Imputazione coatta per mafia| Sotto accusa Ferdico - Live Sicilia

Imputazione coatta per mafia| Sotto accusa Ferdico

I pm adesso dovranno formulare entro dieci giorni la richiesta di rinvio a giudizio. Saranno loro a dovere decidere se l'accusa contestata sarà di associazione mafiosa o concorso esterno. L'ipotesi del riciclaggio è, infatti, caduta. Poi, la decisione finale spetterà ad un altro giudice, questa volta dell'udienza preliminare.

PALERMO- E alla fine Giuseppe Ferdico sarà imputato per mafia. Dopo tre richieste di archiviazione respinte il giudice per le indagini preliminari ha deciso l’imputazione coatta per il re palermitano dei detersivi sotto inchiesta dal 2006. Secondo il Gip, Ferdico deve essere processato. I pm adesso dovranno formulare entro dieci giorni la richiesta di rinvio a giudizio. Saranno loro a dovere decidere se l’accusa contestata sarà di associazione mafiosa o concorso esterno. L’ipotesi del riciclaggio è, infatti, caduta. Poi, la decisione finale spetterà ad un altro giudice, questa volta dell’udienza preliminare.

“L’accertata esistenza di rapporti di collusione e di complicità con soggetti inseriti o gravitanti nell’organizzazione mafiosa non appare sufficiente per ritenere provato il suo organico inserimento all’interno dell’organizzazione stessa”. Ecco perché la procura di Palermo nei mesi scorsi, e per la terza volta, aveva chiesto l’archiviazione dopo avere completato gli accertamenti disposti dal Gip.

L’attività di Ferdico è stata scandagliata. La sua vertiginosa scalata imprenditoriale ha destato sospetti. Niente riscontri concreti, però, secondo i pm, alle accuse di associazione mafiosa e riciclaggio. Né alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia su uno dei più noti imprenditori della grande distribuzione in città. In particolare, i pentiti misero a verbale che i fratelli Stefano e Angelo Fontana avevano utilizzato le attività di Ferdico per ripulire 400 milioni di lire. Il nome dell’imprenditore compariva pure in alcuni pizzini sequestrati a Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Si faceva riferimento ad assunzioni e pagamenti. Tutte accuse ritenute generiche e non riscontrabili. Ferdico si è sempre definito una vittima. Altro che imprenditore a disposizione dei mafiosi. Ha ammesso di avere pagato il pizzo, anche sotto forma di assunzioni, “per quieto vivere”. assistito dagli Roberto Tricoli e Luigi Miceli Tagliavia, decise di dire basta.

L’ultima tranche di indagini si è concentrata sui rapporti fra Ferdico e Angelo Galatolo. Nel corso di una perquisizione in casa Galatolo, nel 2010, gli investigatori trovarono una serie di documenti. Appunti in cui veniva descritto il giro d’affari di Ferdico nel 2009 e una quindicina di fatture per 200 milioni che l’imprenditore aveva pagato alla Shoppers & Paper. Si tratta della ditta di Galatolo che vendeva sacchetti di plastica e carta da imballaggio. Le scritture contabili hanno fatto emergere che Galatolo ha davvero fornito merce a Ferdico nel 2003 e 2004. Da qui le conclusioni dei pubblici ministeri Gaetano Paci e Annamaria Picozzi: “L’analisi conferma l’esistenza degli intensi rapporti d’affari, ma non consente di pervenire ad un accertamento inequivoco anche sull’esistenza di un rapporto di cointeressenza di fatto fra i due”.

Altro particolare su cui gli investigatori si sono concentrati sono stati i lavori per la ristrutturazione del capannone di Carini, dove Ferdico ha realizzato un centro commerciale. Anche questo, come tutti gli altri punti vendita è finito sotto sequestro nel luglio scorso. Perché se le accuse non sono sono servire per mandare Ferdico sotto processo sono state sufficienti per fare scattare il sequestro del suo patrimonio. I suoi punti vendita oggi sono in amministrazione giudiziaria. I finanzieri hanno scoperto che tra le ditte incaricate dei lavori c’era pure quella di Antonino Pipitone, boss di Carini. Il suocero di quest’ultimo, Antonino Maiorana, era stato assunto come guardiano. Contemporaneamente, però, è saltato fuori che Maiorana è stato licenziato dopo l’arresto del genero; mentre i lavori della ditta Pipitone – 77 mila euro – sono stati regolarmente contabilizzati. Sul punto i pm conclusero che “in mancanza di altri elementi non si può dubitare, allo stato, della veridicità del dato”.

Il capitolo più spinoso dell’inchiesta riguardava le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Nel novembre del 2011 Francesco Onorato, un tempo affiliato alla famiglia mafiosa di Partanna Mondello, ha ricostruito i rapporti di Benedetto Marciante, mafioso di Resuttana, con i clan Galatolo e Madonia. Ha messo a verbale che “le maggiori fortune Marciante le aveva fatte attraverso la trasformazione industriale delle liscivia da cui ricavava il detersivo che poi metteva in commercio utilizzando falsi noti marchi. In questa attività erano investiti i soldi dei Madonia e dei Galatolo. Per la commercializzazione Marciante si avvaleva di diversi imprenditori, tra i quali ricordo un certo Ferdico. Avevano un rapporto molto intimo ma non sono in grado di riferire con precisione se fossero soci, né se gestissero affari in comune”. Ed ancora: “Conosco Angelo Galatolo, figlio di Gaetano, persona inserita nella famiglia dell’Acquasanta, anche se non uomo d’onore, che operava nel settore della commercializzazione di carta e sacchetti. Galatolo mi aveva più volte parlato di avere instaurato un stretto rapporto con Ferdico senza riferimenti su quali fossero i loro interessi in comune”. Onorato ha pure aggiunto di avere saputo che dietro le attività del padre di Ferdico c’erano i soldi dei mafiosi di Santa Maria del Gesù. Sulle dichiarazioni di Onorato i pm nella richiesta di archiviazione avevano scritto che “non consentono di pervenire ad un accertamento specifico in ordine al rapporto fra Ferdico e i Galatolo”.

Quando si è pentito Marcello Trapani, ex avvocato dei Lo Piccolo, gli investigatori sono andati a chiedergli anche notizie su Ferdico. E l’ex penalista ha raccontato che l’imprenditore aveva assunto il figlio di Salvatore Puccio, cognato di Salvatore Lo Piccolo: “Ferdico non aveva esitato a mettersi a disposizione. Puccio mi diceva che Ferdico sapeva quello che doveva fare”. In effetti il figlio di Puccio, tra l’ottobre e il dicembre del 2003, ha lavorato per Ferdico, “tuttavia a tale accertamento non può attribuirsi, almeno allo stato – scrissero i pubblici ministeri nella richiesta di archiviazione – un riscontro convalidante di un intervento dei Lo Piccolo”.

L’ultimo pentito ad essere stato interrogato è stato Marco Favaloro, un tempo uomo di fiducia dei Galatolo e dei Madonia. La sua è stata una testimonianza chiave. Su Favoloro i pentiti Angelo Fontana e Francesco Onorato, infatti, non avevano avuto dubbi: “Ha rapporti stretti con Ferdico”. Eppure Favoloro ha spiegato che il nome “nulla mi dice, non lo conosco”. E quando gli hanno mostrato la foto del re dei detersivi ha aggiunto: “Mi sembra un viso conosciuto, ma di certo non ho mai avuto a a che fare con questa persona. Non ho motivo per non dire la verità, non capisco come Onorato e Fontana possano avere dichiarato che lo conosco”.

Se c’è un tema su cui la Procura non ha fatto sconti è “la vistosa inattendibilità dei conti” dell’impresa di Ferdico. L’intero impianto contabile dal 2000 al 2010 “è apparso fortemente viziato da irregolarità, anomalie, falsità che fanno molto ragionevolmente credere nell’esistenza di una contabilità parallela. L’inattendibilità riconduce inequivocabilmente alle tipiche tecniche di riciclaggio”. Non ha convinto per nulla l’aumento di capitale che, all’inizio dell’ascesa commerciale di Ferdico, schizzò da sei a quattrocento milioni di lire: “Si può senza ombra di dubbio affermare che l’origine delle provviste non può essere ascrivibile a sussistenze proprie dei coniugi Ferdico. L’esame del conto cassa ha evidenziato saldi giornalieri esuberanti e assolutamente inverosimili”.

Nonostante i tanti dubbi i pubblici ministeri avevano concluso, nel luglio scorso, il supplemento di indagini ordinato dal gip chiedendo per la terza volta l’archiviazione: “Gli elementi acquisti, pur avendo permesso ulteriore approfondimento delle relazioni instaurate nel tempo dal Ferdico con l’organizzazione mafiosa, tuttavia non consentono, allo stato, di potere ricostruire con la necessaria precisione i rapporti di cointeressenza instaurati da Ferdico”. Le prove raccolte non sono bastate, dunque, per chiedere un processo. Sono state sufficienti, invece, per chiedere e ottenere un sequestro di prevenzione. I punti vendita della Ferdico Giuseppe & C snc sono in amministrazione giudiziaria. Una dozzina di market, a Palermo e provincia, intestati all’imprenditore, alla moglie e ai loro tre figli. Il valore complessivo dei beni supera i 450 milioni di euro.

I legali di Ferdico, gli avvocati Roberto Tricoli e Luigi Miceli, hanno sempre sostenuto che “l’imprenditore ha subito un danno imprenditoriale e personale, nonostante la procura della Repubblica di Palermo si sia determinata ad avanzare più richieste di archiviazione, all’esito di una attenta e vastissima indagine che ha scandagliato l’intera attività commerciale esercitata dalle aziende di Ferdico”. Oggi è arrivata l’imputazione coatta.

 

 


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