“A furor di popolo” |Lidia Menapace a Catania - Live Sicilia

“A furor di popolo” |Lidia Menapace a Catania

L’ex senatrice ieri ha presentato a Catania il libro “A furor di popolo”. Partendo da una lucida analisi della crisi strutturale e globale del capitalismo, la scrittrice avanza proposte per trovare una via d’uscita.

Sara Gentile, Lidia Menapace, Giovanna Crivelli, Adriana Laudani

Catania. La sala della pinacoteca provinciale diventa la suggestiva location della presentazione dell’ultima fatica letteraria di una delle voci più autorevoli del femminismo italiano: Lidia Menapace. Partigiana, scrittrice, femminista ed ex senatrice, voce critica e teorica meticolosa. Nel giorno del suo ottantanovesimo compleanno Lidia Menapace torna a Catania e presenta “A furor di popolo”. Con rara modestia l’autrice scrive nelle pagine del testo cosa potrà diventare il libro stesso: “Può darsi che si arresti e rimanga un picco solitario, può darsi che disegni una tendenza o mostri un cammino agibile.” La calorosa accoglienza che Menapace riceve a Catania e le parole di elogio delle relatrici dicono che “A furor di popolo ha colpito nel segno”. La “cultura politica da costruire e agire” teorizzata nel testo sono un elemento centrale da cui ripartire. “Un pensiero utile” come lo definisce Giovanna Crivelli dell’Udi, moderatrice dell’incontro, “una medicina per l’anima” secondo Adriana Laudani (Udi).

Il testo ha un’ambizione non da poco: trovare una via d’uscita dal capitalismo in crisi. Il primo passaggio è la consapevolezza del momento storico segnato da un fenomeno da definire con le parole giuste: “Crisi strutturale e globale del capitalismo”. Quella di Menapace è un’analisi ma anche una risposta solitaria in una contemporaneità caratterizzata “dall’assenza di un progetto generale di alternativa”. La crisi del capitalismo, del resto- come ha sottolineato la docente universitaria Sara Gentile- ha tra le immediate conseguenza la crisi della politica e delle sue forme. Due crisi “legate in modo dialettico”. Si assiste, così, al progressivo scalfirsi del primato della politica sull’economia .

Menapace non tace la prima e più grande sconfitta della sinistra anticapitalista: l’egemonia culturale. Lì risiede il vero terreno di lotta, non nei rapporti di forza. E gli esempi riportati nel testo sono tanti e definiti da una parola tutt’altro che neutra: “barbarie”. La lista è lunga ed è collegata ad un’altra vittoria del campo capitalista: quella sul modo di produzione. Da qui un modello “onnivoro” che si ripropone in settori che industriali non sono. Due esempi su tutti: la gestione aziendale di sanità scuola. Altri elementi di “barbarie” evidenziati dall’autrice sono la volgarità del linguaggio politico, a cui si lega l’ aggressività dei comportamenti privati, e la negazione dei diritti inalienabili. Un quadro fosco, appunto. Davanti a questo stato di cose, però, il testo avanza delle proposte. Preso atto della poca se non scarsa efficacia delle riforme, non resta che trovare pratiche alternative.

La trasformazione parte da nuove pratiche e da un diverso modo di intendere e vivere i rapporti interpersonali (anche sulla base della gestione politica delle differenze). La via d’uscita va rintracciata, come spiegano Adriana Laudani e Lidia Menapace: ”Nella sfera delle attività che stanno fuori dalla logica del profitto, il territorio dentro cui i diritti negati possono trovare cittadinanza e dove i gruppi possono, attraverso nuove pratiche politiche tornare protagonisti”. I partiti “non sono l’unica forma politica” ma possono rinnovarsi accettando “pluralità e differenze” e prestando ascolto con chi crea socialità e fa rete. Servono gesti semplici in grado di “attuare mutazioni irreversibili”. Un esempio lo hanno portato, secondo Menapace, le popolazioni della Val di Susa attraverso “la pratica dell’ospitalità”. Un’altra pratica suggerita dall’autrice è “l’uso politico dello sberleffo”. L’ex senatrice la spiega con un aneddoto. Agli inizi del movimento femminista, davanti all’affermazione che il cervello delle donne pesava meno di quello degli uomini, Menapace rispondeva seraficamente che “anche un diamante pesa meno di una zucca”.


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