"Cesare Lupo mi chiese il pizzo" | Ma il boss nega e contrattacca - Live Sicilia

“Cesare Lupo mi chiese il pizzo” | Ma il boss nega e contrattacca

Udienza infuocata al Palazzo di giustizia di Palermo. Luigi Chiavetta, gestore del bar dell'ospedale Buccheri La Ferla, punta il dito contro il capomafia di Brancaccio che in aula replica a muso duro: "Ma quale estorsione, eravamo amici. Mi ha pure detto che i poliziotti mi pedinavano".

PALERMO – Cesare Lupo ascolta in silenzio. Prende appunti seduto nella saletta del carcere di L’Aquila destinata ai collegamenti in video conferenza. Assiste alla deposizione di Luigi Chiavetta, il gestore del bar dell’ospedale Buccheri La Ferla, indagato con l’accusa di essersi intestato fittiziamente i beni del capomafia di Brancaccio. Senza esitazione gli punta il dito contro: “Lupo mi ha chiesto il pizzo dal 1992. Prima, 500 mila lire al mese e cinque milioni a Pasqua e Natale. Poi, sono diventati 500 euro mensili e 5 mila per le festività”.

Due ore di deposizione al termine delle quali Lupo chiede di fare dichiarazioni spontanee. È un fiume in piena. Va persino contro quelle che sono le regole di Cosa nostra che impongono il silenzio, rotto solo in rare occasioni. Irrituale, d’altra parte, è già stata la scelta di Lupo di denunciare per calunnia Chiavetta. In aula il boss di Brancaccio fa nomi e cognomi. Accusa Chiavetta di averlo truffato e di non avere detto la verità. Una verità che lui stesso si dice pronto a raccontare. Parla di un suggeritore, un poliziotto, che avrebbe ispirato la ricostruzione del suo accusatore. Punta il dito contro i magistrati che avrebbero fatto affermazioni “fuori luogo” sul suo conto. Ne ha per tutti l’uomo accusato di avere fatto parte del triumvirato che ha retto il mandamento di Brancaccio per conto dei fratelli Graviano e già condannato per mafia.

La testimonianza di Chiavetta ripercorre vent’anni di vita. Ci sono anche episodi drammatici: “Nel ’92, a Natale, ho subito un pestaggio da sei persone con le mazze. Ero quasi morto. Mi chiedevo perché mai mi avessero fatto questo. Poi è venuto Liberto (Antonino Liberto, ex inserviente del Buccheri La Ferla già finito sotto inchiesta ndr) e mi disse che mi avevano dato legnate perché dovevo pagare il pizzo. Poi, mi presentò Cesare Lupo che mi disse che se avessi pagato subito avrei evitato di farmi massacrare”. Chiavetta aggiunge di essere stato costretto ad assumere il fratello di Cesare Lupo (“A Toni gli davo mille e 500 euro al mese per non venire a lavorare”) e di avere subito pure insolite imposizioni (“Veniva nel laboratorio di Corso dei Mille e si prendeva venti cassate a Pasqua, bottiglie e panettoni a Natale”).

Eppure dalle intercettazioni emergerebbe, come gli contesta in sede di controesame il difensore di Lupo, l’avvocato Giovanni Castronovo, che “Chiavetta e Lupo erano amici. Mangiavano assieme. Uscivano in compagnia delle mogli. E assieme andavano pure al mare in gommone. Chiavetta lo accompagnava al cimitero per mettere i fiori sulla tomba dei cari. In più occasioni ha fatto da autista a Lupo. Si sentivano al telefono. Non si è mai visto un estorto frequentare con tale assiduità il suo carnefice”. Chiavetta ha una risposta: “Lo frequentavano perché avevo paura. Per me e per mio figlio. Anche lui è stato pestato. All’indomani Lupo mi ha consegnato il borsello con i documenti di mio figlio. È normale che abbia collegato le due cose”. E aggiunge che dopo la sua denuncia sono state pure incendiate le macchine dei figli e qualcuno ha tentato di entrare in casa sua.

Conclusa la deposizioni di Chiavetta, Lupo chiede di prendere la parola. Dieci minuti senza sosta alcuna: “Eravamo amici. Come fratelli. Chiavetta lo sa qual è la verità. Se la faccia dire signor presidente. Mi ha chiesto di comprare un laboratorio all’asta assieme e io gli ho dato i soldi. Eravamo in società e non ho mai ricevuto un euro da lui. Mi ha truffato. Si è venduto il bar e non mi ha dato niente. Si è fatto i soldi e non mi ha dato mai una lira. Andavamo a mangiare assieme. Su facebook ero amico di sua moglie. Non ha mai pagato una lira di estorsione. È un furbone. Dica la verità, altrimenti la verità la dico io. E dio cose da dire ne ho altre”.

Infine la parte più inquietante. Quella in cui Lupo tira in ballo la possibile presenza di una talpa tra le forze dell’ordine: “Nel 2010 Chiavetta mi disse che ero pedinato. Lo aveva saputo tramite uno che lavora alla Mobile. Scusa se io sono il tuo estorsore mi vieni dire che mi stanno seguendo? L’amico suo poliziotto gli ha consigliato di cambiare le dichiarazioni contro di me”. Infine un messaggio pure i magistrati: “Certe affermazioni sul mio conto non le dovevano fare. Perché non sono cose giuridiche”.


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