Il giudice "ribelle"| alla procura generale - Live Sicilia

Il giudice “ribelle”| alla procura generale

Roberto Scarpinato

Roberto Scarpinato ha trascorso quasi tutta la sua carriera nel palazzo di giustizia di Palermo. Dalle indagini con Falcone e Borsellino, ai delitti eccellenti, alla "rivolta" contro Giammanco, fino al processo Andreotti e le inchieste su mafia-economia e la trattativa.

PALERMO – Roberto Scarpinato è il nuovo procuratore generale della Repubblica di Palermo. Dopo un passaggio nella sua città d’origine, Caltanissetta, dove ha ricoperto lo stesso ruolo, lo storico magistrato antimafia torna dunque nel Palazzo che lo ha visto protagonista di processi eccellenti e della “rivolta” dei magistrati nel post-stragi.

Scarpinato ha 60 anni, in magistratura dal 1977, nel 1988 arriva a Palermo dove collabora da subito alle indagini del pool antimafia di Falcone e Borsellino. Con la legge istitutiva delle direzioni distrettuali antimafia, Scarpinato ne diventa subito componente e a lui vengono affidati i processi per i cosiddetti “delitti eccellenti”: Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella e Michele Reina. Ma è dopo la strage di via D’Amelio che il suo nome assurge agli onori delle cronache. Viene definito, infatti, il giudice “ribelle”, perché alla testa di un gruppo composto da altri suoi sette colleghi, all’indomani dell’eccidio di Borsellino e dei suoi uomini di scorta, firma le sue dimissioni nelle mani dell’allora procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco.

Non è possibile vincere questa battaglia, questa guerra, se nei luoghi strategici delle istituzioni continuano a restare nei loro posti persone che, per vari motivi, o un difetto di competenza, o forme di indifferenza morale, o per rassegnazione fatalistica, non sono ingrado di assolvere ai loro doveri, ai loro compiti. Bisogna ristabilire il principio di responsabilità che passa anche attraverso rimozioni e dimissioni per affermare che oggi, in Italia, quando si tratta di vita o di morte, se c’è qualcuno che non è all’altezza, deve andare via”. Lo sfogo con i cronisti era certamente una critica al sistema intero ma, nel contempo, un messaggio forte e chiaro inviato contro il procuratore Giammanco, additato da tutti come uno dei principali artefici dell’isolamento di magistrati come Falcone e Borsellino.

La questione, ovviamente, finì al Csm che concluse con l’invito a Giammanco a lasciare Palermo. Nel capoluogo siciliano viene inviato Giancarlo Caselli, già noto per i successi ottenuti nel contrasto al terrorismo; viene arrestato Totò Riina e gli avvisi di garanzia non risparmiano proprio nessuno: dal numero tre del Sisde, Bruno Contrada, al sette volte presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. E proprio quello che è stato definito il “processo del secolo” è finito nelle mani di Roberto Scarpinato che ha rappresentato l’accusa contro il senatore a vita con i colleghi Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli. È il più giovane pm dell’accusa.

Negli stessi anni dalle sue mani passa un rapporto della Dia che fornisce la contestualizzazione delle bombe esplose nel biennio ’92-’93 in un quadro molto più ampio. E Scarpinato dà avvio a una delle indagini più ambiziose della procura di Palermo: l’inchiesta “Sistemi criminali”. Cosa nostra, in associazione con la ‘ndrangheta, la camorra e la Sacra corona unita, avrebbero tramato, col contributo di altre forze (massoneria, eversione nera, servizi deviati) a una sorta di golpe secessionista da attuare attraverso delle leghe meridionali che, già nel 1993, cominciavano a nascere. Un progetto, poi, stoppato dalla comparsa di una nuova forza politica. Un’inchiesta che, però, è stata archiviata sul finire degli anni ’90 ma di cui sopravvive una parte, stralciata, quella della trattativa Stato-mafia.

Nel frattempo Scarpinato, conscio che il potere mafioso è ormai sempre più un potere economico e di relazioni, si specializza nelle indagini in questo specifico campo, al punto da creare, una volta divenuto procuratore aggiunto, un dipartimento mafia-economia all’interno della Procura. Da questo nuovo “ufficio” parte la caccia ai grandi patrimoni di Cosa nostra e l’obiettivo principe diventa colpire i colletti bianchi che si mettono “a disposizione”, personaggi senza il cui contributo, la forza di Cosa nostra sarebbe di gran lunga inferiore. Il risultato è che fra il 2008 e il 2010, secondo quanto riportato dalle relazioni della Dia, è stato aggredito un patrimonio pari a tre miliardi e mezzo di euro. Una buona parte del “bottino” è stato il frutto del lavoro di Scarpinato e dei suoi colleghi.

Ma ad attenderlo dietro l’angolo c’è sempre quell’inchiesta mai, in realtà, abbandonata. Sul finire del primo decennio del 2000, la situazione in procura cambia. A Pietro Grasso, volato a Roma a guidare la Dna, si sostituisce Francesco Messineo, sulla scena irrompono (nel bene e nel male) due personaggi come Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza, e Scarpinato viene inserito nel pool che riapre il fascicolo sulla trattativa, costola dell’inchiesta “Sistemi criminali”. Ma, prima che il procedimento arrivi alle richieste di rinvio a giudizio, Scarpinato viene nominato procuratore generale a Caltanissetta, dove un altro fascicolo importante – e intrecciato col primo – è stato riaperto: quello sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. Così, da pg, Scarpinato firma, nell’ottobre 2011, l’ordine di scarcerazione per i sei ergastolani ingiustamente accusati e condannati sulla base delle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e chiede la revisione del processo sull’uccisione di Borsellino e dei suoi uomini.

Poi arriva l’estate, la scorsa estate, e su Scarpinato scoppia il putiferio. “Il male di mafia non è affatto solo fuori di noi, ma tra di noi” dice alla commemorazione dell’omicidio di Giovanni Falcone. Ma è in quella in via D’Amelio che la critica si fa ancora più stringente, con una lettera a Paolo Borsellino letta dal palco allestito nel luogo teatro della strage: “Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà”.

Il risultato è che il Csm apre un procedimento disciplinare, mentre su Scarpinato piove la solidarietà dei colleghi della cosiddetta società civile: sono 320 le firme di magistrati apposte in calce a una lettera di solidarietà al giudice inoltrata al Csm. E a ottobre la pratica viene archiviata. Sullo sfondo di questa vicenda, forse strumentalmente tirata in ballo, proprio la richiesta di Scarpinato di diventare procuratore generale a Palermo.


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