per la criminalità organizzata”.

I numeri del giro d’affari della droga?

“Dalle indagini emerge che una piazza di spaccio frutta in una serata ad un clan tra i 10 e i 15 mila euro, cifre che si raggiungono anche con hascisc e marijuana. Per il traffico di cocaina i numeri sono molto più elevati”.

I canali di rifornimento?

“Per la cocaina registriamo rapporti con fornitori calabresi o provenienti dalla camorra campana. Marijuana e hascisc provengono o dalla Calabria o dai legami intrapresi con la criminalità organizzata albanese”.

Da marzo lei vive sotto scorta. La mafia stava organizzando la sua esecuzione. Quello che nessuno, forse, sa è che a scoprire il pizzino dove si dava l’ordine di ammazzarlo è stato lei stesso.

“L’episodio con cui l’ho scoperto è quasi banale. Durante un colloquio con un soggetto detenuto in una struttura carceraria della Sicilia,  fu lui stesso a chiedermi di essere sottoposto ad interrogatorio. In quel frangente mi consegnò dei biglietti, in gergo i cosiddetti pizzini, che provenivano da un altro detenuto dove, in effetti, erano contenute delle minacce nei miei confronti, più che di minacce si trattava proprio di un progetto di attentato alla mia persona”.

Cosa ha provato ad avere in mano quel pizzino?

“Indubbiamente un po’ di sconcerto all’inizio, ma facendo questo lavoro sono rischi che un magistrato mette in conto”.

Cosa significa vivere sotto scorta? E’ una sorta di carcere senza sbarre?

“Non mi definirei un carcerato, ma sicuramente queste misure limitano la libertà personale e la privacy, non solo mia, ma anche dei miei cari”.

Ultima domanda, forse la più difficile. Come si può sconfiggere la mafia?

“Le dirò una cosa che, forse, le sembrerà strana. La risposta giurisdizionale, quella cioè di polizia giudiziaria, è l’ultima spiaggia. La lotta alla mafia parte da una battaglia di educazione alla legalità. Soltanto partendo dalle scuole dove si deve promuovere una cultura di legalità si può sperare un giorno di sconfiggere il crimine organizzato. Non a caso io ricordo una frase celebre di Giovanni Falcone che affermava: la mafia teme la scuola più della giustizia.  Serve uno scatto da parte di tutti, la mafia non è un problema solo di polizia giudiziaria”.

 

 


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