Ciao serie A| Impariamo la lezione - Live Sicilia

Ciao serie A| Impariamo la lezione

Un momento dei festeggiamenti per la serie A conquistata nel 2004

L'addio del Palermo alla serie A è un evento simbolico per un'intera città, che negli ultimi nove anni si è tolta grandi soddisfazioni a livello calcistico per poi tornare nel limbo della cadetteria. Ognuno di noi da quel 29 maggio del 2004 ripercorrerà con la mente i tanti ricordi a tinte rosanero.

l'epilogo di un sogno
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PALERMO – “Il mio sogno nel cassetto? Alzare un trofeo con la mia maglia”. Fa un certo effetto rileggere oggi il tenero proclama di Giovanni Tedesco, uno col cuore rosanero fino in fondo. Erano le parole di una delle tante annate di A, vissute come se fosse un dovere, un diritto, un privilegio acquisito.

Diciamoci la verità: Zamparini a parte, il Palermo retrocede per colpa della nostra noia, dell’indifferenza che l’ha spinto verso il basso, sempre più giù. Ci torneremo alla fine. Si chiude un meraviglioso ciclo. Siamo cresciuti tutti con la squadra in serie A. I tifosi hanno smesso di sentirsi derelitti, rispetto al predominio delle “strisciate” e delle eccellenze della cupola pallonara. Qualcuna è stata perfino battuta a più riprese (ma nulla, per emozione, eguaglierà il gol di Brienza che regalò la vittoria contro la Juve).

I cittadini hanno sentito la dolce zaffata dell’illusione: città da campionato del Terzo mondo. E una bandiera con i colori più belli del mondo a sventolare lassù. I giornalisti sono diventati più visibili e più bravi, misurandosi nel giro che conta. Ne ho fatte tante di interviste, in un clima che altrimenti mi sarei solo sognato. A Giovannino Tedesco da Pallavicino. A Eugenio Corini (il migliore, sarà un allenatore importante). Al più antipatico: Simon Kjaer che sbracò a Boccadifalco con l’aria del santone e chiese annoiato: “Quanto c… dura questa intervista”. Sicché fu cortesia, rispondergli e ricambiarlo: “Dura quanto c… vuoi tu. Ammesso che io decida di non andarmene subito”.

E non poteva mancare Fabrizio Miccoli, ora chiacchieratissimo e non per caso. Ogni volta che mi capitava di parlarci, il Capitano mi appariva uguale a un bambino, con lo scintillio del prato negli occhi. Anche i bambini possono essere buoni o cattivi. Si vedrà. Però un po’ mi ha fatto male, ancorché forse meritata, la crocifissione di Fabrizio. Non è stata un atto di giustizia. Mediaticamente somiglia allo sberleffo sul muso di un purosangue che ieri correva e ti traeva dall’impicco, adesso non più.

Da ognuno di questi calciatori, da ogni persona che ho incontrato, dagli allenatori, dai colleghi dell’ufficio stampa (ho ammirato la signorilità di Clara Di Palermo, per citare qualcuno e voglio bene ad Andrea Siracusa e Alessio Cracolici che portano avanti la carretta con bravura e stile) ho imparato qualcosa. Mi sono trasformato in una persona migliore, più attenta, se non altro più disponibile all’ascolto. Mi sono esibito anche io, nel mio piccolo, in serie A, con i miei palleggi di ragazzo poco cresciuto.

E perciò al Palermo, all’amato Palermo, dico riconoscente il mio ‘grazie’, Zamparini compreso. Stasera, dunque, si volta pagina. Dopo la gratitudine non possiamo nasconderci la durezza del pane pallonaro che stiamo rosicchiando. E’ una ferita che conduce appresso un dubbio rovente: ricorderemo Palermo-Parma, gara inutilissima, come un dolore che precede la risalita o la racconteremo in futuro, con nostalgia, come l’ultimo sorso di felicità, come la trama strappata di un tempo trascorso. Qui è il rovello, non c’è altro. Il mestiere di un cronista è narrare il presente, e così assolveremo al nostro compito, andando a visitare il ‘Barbera’ colpito dal vento del rimpianto nella sua estrema rappresentazione in serie A.

Non abbiamo la palla di vetro. Non sappiamo nulla dei pensieri reconditi di Zamparini, principale artefice del pasticcio attuale – come egli stesso ha riconosciuto – e la ciambella di salvataggio a portata di mano. Tuttavia, se potessimo chiedere qualcosa al domani, lo pregheremmo di ridarci l’amore di una volta, la fame di una volta, la rabbia di una volta. La B sbattuta in faccia è pure figlia di una tifoseria che si è ingrassata, imborghesita e ha tolto il propellente dell’ideale a una passione via via più spenta. Senza amore autentico, tutto appassisce: dai fiori alle donne, passando per il pallone che i più vecchi di noi immaginano ancora a rombi bianchi e neri. Almeno, impariamo la lezione. L’abbiamo pagata cara.


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