"Crocetta ha una mentalità tribale | Adesso mi chieda pubblicamente scusa" - Live Sicilia

“Crocetta ha una mentalità tribale | Adesso mi chieda pubblicamente scusa”

Il presidente Crocetta ha fatto riferimento, durante la conferenza stampa di ieri, a un dirigente della Segreteria generale trasferito perché "genero di un presunto boss di Villabate". Il dirigente, Francesco Schillaci, ha affidato la sua replica a Live Sicilia. Riceviamo e pubblichiamo integralmente.

La lettera
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Il presidente Crocetta ha fatto riferimento, durante la conferenza stampa di ieri, a un dirigente della Segreteria generale trasferito perché “genero di un presunto boss di Villabate”. Il dirigente, Francesco Schillaci, ha affidato la sua replica a Live Sicilia. Riceviamo e pubblichiamo integralmente.

“Uno degli effetti collaterali più dannosi della barbarie mafiosa è quello di imbarbarire molti di coloro che vi si oppongono. Esempio eclatante ne è il Presidente Crocetta, il quale, con i suoi soliti modi teatrali, non esita a gettare in pasto all’opinione pubblica una persona – un dirigente della sua Presidenza, confermando la sua deleteria attitudine da generale impazzito che prende di mira le proprie truppe – considerandolo non nella sua propria individualità, che si riassume in ciò che è e ciò che fa, ma unicamente per essere “il genero di”, dimostrando una mentalità tribale che la civiltà ha da tempo bandito, secondo la quale si può essere puniti soltanto in virtù dell’appartenenza ad un gruppo, a un clan. Ma, purtroppo, il pensiero e il ragionamento che ci contraddistinguono come umani, assieme ad un sentire cristiano basato sulla sacralità della persona, che ha ispirato l’illuminismo e le sue conquiste, appaiono relegati al rango di arnesi ormai inservibili in questa deriva demagogica e populista, pericolosamente antilegalitaria, che sembra contrassegnare questo tempo.

Leonardo Sciascia – mai tanto rimpianto – ammoniva che l’unico argine contro la barbarie è il diritto. Tutti, in particolare coloro che hanno responsabilità istituzionali, dovrebbero stare molto attenti a non superare mai questo argine, che ha come baluardo la nostra splendida Costituzione, costata fatiche e sangue non per essere declamata in un bello spettacolo televisivo, ma per assicurare diritti, sicurezza e libertà a tutti.

Anche al procuratore Messineo, e addirittura al giornalista più giustizialista in circolazione, Marco Travaglio, è capitato di essere oggetto di attacchi, nel primo caso per una parentela, nel secondo per un comportamento amichevole nei confronti di un poliziotto, dopo anni accusato di essere colluso con la mafia, peraltro tra i più stretti collaboratori del dott. Ingroia.

Ma veniamo al mio caso.

Io sono un dirigente della Regione entrato per pubblico concorso nel 1989 (e non catapultato dall’esterno per misteriosi meriti manageriali, come soltanto una mala politica ha fatto e continua a fare). Dopo la laurea in legge, la mia preferenza professionale e ideale è stata rivolta alla Magistratura, sogno che non si è coronato. Sul piano lavorativo, ho sempre riscosso unanime apprezzamento e stima professionale, riconosciuta dalla decina di Presidenti che si sono succeduti. Se qualche increspatura ci può essere stata, è dovuta soltanto al mio maniacale senso della legalità. L’antimafia l’ho sempre praticata nella mia attività quotidiana, avendo di mira unicamente lo sviluppo della Sicilia. Ciò anche in un settore nevralgico come quello dei finanziamenti di opere pubbliche (e non fondi strutturali, se serve ancora a qualcosa distinguere), e sfido chiunque ad indicare un solo mio atto o comportamento non rigorosamente in linea con quei principi.

Sul piano più personale, chi mi conosce sa quali sono le mie idee, che non hanno però mai influito sul mio lavoro, secondo i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità (ormai desueti).

Insomma, quanto di più antitetico alla mentalità mafiosa.

Prima di essere “genero di”, sono figlio di un artigiano morto in un incidente sul lavoro, la cui laboriosità ed onestà hanno costituito il mio punto di riferimento fondamentale.

Per ciò ho dovuto subire, oltre alle sofferenze derivanti dalle vicende giudiziarie dei parenti della mia consorte (e la presumibile, doverosa attenzione degli organi inquirenti, da cui non mi sono mai giunte accuse di sorta, bensì soltanto apprezzamenti) anche la beffa di vedermi pregiudicato l’accesso alle posizioni di vertice amministrativo, cui posso legittimamente aspirare in virtù dei miei titoli e delle capacità dimostrate. Dovevo forse ascoltare i consigli di miseri figuri, che mi esortavano a trasferirmi chissà dove, rinunciando alla mia vita ed all’insana idea di dare un contributo per il bene della mia terra?

Ma a tutto c’è un limite, e non posso accettare anche la pubblica gogna.

Per questo sono determinato ad ottenere non tanto soddisfazione nelle solite sedi giudiziarie, ma un atto di giustizia per me ben più importante dal Presidente Crocetta, a cui riconosco, a parte i modi inaccettabili, l’onestà intellettuale di un atto (questo si) veramente rivoluzionario, anche in senso cristiano: le pubbliche scuse”.

Francesco Schillaci


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