Tu vu fa il siciliano |Ma si nato in Italy - Live Sicilia

Tu vu fa il siciliano |Ma si nato in Italy

Maddalena Viola

Il siciliano, una specie studiata approfonditamente: sappiamo come vive, come pensa, come si struttura la sua organizzazione familiare, sociale e politica.

Leonardo Sciascia coniò il termine “Sicilitudine”, ovvero: “Insieme delle consuetudini, della mentalità e degli atteggiamenti tradizionalmente attribuiti ai siciliani”. Incuriosita, ho cercato se vi fossero altre “x-tudini” italiane, ma a quanto pare nessun’altra regione d’Italia vanta una tale specificità d’essere. Eppure ogni regione ha le sue caratteristiche usanze e modi di pensare e di comportarsi. Milanesi: stressati e sempre di corsa; Napoletani: geni della truffa e dell’imbroglio “simpatico”; romani: goderecci e senza peli sulla lingua; genovesi: uomini di mare e dalle “braccine corte”; e chi più ne sa, più ne metta. Ma parrebbe che solo noi siciliani abbiamo l’onore di avere un termine tutto nostro che ci rappresenta. Abbiamo siti on line, blog, riviste, che parlano della “Sicilitudine” e del siciliano doc, particolare espressione di homo sapiens, che attrae studiosi, antropologi, letterati e turisti.

Una specie studiata approfonditamente: sappiamo come vive, come pensa, come si struttura la sua organizzazione familiare, sociale, e politica. Sappiamo cosa mangia, come parla, come gesticola. Insomma, dove c’è un riflettore acceso, c’è sempre un siciliano che ne gode.

Uno dei tratti che sembrerebbe contraddistinguerlo di più, è questa particolare ed ambigua condizione di isolano, che secondo molti, ha generato un senso di orgoglioso isolamento dal resto dell’Italia, l’oscillando fra claustrofobia e claustrofilia. Un pensiero complesso quello siciliano, anche perché se c’è un’arte nella quale i siciliani sono specializzati, è quella di riuscire ad amare ed odiare contemporaneamente ciò che secondo loro li rende così speciali. C’è, inoltre, chi li considera come privi di spirito d’iniziativa, ritenendo che tale atteggiamento di passività sia nato da un triste passato di dominazioni straniere, e di politiche sbagliate che si sono alternate nel tempo, lasciando alla Sicilia solo le briciole di ciò che veniva fatto, diffondendo così nei siciliani l’idea che “a questo punto” è meglio che ognuno si faccia i fatti propri, piuttosto che curarsi di chi li governa, alimentando un senso di fatalismo pessimistico rispetto al cambiamento. In questa fatalistica, e forse ormai un po’ inflazionata, visione della storia siciliana, il Gattopardo diventa il simbolo di tale inedia, e le parole di Tancredi, anche queste così inflazionate da non aver bisogno di essere ricordate, si sono incise nella mente di ogni siciliano, divenendone, nella loro perenne ambiguità, stigma sociale dal quale difendersi, ma anche scudo dietro il quale nascondersi. “Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portare loro i più bei regali” disse Tomasi Di Lampedusa.

A fronte di tutti questi studi socio-antropologici, mi sono chiesta ironicamente: e la psicologia come può dare un suo contributo alla scienza, ampliando le conoscenze su questa specie particolare di uomini? Immaginiamo il siciliano doc disteso sul lettino, un lavoro intenso di analisi personale, esplorando il modo con il quale è organizzata la sua personalità. Cosa può nascondersi dietro questa parvenza di onniscienza e superiorità tutta siciliana?

Azzardiamo un ipotesi, con l’ironia e la leggerezza che il testo richiede: potrebbe essere che il Siciliano doc abbia una personalità organizzata in senso narcisistico! Un narcisista che si rispetta, secondo i criteri diagnostici del Dsm-IV (Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali), deve rispondere ad almeno 5 su 8 criteri diagnostici, che il Siciliano doc rispecchia perfettamente: 1. Ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, insieme ad una irragionevole aspettativa di trattamenti di favore. Un esempio: “Datemi un’auto e sarò padrone della strada!”. Non c’è infatti marciapiede, fermata di autobus, spazi riservati ai cassonetti (che non a caso hanno le ruote), zone blu o strisce pedonali, seconda o terza fila, nulla di tutto ciò è di ostacolo al bisogno compulsivo di posteggiare dove e quando si vuole. Per non parlare di quella particolare forma di amicizia allargata, in cui un’infinita catena di “amico, dell’amico, dell’amico, amico di amico,” sicuramente permetterà al Siciliano DOC di ottenere il trattamento di favore che si aspetta, sia esso l’ingresso al teatro, allo stadio, il posto di lavoro, la visita medica, l’autorizzazione edilizia o più semplicemente lo sconto sugli acquisti, perché si sa, tra siciliani ci si conosce tutti! Ovviamente l’abusivismo e lo scrocco non possono essere compresi, se considero che tutto mi spetta per diritto!

Altri criteri che sembrano calzare a pennello sono: crede di essere speciale e unico, di dover frequentare e di poter essere capito solo da altre persone altrettanto speciali; richiede eccessiva ammirazione; spesso invidioso degli altri o crede che gli altri lo invidino; mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi.

In ogni narcisista d’altronde è latente un’immagine grandiosa di ciò che la persona dovrebbe o potrebbe essere. Una grandiosità che compensa in realtà un senso interiore d’inadeguatezza. Un’altra delle caratteristiche principali del narcisismo dunque è l’invidia che si prova verso coloro che appaiono soddisfatti, o che hanno quelle risorse che potrebbero compensare le proprie mancanze, e che per tale ragione vengono criticati e deplorati. Questo può essere un modo per spiegare quell’improvvisa valanga di denunce, lettere anonime, curtigghi di ogni sorta, che si consumano in un abile capacità di dire e non dire tra il serio ed il faceto, che assurgono sempre più a sport regionale, atteggiamento riassunto nel motto: “U carvuni s’un tingi mascarìa” (Il carbone se non colora, almeno sporca). E poi la presunzione del Siciliano DOC che, specialmente quando si trova in fila alle Poste o presso altri uffici pubblici, si lancia, intriso di Verità onniscienti, in lectio magistralis ed infinite di lamentele sulla politica cittadina, e su quello che altri dovrebbero fare e non fanno; sempre “altri”, poiché chi ha una fragile autostima farà di tutto per evitare di riconoscere il proprio ruolo in ciò che di negativo accade, attraverso una magnifica ed ineguagliabile belle indifference, che senza francesismi, si sintetizza in un simpatico ed imperituro detto “l’acqua lo bagna e il vento lo asciuga”.

Ma davvero c’è bisogno di tutta quest’ attenzione focalizzata sulla “Sicilitudine”? Quanto piuttosto tutta questa dedizione verso “l’unicità dei siciliani” non possa rivelarsi un’arma a doppio taglio? Non sarà che, alla fine dei conti, tutti gli uomini, in molte cose simili ed in altre tanto diversi, contribuiscano a rendere unica e peculiare la terra che abitano, nel senso di un sano e funzionale narcisismo? Il problema è saper trasformare, da “condanna subita” a strumento di crescita, tale peculiarità culturale; non è forse un caso che Goethe scrisse, con grande lungimiranza: “L’Italia senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto”.


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