Berlusconi da Santoro: | in scena l'Italia che si odia - Live Sicilia

Berlusconi da Santoro: | in scena l’Italia che si odia

Berlusconi da Santoro. Vecchie ruggini condensate in una lunga trasmissione. Alla fine, secondo voi, chi è risultato vincitore?

Il duello in tv
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Ma come, non si sono ancora presi a schiaffi? E’ l’attonita domanda del telespettatore normodotato, mentre ‘Servizio Pubblico’ scorre senza rivoli di sangue. Silvio Berlusconi, nel frattempo, si trova immerso (è proprio il caso di dirlo) in una dissertazione idrogeologica sull’acqua alta a Venezia. Michele Santoro lo fissa affettuoso e rapace. Si odiano così tanto che non saprebbero neanche dirsi addio. E si nota. Berlusconi vs Santoro, ecco perché ci siamo accomodati in poltrona con i pop corn e un’aspettativa da famiglie romane al Colosseo. Rocky e Ivan Drago, Paperino e Topolino, Craxi e De Mita. Silvio contro Michele. E dalle tribune catodiche si alza il coro: san-gue, san-gue.

E quelli non si picchiano. Silvio non se ne va, deludendo i bookmakers. Michele non trae fuori dal taschino una Misericordia per pugnalarlo alla gola. Si vomitano addosso parole di rancore vero, fiele di persone che si annienterebbero con gusto. Entrambi, tuttavia, conoscono la verità che è poi una condanna mediatica: l’uno vive nel riflesso dell’altro. Anche quando non sono insieme nella pupilla della genia televisiva la coppia dei contrasti si nutre della linfa comune. Cosa sarebbe la luccicante protervia di Berlu senza la sarcastica arroganza di Santo?

Diversa perfino la postura, differente l’immagine. Santo è un uomo col peso esibito degli anni, l’adipe polemista-intellettuale, la guancia plissettata. Berlu tende all’immortalità. Lo dimostra il colore dei capelli. Una tinta mai vista da occhio umano, marroncina, iperurania, pura tricologia extraterrestre. E sì, un po’ ci si annoia, un po’ viene voglia di andare a nanna, o di mettere “Gli Intoccabili” su Sky. Lì il buono e il cattivo non danno corpo a equivoci. C’è Kevin Costner l’immacolato e noioso agente del tesoro. C’è Bob De Niro, ghignante effigie della cattiveria.

E qui su La 7? Le tifoserie rimangono deluse. Le bandiere sventolate a casa si afflosciano. I pop corn avvizziscono. Tra uno sbadiglio e l’altro, sui social, vanno in giro battute che non sarebbero cambiate in alcun caso, tanto sono coincidenti con irriducibili visioni dal mondo da risultare appese a un copione purchessia. C’è chi magnifica Silvio, c’è chi commenta, idolatrando Michele. Tutti fanno la ola. Nessuno guarda davvero la partita.

Un momento di tensione, un ravvivarsi, un darsi di gomito per migliaia di gomiti idealmente affratellati. Ecce Travaglio! (sangue).

Solo che Marco si inceppa, almeno a prima botta. In parecchie occasioni ha evocato lo spirito di Arcore, sbeffeggiandolo col fuoco di fila delle sue pignole ricostruzioni. Ora, a vederselo davanti in tacchi e cerone, Travaglio farfuglia. La voce ha un suono stridulo e non si capisce molto. Nel secondo round, il giornalista si riprende con una lettera efficace. Berlusconi va fuori dai gangheri, legge una invettiva contro “Il genio del male”. Spazzola la sedia su cui il suddetto era seduto. Abbozza un “non avete senso dell’umorismo”, la stessa copertura – l’umorismo – alla memorabile pantomina del kapò che in Europa rammentano tutti. Due gocce di sangue, per gioia del Colosseo, sono infine cadute.

Però è il Paese a dare spettacolo. Questa Italia che tifa per l’uno o per l’altro su Facebook, così stanca, così bisognosa di avercela con qualcuno, così amorevolmente legata al nemico e allo steccato. L’Italia di Santo e di Berlu, con Travaglio sullo sfondo. L’Italia paga dell’odio che suscita e copre con amarissimi sorrisi. Domani (non) sarà forse un altro giorno.

 


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