L'Aleph, libreria che non c'è più | (e al suo posto ci sono i cinesi) - Live Sicilia

L’Aleph, libreria che non c’è più | (e al suo posto ci sono i cinesi)

Siete tornati in quell'angolo di Palermo, lì dove c'era la libreria "L'Aleph" che è stata il crocevia di tante persone? Ora non c'è più. Dopo la morte del suo padre fondatore, al posto della libreria c'è un negozio cinese.

Il reportage
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4 min di lettura

PALERMOC’è una Palermo che brucia con la sua munnizza. C’è una Palermo che muore, lontana dagli occhi e lontana dal cuore. Al posto della libreria “L’Aleph”, ci sono i cinesi. Il panorama cambia sotto il nostro sguardo, cambia senza che ce ne accorgiamo. All’angolo tra via Di Marco e via Arimondi sopravviveva l’odore della carta dei libri. Ora prospera un agguerrito emporio con le lanterne rosse. E’ normale che i libri scompaiano, imitando i dinosauri, durante il Neolitico del centro commerciale. Nulla di personale contro i centri commerciali, oltretutto danno lavoro. Però non mi abituo all’idea di vivere in un luogo in cui il paesaggio è segnato dalle antenne prensili dei grandi magazzini e dalle lanterne rosse invece delle librerie.

I libri scompaiono. E’ una giusta vendetta. Giuriamo di amarli e li lasciamo sugli scaffali alla stregua di trofei dell’intelletto. Non li scartocciamo più. Non li abbranchiamo più. Ci hanno guardato con rancore, i libri, per anni, immersi in un doloroso silenzio. Adesso ci voltano le spalle, vanno via. Esisterà un altro pianeta o un diverso sistema solare per amarli davvero. Però dappertutto – e sì perfino a Palermo – esiste una sottile striscia di resistenza umana che intorno al libro ha edificato e custodito la sua profonda ragione di vita. Questi cavalieri del Graal perduto piangono lacrime che non sono di carta né inchiostro, a sapere che “L’Aleph” ha smesso di respirare. Era il regno di Lorenzo Giordano. Alla sua morte lo hanno descritto in varie pose: burbero, deciso, nel bozzolo del suo mondo. Eppure dolce, luminoso, capace di aprire con uno sguardo certi armadi invisibili. Sono affezionato agli armadi. A quattordici anni zii lungimiranti mi regalarono “La Storia infinita”, capolavoro di Michael Ende. Sta scritto che gli armadi possono diventare porte per condurti nel reame di Fantàsia. Li ho aperti quasi tutti da allora. Lorenzo era forse il libraio del romanzo che in un mattino di ordinaria tristezza accoglie Bastiano Baldassarre Bucci e dà inizio al suo viaggio oltre l’inverosimile.

Chissà cosa direbbe il crespo e lieve signor Giordano dello spettacolo che si presenta al passante, in via Di Marco n. 24. Al posto di un raro trattatello di filosofia c’è Britney Spears. Non proprio lei, in carne, ciglia e unghia smaltate. La sua foto ripetuta, accanto al ritratto di Jessica Alba. Compri la copia, se non puoi permetterti l’originale. Ogni libro è un pezzo unico nella relazione che cuce autonomamente con la donna o l’uomo che lo ricevono. E’ sempre un dono. Il libro seduce con la copertina, con il carattere, con le parole che sbirci furtivamente. Gli occhioni al mascara di Britney sanno di muffa, di sepolcro. I libri sono nuovi. La polvere li protegge, ne difende la giovinezza.

L’emporio che ha soppiantato la libreria è un moderno paese dei balocchi, funzionale alle esigenze dell’essere umano transitorio. Ci sono i giocattoli. Le pistole giocattolo. A camminare tra le masserizie, in un rigurgito di infanzia, ti viene voglia di brandirne una, per gridare a bocca aperta “pum pum”. Sono pistole straniere, dalla forma lunare. Non somigliano alle vecchie sputafuoco da cowboys, all’odore di bruciaticcio che lasciavano in aria dopo lo sparo. E ci sono pupazzi surreali, alcuni con venature d’amarcord. Si preme un pulsante, le gambette del coso si rammolliscono, si piegano.
La serialità del molteplice è il punto di forza del negozietto con le lanterne rosse. Si ricostruiscono pure le unghie. C’è qualche rado compratore. Siamo in tempi di crisi, non è più il caso delle distinzioni schizzinose. Meglio qui, nella democrazia dell’indistinto, dove c’è quasi tutto e a poco prezzo. L’abitudine dei clienti che andavano dal droghiere per prendere cento grammi il prosciutto o dal libraio per un libro seguito fino in capo al mondo è tramontata con sentenza definitiva.

La ragazza cinese al banco non è bella. Ha una sua tenera buccia, sì, libresca, oppure letteraria con tendenza lirico-musicale. Il volto sarebbe perfetto per impersonificare Cio Cio San nelle scene finali di Madama Butterfly. Accontentandosi, fungerebbe benino nella copertina delle “Ragazze di Osaka” di Eugenio Finardi. Appesi al tetto, dieci Super Santos ti fissano con espressione malevola…

A moralizzare la questione, si potrebbe scrivere che con i libri in declino vengono meno i posti per incontrare gli altri, i segmenti, i viottoli di interconnessione percorsi da persone che parlano con altre persone. Si dissolvono le navicelle di contatto in cui ognuno, salendo a bordo, dona un poco di sé e riceve un poco del suo interlocutore. Accade a ragion veduta. Ci affidiamo alla sicurezza alla rinfusa dei prodotti. Preferiamo la rassicurante astrattezza della confezione di mortadella. Un libro ha voce e occhi. Chiede amore responsabile, mai precario. E’ l’oggetto più simile che c’è ai costruttori dei sentimenti perenni che lo scelgono e lo tengono in mano.

Dalla mano qualcosa arriva al cuore, in un domino di parole scritte e di sentimenti indicibili. Ma il cuore ha smarrito la qualifica di sede dell’anima, è un muscolo. Ecco perché diamo fuoco alla città e diciamo addio ai libri senza nemmeno un’ultima carezza sulle guance di carta. I libri, piano piano, si addormentano. Chiudono le pagine. E fanno bellissimi sogni


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