I precari, il quarto "pizzo" | per le imprese siciliane - Live Sicilia

I precari, il quarto “pizzo” | per le imprese siciliane

Prosegue la collaborazione con Live Sicilia di un politico che scrive sotto pseudonimo che ha già scritto sui tagli. Le imprese aggiudicatarie di appalti di lavori, forniture e servizi per gare in Sicilia dovrebbero, infatti, assumere il 20% della forza lavoro attingendo al bacino dei precari costituito da chi, a vario titolo, lavora presso la Regione, gli enti regionali e locali. Come se non bastassero le altre vessazioni.

La riflessione
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5 min di lettura

PALERMO- Fare impresa, si sa, diviene sempre più arduo. Stretta creditizia, ritardi nei pagamenti, inasprimento fiscale, adempimenti burocratici farraginosi, ed un sistema sempre più complesso di regole (tra le più farraginose al mondo) sul lavoro, sulla previdenza e sulla sicurezza, rendono quasi impossibile realizzare utili e senza utili le imprese semplicemente …..falliscono. Ma la situazione per le aziende siciliane, in prevalenza medio-piccole, è ancora più difficile.

1) Molte, com’è noto, sono sottoposte a racket ed usura: nella sola Isola, sono almeno 50 mila, dal 2009 al 2011 in Sicilia hanno chiuso circa 100 mila imprese, di queste 30 mila per grave indebitamento e per usura, mentre il costo complessivo per l’intero sistema imprenditoriale regionale sfiora i 5 miliardi di euro, pari al 6% del Pil siciliano (Confesercenti XIII Rapporto di Sos Impresa). Il pizzo, divenuta un’illecita tassa ambientale che si paga per lavorare tranquilli, ingrassa le mafie e costituisce un onere che determina uno svantaggio competitivo, appesantendo i conti aziendali.

2) Quelle che operano con l’amministrazione pubblica, poi, sono troppo spesso sottoposte ad un’ulteriore vessazione: la dilagante corruzione. Fenomeno di gran lunga più vasto di quel che emerge dai processi penali, come sottolinea la Corte dei conti: la corruzione in Italia vale circa 60 miliardi € l’anno, mentre nel 2011 sono state inflitte condanne solo per 75 milioni €. La corruzione e la concussione, oltre ad avere l’effetto del pizzo sul piano della redditività e degli equilibri di bilancio, sono anche reati ad alta pericolosità sociale in quanto minano, alla base, la stessa credibilità delle istituzioni e del mercato.

3) C’è, poi, il peso della burocrazia. Da anni si succedono norme di semplificazione, sburocratizzazione, efficientamento della p.a., ma i risultati sono contraddittori ed il peso dell’apparato burocratico grava, anch’esso immutato, sui bilanci delle imprese per gli oneri impliciti ed espliciti che genera. Lo ricorda Unioncamere: la somma dei costi interni (tempi e giornate/uomo dedicate agli adempimenti) e dei costi esterni (costi legati al ricorso ai consulenti esterni) è pari, per l’intero sistema delle micro e piccole imprese a 11, 6 miliardi di euro, lo 0,7% del PIL e tale onere incide sul fatturato delle aziende per circa il 7,4%, in continua crescita dal 2007. e….

4) Adesso – come se non bastasse – l’imperturbabile governo regionale, gongolante come colui che ha trovato il Santo Graal, regala (a quanto pare con il beneplacito di Confindustria-Sicilia) il quarto “pizzo”: le imprese aggiudicatarie di appalti di lavori, forniture e servizi per gare in Sicilia dovrebbero, infatti, assumere il 20% della forza lavoro attingendo al bacino dei precari costituito da chi, a vario titolo, lavora presso la Regione, gli enti regionali e locali. Inoltre, viene proposta la soluzione (non meno estemporanea) dell’utilizzo dei (molti) precari degli enti locali con le risorse (poche) delle ordinanze di protezione civile.L’uovo di Colombo, direbbe qualcuno, o piuttosto una marchiana boutade, peraltro di difficilissima applicazione ed in contrasto con i fondamentali principi della concorrenza, che consente comunque di imbonire i precari con annuncio megafonico: “non si perderà un posto di lavoro”?

Alcune considerazioni per farsi un’idea: A) le imprese (almeno quelle vere e non quelle inventate “per aggiudicarsi appalti” grazie a compiacenze alla politica degli affari), sono dotate già di propri dipendenti che hanno formato e con i quali hanno rapporti fiduciari (sia a tempo determinato che indeterminato) Che ne fanno? In questo modo l’occupazione ‘imposta’ dei precari non genererebbe altra disoccupazione? E chi pagherà la mobilità e disoccupazione dei lavoratori privati? Sempre l’erario pubblico pare. Cosa accade nella miriade di affidamenti ‘in house’ (a società regionali e locali) dove già lavorano, spesso anch’essi precari, migliaia di lavoratori, si applicano le “porte girevoli”?

B) nel momento in cui le imprese aggiudicatarie sono sottoposte ad un ulteriore onere, inesistente nel resto d’Europa – ed ammesso e non concesso (prevalgono i dubbi) che sia compatibile con il diritto comunitario -, non è più che prevedibile che questo costo sia traslato sull’amministrazione appaltante determinando così l’incremento del prezzo e vanificando ogni beneficio economico strutturale? Oppure si ritiene di far tracimare puramente e semplicemente sulle imprese “costi” che sono dell’amministrazione? E che ne sarà dei precari terminata l’esecuzione dell’appalto?

C) Altra questione: se si va verso le aste elettroniche – unica procedura che riesce a garantire che non ci sia un’inquinamento dell’appalto, scongiurando la ridicola proposta delle telecamere nelle stanze dove operano le commissioni di gara – ed agli acquisti in via informatica a prezzi stabiliti dalla Consip (la centrale acquisiti nazionale) eguali nell’intero Paese (validi per i principali servizi e beni) come si imporrà solo alle imprese che operano con la Regione di farsi carico dei precari?

L’espansione della sfera pubblica con gli affidamenti diretti ad una miriade di società regionali, provinciali e comunali ha già messo fuori mercato molte imprese.Questa “trovata”, se intende imporre un nuovo ed ulteriore onere alle aziende appaltatrici, contribuirà ancor di più alla desertificazione imprenditoriale della Sicilia. Invece di recidere ‘lacci e laccioli’ che impediscono alle imprese di crescere, con questa nuova “iniziativa” si impongono nuovi e più pregnanti oneri per lavorare in Sicilia. Nella dinamica della competitività dei territori il sistema Regione rende, così, meno appetibile fare impresa nell’Isola.

Col precariato, stiamo tutti pagando un problema, e purtroppo non solo quello, creato dalla politica incapace di costruire il futuro della società siciliana ed in grado di offrire solo micro-soluzioni clientelari a carico delle finanze pubbliche per biechi interessi elettorali da parte dei populisti di ieri e di oggi, di destra, centro e sinistra. Su questo problema è il pubblico che, razionalizzando la propria struttura, deve offrire risposte innovative, non potendo ‘scaricare’ sulle già flebili gambe delle imprese private oneri impropri e, comunque, incompatibili con la loro competitività.

A voi il giudizio.


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