Marianna, una vita | fra rivoluzione ed etichetta - Live Sicilia

Marianna, una vita | fra rivoluzione ed etichetta

Giornalista, scrittrice, ma soprattutto una donna libera. Mancherà la sua ironia, la battuta sempre pronta, un certo suo modo libertario di vivere e di pensare, frenato a volte dal richiamo all’etichetta.

Di certo, pensava con la sua testa. E c’è voluto un maledetto cancro per fermare un cervello autonomo come quello di Marianna Bartoccelli. Autonomo anche quando nei corridoi del palazzo di giustizia tanti suoi colleghi pendevano dalle fotocopie sottobanco di qualche maresciallo, pronti a trasformarsi in altoparlanti delle loro fonti. Lei, fuori dal coro. Disposta a rinunciare a qualche finto scoop pur di non tradire se stessa, di ragionare e di non arrendersi all’idea che quello del cronista é lavoro di scavo e non di fotocopia. Inseguiva la notizia come un segugio, stando in guardia da chi offriva solo qualche tessera del mosaico, cosciente della perfidia dell’interpretazione, la stessa delle foto, dove basta un gioco di prospettiva, un chiaroscuro, un angolo risparmiato, per falsare la realtà. Per questo dai suoi cronisti della Tv e dei giornali diretti pretendeva il distacco, l’approccio laico all’evento, anche se si trattava di parlare di quanti si presentavano sulla scena come gli eroi del Bene contro il male, i duri e puri della legalità ufficiale. A volte, gli stessi pronti a macinare con le loro dentate certezze uomini come Sciascia o Falcone.

Deve essere stato questo approccio, saldato a letture e principi profondi, ad avvicinarla sempre di più al mondo dei radicali, dopo gli anni di Lotta continua, le case trasformate in Comuni, l’elezione a consigliere comunale dei Verdi, a Palermo. Sempre più laica nei giudizi, sempre più radicale negli anni della maturità, a Roma, dove, guarda un po’, finì per innamorarsi del direttore di Radio radicale, Massimo Bordin, l’uomo che le è rimasto vicino fino all’ultimo istante, dopo tanti anni d’inferno, di operazioni, di convalescenze, di successi ogni volta festeggiati con un viaggio a Berlino, con un ritorno alle Eolie, con l’escursione a San Vito Lo Capo, con un bagno a Sferracavallo, alla Compagnia della Vela di Felice Trupiano, con soggiorni a Castelbuono da Marilina Failla o nella sua amata Villarosa. Ma sempre col pc a portata di mano, per stare sulla notizia, per scrivere il commento, mai appagata dalla notizia in sé, proiettata subito a scrutare fra i meandri di ogni vicenda. A cominciare da quelle della sua terra, la Sicilia dell’ingegno e del malaffare, del talento e dell’intrigo.

I TRE GRANDI VECCHI
Per ripercorrere a grandi passi le tracce fondamentali della sua ricerca professionale, della sua stessa vita, bisogna rifarsi a tre personaggi che Marianna ha avuto la fortuna di conoscere personalmente, dall’enigmatico Vito Guarrasi al vulcanico Mimí La Cavera fino al grande vecchio dei comunisti riformisti, Emanuele Macaluso. E il destino lascia adesso a quest’ultimo, canuto ottuagenario, intelligenza vivissima, il compito di ricordare la più giovane di tutti con una orazione in una chiesa valdese, a Roma, prima dell’ultimo viaggio verso la terra natia, verso il feudo di Enna dove è cresciuta col fratello Antonio e dove ha chiesto al figlio Federico di essere accompagnata per l’ultima volta perché l’urna con le sue ceneri possa assaporare i profumi di Villarosa, della campagna di San Giovannello, prima di essere deposta accanto alla tomba della madre, a Palermo, ai Rotoli. Sarà l’ultimo viaggio di una scrittrice che ci lascia soprattutto i testi legati a quei tre grandi protagonisti da lei ascoltati con trasporto per comprendere e raccontare contesti ben più complessi delle semplificazioni spesso consegnate dalla cronaca come verità assolute. Libri rilevanti come “Nuvola rossa” con la biografia di La Cavera, grande inseparabile amico di Macaluso. E come il testo scritto con Francesco D’Ayala, “L’avvocato dei misteri”, una rivisitazione su Guarrasi, con l’introduzione di Macaluso. Epilogo di una carriera e di una vita che i suoi coetanei rivedono nei flash sui cortei del Sessantotto, fra le riunioni carbonare di Lotta Continua, i cineforum col Superotto nel circolo alternativo di via Lincoln, le innocenti trasgressioni dai precetti di una borghesia palermitana dove la famiglia s’era innestata arrivando blasonata dal feudo, i primi articoli sui giornali, l’esperienza della “primavera” con l’ingresso a Palazzo delle Aquile, breve parentesi per tornare alla carta stampata, approdando poi alla direzione di una Tv nelle Eolie, le corse in motoscafo fra gli scogli di Lipari con Bartolino Leone al timone, i capelli al vento, il sorriso felice, lo stesso delle serate fra amici nella sua casa vicino al Politeama, il vino buono, le polpette di pescespada comprate al Capo, la sua passione, lei fra le bancarelle colorate, come una modella di Guttuso per le pennellate della Vucciria.

TUTTI A CASA
L’album delle foto di questa vita densa di umanità ha una sezione che dice tutto del carattere di Marianna, quella delle case che faceva diventare delle vere e proprie aggregazioni aperte, il modello della Comune parigina aggiornato forse sulle note della beat generation, alimentato dalle letture di Kerouac o Allen Ginsberg, porte aperte per tutti, a qualsiasi ora, un mazzo di chiavi pronto per gli ospiti, i bambini di tutti. Accadeva in via Sammartino, con amici come Ciccio La Licata o Elvira Samonà, in via Sedie Volanti, a piazza Marina, frequentando Letizia Battaglia, Mario Di Chiara, ovvero Toti Garraffa, il pittore, e Gigi Simon, adesso inquilini della sua ultima residenza palermitana di via Paternostro dove abitava pure Elvira Terranova, la giornalista sua grandissima amica. Sentimenti forti, come quello per Giulia Randazzo, seguita fino alla fine per lo stesso male che s’è portato via Marianna.

Era fatta così. Convinta che una casa grande non si possa abitare da soli. Cominciarono a scoprirlo gli abitanti del centro storico, quando si innamorarono di quella donna che, a due passi da Santa Chiara, apriva l’appartamento con la torretta lasciato dalla cognata, Claudia Mirto. Ma arrivò l’impegno politico, consigliere comunale con i Verdi, lei stava notte e giorno fuori, s’inventò pure un magazine, “Papir”, e sul vicolo con lo spray i suoi vicini le fecero trovare una scritta lunga dieci metri, “Marianna riposati”. Un appello per rivederla, per parlare, cenare insieme. Come d’altronde lei voleva, presa dal piacere di avere anche cibo povero a tavola ma molte persone con cui dividerlo.

TUTTI A TAVOLA
Erano volati via anche gli anni di “pizzi e pezze pazze”, una rivoluzionaria boutique di piazza Marina, dove si esponeva tutto il vintage possibile, robe e stoffe delle nonne, gli abiti da sera, i cappelli d’un tempo. Approdata a Roma, gli ultimi anni sono stati segnati da frequentazioni di spessore. Lo sapevano che lei si sentiva la mattina per telefono con La Cavera, che lei era riuscita a trovare il diario di Guarrasi del 1943, che Macaluso era un riferimento fondamentale. E s’ampliava la platea di quanti la interrogavano per avere il polso della Sicilia, per capire, da Paolo Mieli, a Pigi Battista, da Massimo Teodori a Giuliano Ferrara del quale era stata addetto stampa quando il direttore del Foglio s’era candidato nel Mugello contro Di Pietro. Mancherà la sua ironia, la battuta sempre pronta, un certo suo modo libertario di vivere e di pensare, frenato a volte dal richiamo all’etichetta. Come succedeva alla Camera, se incontrava una collega troppo scollata, pronta a redarguirla con un secco “Ma siamo in Parlamento!”. Indifferente alla sorpresa di chi le ricordava occupazioni, sit in e Lotta continua. Mai superba, si divertiva ad evocare battute e incontri romani quando, tornata a Palermo, ci si ritrovava da Mimì La Cavera con protagonisti come Giovanna Terranova o Gerlando Micciché, Vivi Caruso, lo stesso Macaluso e altri giovanissimi ottantenni, per l’appagamento di chi aveva la fortuna di partecipare a questi racconti di storia, occasione di riflessione, fonte di quel cervello autonomo che la memoria non cancellerà.


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