Porcellum e sbarramento, |la sfida da brivido dei "piccoli" - Live Sicilia

Porcellum e sbarramento, |la sfida da brivido dei “piccoli”

La legge elettorale fissa una serie di soglie minime per staccare il biglietto per Montecitorio e Palazzo Madama. Ecco le liste che in Sicilia giocano la delicata partita del "dentro o fuori".

PALERMO – C’è una sfida nella sfida che si gioca tra due settimane alle Politiche. È quella per la “sopravvivenza” che vede in trincea i “piccoli” alle prese con gli sbarramenti dell’astruso e detestabile “porcellum”. Una partita complicata e carica di incertezze, che per alcuni partiti si traduce in un “dentro o fuori” da brivido.

La legge elettorale fissa una serie di soglie di sbarramento diverse tra Camera e Senato, che variano a seconda che una lista si presenti da sola o in coalizione con altri. Ad esempio, per le liste che si presentano all’interno di una coalizione, per la Camera lo sbarramento è al 2 per cento, per il Senato al 3. Una cifra che, con la paurosa frammentazione del voto in queste Politiche, non appare un obiettivo scontato per diverse forze politiche. Nel centrodestra, ad esempio, attorno al Pdl di Berlusconi, si presentano partner più piccoli, che dovranno spartirsi quel che il Cavaliere pigliatutto lascerà. In una campagna elettorale monopolizzata dall’ex premier, lo spazio mediatico per i suoi partner è stato fin qui poco o nulla. Ecco perché per liste come Grande Sud, Pds-Mpa, Cantiere Popolare, La Destra e Fratelli d’Italia, quel 3 per cento è tutto da costruire.

Il più vicino riferimento è quello delle regionali di ottobre. Allora votarono solo due milioni e 200 mila persone, il 47 per cento. Stavolta, l’affluenza potrebbe essere un po’ più alta. E i partiti fissano quota 3 per cento intorno ai 65-70 mila voti. Che sarebbero una bazzecola, sulla carta, per l’Mpa di Raffaele Lombardo, che a fine ottobre ne raccolse 182 mila. Ma erano elezioni regionali, si votava con le preferenze, Lombardo era il governatore uscente e il partito non aveva ancora subito scissioni. Da allora, il clima è cambiato, Giovanni Pistorio e Nicola D’Agostino se ne sono andati, così come Giuseppe Picciolo e altri pezzi di partito sparsi per il territorio. Certo, la discesa in campo del lider maximo Raffaele ha dato una marcia in più alla corsa degli autonomisti, ma la poltrona di Palazzo Madama per l’ex governatore non è un affare sicuro.

Altro superbig che potrebbe giocarsi la rielezione sul filo di lana è Gianfranco Miccichè. Il suo Grande Sud (del quale guida la lista per il Senato) alle regionali totalizzò 115 mila voti. Da allora il partito arancione ha perso per strada tra gli altri Michele Cimino, Titti Bufardeci, Edi Tamaio, Riccardo Savona, Toni Scilla, Salvo Fleres, Ugo Grimaldi. Basterà la new entry Salvatore Iacolino a compensare? Difficile fare previsioni al momento, ma certo anche qui la partita è tutta da giocare e Gianfranco Miccichè, da vent’anni protagonista della politica siciliana, gioca un “all in” da brivido.

Stesso discorso per Fratelli d’Italia, il nuovo soggetto politico del trio Crosetto-La Russa-Meloni, la cui lista al Senato è capitanata da Salvino Caputo. Per loro è il debutto assoluto, non c’è un precedente con cui confrontarsi. I sondaggi a livello nazionale non danno garanzie di staccare il biglietto per Palazzo Madama. Chi spera di raggiungere l’agognato 3 per cento al Senato (e che pare avere buone chance di centrare almeno il 2 alla Camera) è La Destra, che in Sicilia conta sul purosangue Nello Musumeci. La sua lista alle regionali raccolse oltre 100 mila voti, ma il dato non è indicativo, visto che risentiva del traino della sua candidatura alla presidenza della Regione e che in quella lista la Destra era solo una delle anime.

Raggiunse quota 112 mila voti a ottobre il Cantiere popolare, che corre stavolta solo per il Senato (alla Camera i suoi si torvano nelle liste del Pdl). Anche per il partito di Saverio Romano un sistema elettorale senza preferenze può essere penalizzante. Se a questo si aggiunge l’effetto catalizzante di Berlusconi a svantaggio delle liste più piccole e i circa settemila voti di Pippo Gianni (passato con Tabacci) che mancheranno all’appello, anche qui l’obiettivo 70 mila voti appare possibile ma tutt’altro che certo.

Certo, in casa Pdl, senza dirlo ad alta voce, in tanti sperano in uno scenario “ottimale” in cui la coalizione berlusocniana vince in Sicilia, strappa il premio di maggioranza di 14 senatori e non lo divide con nessuno perché i suoi alleati restano tutti sotto lo sbarramento. Ma Miccichè, Lombardo e compagni ce la metteranno tutta per “guastare la festa”.

Ma anche nella sfida alla Camera, i piccoli del centrodestra hanno davanti a sé un’enorme incognita. Per Montecitorio, lo sbarramento è a livello nazionale ed è fissato al due per cento (con un “jolly” per una sola lista della coalizione che si piazza sotto il 2). Sondaggi alla mano, nessuno tra La Destra, Fratelli d’Italia e Grande Sud può dirsi certo di raggiungere il traguardo. I capilista di questi partiti (da Gianpiero Cannella di Fratelli d’Italia a Pippo Fallica e Guglielmo Scammacca della Bruca di Grande Sud-Mpa), quindi, dovranno dare il massimo sul territorio ma guardare anche al dato nazionale da cui dipenderà il loro eventuale accesso a Montecitorio.

Discorso analogo vale per i “piccoli” del centrosinistra. Se al Senato l’obiettivo del 3 per cento appare per lo meno complicato per la lista di Tabacci e per quella dei Moderati di Portas, alla Camera invece, il Centro democratico dei tabacciani dovrebbe pescare il jolly del miglior piazzato sotto il due per cento, spedendo a Montecitorio una minipattuglia di deputati. Al Senato, invece, chi conta di superare in scioltezza la soglia del 3 per cento è il Megafono di Rosario Crocetta e Beppe Lumia, che parte dei 118 mila voti delle regionali e che adesso, forte dei nuovi innesti che lo hanno trasformato in un variopinto caravanserraglio per sfollati e transfughi di ogni colore, addirittura intende contendere il primato agli alleati del Partito democratico. E, nei piani di Bersani, potrebbe essere proprio la lista omnibus del governatore ad assicurare al centrosinistra la vittoria e il premio di maggioranza al Senato.

Sempre in tema di piccoli, gioca le sue carte in Sicilia Futuro e libertà. La lista di Gianfranco Fini in diversi sondaggi era data sotto la soglia del 2, ma dovrebbe staccare comunque qualche biglietto per Montecitorio come miglior lista della coalizione montiana sotto lo sbarramento. Quanti seggi? Difficile prevederlo, ma certo, almeno uno, se non un paio, potrebbero scapparci proprio in Sicilia. Alle regionali Fli totalizzò 84 mila voti, ma con un paio di assessorati in mano e con liste in cui abbondavano esponenti di peso dell’Mpa. Da allora, inoltre, i finiani hanno perso i due leader di Agrigento e Trapani, Luigi Gentile e Livio Marrocco, che si son portati dietro le proprie truppe. E così anche per Carmelo Briguglio e Fabio Granata il ritorno a Roma è ancora tutto da costruire.

Incognite anche per Rivoluzione civile di Antonio Ingroia. Nei sondaggi, fin quando è stato possibile pubblicarli, la lista si piazzava sopra la soglia del 4 per cento nazionale, necessario per accedere alla Camera (in prima fila in Sicilia Franco La Torre e Sandro Ruotolo). Ma la sinistra radicale siciliana conosce bene il rischio di una beffa, come quella delle regionali del 2008 quando la Sinistra Arcobaleno si fermò al 4,9 per cento, restando fuori dall’Ars per un pugno di voti, e aspetta il 25 per fare i conti. Magari facendo gli scongiuri. Quanto alla partita per il Senato, dove serve l’8 per cento su base regionale, i sondaggi pubblicati nelle scorse settimane non prevedevano il raggiungimento della soglia di sbarramento in alcuna regione, ma Ingroia ha mostrato, al riguardo, molto ottimismo, sale della vita… e della politica.


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