L'intervista a Orlando su S: | "Il mio primo anno" - Live Sicilia

L’intervista a Orlando su S: | “Il mio primo anno”

Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando

Il fallimento dell'Amia, la grana Gesip, le dimissioni di Marchetti, la riapertura dei cantieri della Zisa e la candidatura a capitale europea per sport e cultura: ecco il bilancio del sindaco di Palermo a 12 mesi dall'elezione. “Il Comune non è in default - dice il Sindaco - già questo è un grande risultato. I palermitani sono convinti che io il sindaco lo sappia fare. Semmai mi chiedono: 'Chi gliel'ha fatto fare?'. Ogni mattina allo specchio mi dico: 'Ce la farò'. Quando non accadrà più lascerò l'Italia”.

Il bilancio
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13 min di lettura

A dodici mesi dall’elezione a sindaco, è tempo di bilanci per Leoluca Orlando. Bilanci che, per la verità, al di là di meriti e demeriti devono fare i conti con l’immagine di una città sommersa dai rifiuti e con un’emergenza che sebbene non sia dipesa da Palazzo delle Aquile, a cui è stata tolta sia la gestione dell’Amia (la partecipata per la raccolta dei rifiuti) che della discarica di Bellolampo, finisce comunque nell’identificare nel Professore il responsabile di un degrado che ormai fa il giro dei giornali e dei tg nazionali. La “sua” Palermo, che lo ha consacrato primo cittadino per la quinta volta, affoga di nuovo nell’immondizia: una sorta di contrappasso per il sindaco che ha stravinto le ultime elezioni promettendo una città finalmente pulita, società partecipate funzionanti e la rinascita di Palermo agli occhi del mondo.

Un risultato elettorale straordinario, andato forse ben al di là delle più rosee previsioni dello stesso sindaco, che probabilmente non immaginava di poter tornare così agevolmente sulla poltrona più importante di piazza Pretoria. Sfiorata la vittoria al primo turno, il ballottaggio contro Fabrizio Ferrandelli, il candidato del Pd, è stato quasi una passeggiata: il 72,43% delle preferenze e una maggioranza bulgara in consiglio comunale, 30 seggi su 50 targati Idv. Una luna di miele proseguita con il Festino di Santa Rosalia, all’insegna delle tante culture di Palermo, che per un attimo sembra far dimenticare alla quinta città d’Italia tutti i suoi problemi. E poi è la volta delle grandi nomine all’insegna dei nomi di quella che fu la Rete, della pedonalizzazione di Mondello, della rimessa in moto dell’elefantiaca macchina comunale, dei gesti forti, anche se simbolici, e dei primi provvedimenti. Ma quella che sembra un’isola felice subisce un improvviso terremoto, tanto inaspettato quanto violento: le dimissioni, polemiche, del vicesindaco Ugo Marchetti. Un addio, quello del generale e magistrato contabile, presentato come il fiore all’occhiello del nuovo corso orlandiano, che getta le prime ombre sulla quinta sindacatura che sembrava ormai avviata a gonfie vele e che invece Marchetti definisce “del secolo scorso”.

Poi tocca alla Gesip, con i suoi scioperi, le proteste non sempre pacifiche e i servizi che vanno in tilt, alle batoste elettorali alle Regionali e alle Politiche, alle polemiche sul Capodanno che fanno da contraltare alla riapertura dei cantieri culturali della Zisa e all’annuncio dei grandi cantieri per la rinascita della città. Un primo anno tra luci e ombre che però rischia quasi di essere oscurato dai sacchetti dei rifiuti che invadono Palermo e che la fanno ripiombare, di punto in bianco, in un’emergenza senza fine.

 Signor sindaco, è passato quasi un anno dalla sua elezione. Ci tracci un bilancio di questi primi dodici mesi…

“Posso indicare due cose: il Comune non è fallito e Palermo è candidata a essere capitale europea della cultura nel 2019. Tra questi due estremi, oscilla il pendolo ‘Palermo’: quanto più ti avvicini al mancato fallimento ci sono l’Amia, la Gesip o le ruberie del passato, quanto più ti avvicini alla candidatura come capitale della cultura si coglie invece la dimensione progettuale della città”.

Ma quando è stato eletto, avrebbe mai immaginato di ritrovarsi un anno dopo con la città piena di rifiuti?

“Appena eletto francamente no, ma dopo venti giorni sì, quando ho avuto consapevolezza diretta delle condizioni in cui versava l’Amia. Ero sicuro che, con i tre commissari nominati dal ministero dello Sviluppo economico, l’Amia sarebbe andata al fallimento, ma l’ho detto e anche scritto in lettere ufficiali inviate al ministro Corrado Passera, negli incontri avuti con lui a luglio e in una nuova lettera, datata 10 agosto, per San Lorenzo: non volevo che il caldo dell’estate facesse dimenticare la denuncia poi ripetuta anche nei mesi successivi. Ma in ogni mia dichiarazione critica verso gli amministratori straordinari mi sono trovato in perfetta solitudine e, quando oggi vedo i muti di ieri diventare sapienti, nutro un profondo disprezzo anche se mi tocca ascoltare tutti. Dove erano questi signori, quando disperatamente dicevo che l’Amia sarebbe fallita? Sono anche andato in Procura a presentare una denuncia a mia firma sulle gravissime illegittimità connesse all’Amia, così come ho fatto anche per la Gesip. Il mio impegno è comunque pieno per salvare i servizi e i livelli occupazioni dell’Amia, a condizione che lavorino tutti, e per salvare la Gesip per la quale abbiamo messo in campo un sistema innovativo che evita la cassa integrazione in deroga come passiva percezione di una somma mensile e la collega all’impegno dei dipendenti a servizio della città”.

Come è possibile, però, candidare una città piena di rifiuti a capitale europea per la cultura, nel 2019, o per lo sport, nel 2017?

“Intanto sono due candidature diverse: quella come capitale della cultura è legata alle istituzioni pubbliche europee, l’altra invece alle istituzioni sportive. E a queste si aggiunge la candidatura di Palermo, con Cefalù e Monreale, a diventare patrimonio dell’Unesco, ma non ci sono contraddizioni. Palermo è un mosaico, non è un quadro, e il mosaico è fatto di cocci diversi: c’è quello sano, c’è quello rotto, quello fatto d’oro, quello povero, quello di tacca e quello di camola, rispettivamente il prepotente e lo scocciatore. E la nostra forza è essere un mosaico. Palermo è la quinta città nel mondo, per qualità e quantità, nello street food, il cibo di strada: le prime quattro sono in Africa e in Asia, noi siamo i primi in Europa e Nord America. Vogliamo renderci conto che, se diventeremo capitale europea della cultura, sarà anche per il cibo di strada? Potrei parlare di tante altre cose che sono la nostra caratteristica, ma il tema di fondo è la cornice e il nostro compito è di fornire al mosaico la cornice. Il che è anche il nostro limite: prima avevamo la cornice dell’aristocrazia terriera e della mafia, poi quella del fascismo e della mafia, poi quella della politica regionale e della mafia. Quando ho fatto il sindaco, abbiamo rotto quella cornice cercando di costruirne una fatta del rispetto di ogni essere umano, delle persone. Ebbene, quando ho lasciato l’incarico di sindaco, a Palermo non c’è stata più una cornice per 12 anni. Non c’è stata neanche la cornice della mafia, ma non fraintendetemi: non sto dicendo che non c’era la mafia, ma che non si è occupata della cornice. Ma per l’assenza o la complicità dell’amministrazione comunale, si è dedicata a far crescere a dismisure il suo coccio. Il mosaico è divenuto un mostro con sacche di mafia che hanno deformato la città. Candidare Palermo a capitale europea della cultura significa dire che vogliamo una cornice nella quale non ci potrà essere il coccio della speculazione edilizia che massacra il verde, ma neanche il coccio che impedisce di sostituire impianti industriali morenti con un quartiere elegante, bello e utile. E se passa il messaggio del ‘mosaico Palermo’, non ce n’è per nessuno. Non possiamo paragonare Siena, Matera, Ravenna, Torino o L’Aquila con Palermo. Ci vuole consapevolezza di chi siamo e di quanta parte di quello che siamo, se si libera dai vecchi vizi, può diventare bello. Palermo oggi è tornata a essere un punto di riferimento internazionale: ospitiamo la mostra fotografica del vice governatore della provincia cinese dell’Henan, ci sono i russi che concludono affari, ho ricevuto i templari finlandesi, abbiamo ospitato i tanti venuti per le semifinali della Fed Cup, e permettetemi di dire che non si teneva un incontro di tennis tanto importante a Palermo da quando era sindaco un certo Orlando. Aggiungo che ci siamo candidati ad ospitare la finale di novembre fra Italia e Russia, abbiamo gemellato Palermo con Vilnius, in Lituania, e fatto l’accordo con la Camera di commercio italo-canadese, suscitato l’interesse degli investitori arabi. Poi qualcuno mi dice che c’è la ‘munnizza’: lo so che c’è, ma non si diventa capitale della cultura per i monumenti che hai o per i rifiuti che non hai, ma se riesci a mettere una cornice di valori al tuo mosaico anche se qualche coccio non è come lo vorresti”.

Passiamo alla Gesip, l’altra grave emergenza per la città. Si è pentito di qualche promessa fatta in campagna elettorale?

“I risultati mi stanno dando ragione. Tutti gli altri dicevano che la Gesip doveva chiudere, che i lavoratori non servivano più: io dicevo invece che potevano servire a condizione che lavorassero. Ma perché ho vissuto in solitudine la vicenda Gesip? Quante dichiarazioni politiche di sostegno alla mia battaglia ci sono state? Neanche una, mi sembra il bis dell’Amia. Tutti sono rimasti accucciati, per ragioni inconfessabili, all’ombra di tre amministratori lasciandomi solo a prevedere quello che sarebbe successo. Per la Gesip tutti stavano lì a evidenziare la mancata soluzione, non a formulare una proposta che, voglio ricordare, è unica in Italia, innovativa: ci faremo carico di quasi metà della spesa. Posto che i diritti dei lavoratori vanno difesi, è normale che la Fiat carichi la cassa integrazione interamente sulle spalle pubbliche? Un giorno si scoprirà che anche la Fiat dovrà seguire l’esempio del Comune di Palermo: se metti il lavoratore in cassa integrazione, devi garantire una parte della somma necessaria. In quanti speculano sulla Cig, assumendo amici e parenti che poi finiscono per vivere con denaro pubblico?”.

Il suo motto, in campagna elettorale, è stato “il sindaco lo sa fare”. Dopo dodici mesi, secondo lei che idea si sono fatti i palermitani? Che lei lo abbia saputo fare?

“Mi capita spesso di andare in giro e trovare tantissimo consenso. I palermitani sono convinti che il sindaco io lo sappia fare, semmai circola un’altra domanda: ma chi glielo ha fatto fare?”.

Già, chi glielo ha fatto fare?

“Se dico la verità non mi credono, allora a volte è meglio non dirla. Io l’ho fatto per amore, io amo questa città, vivo questo rapporto in modo profondo e mi illudo di poter contribuire a cambiare Palermo. Mi guardo allo specchio ogni mattina e mi dico che ce la faccio: quando non me lo dirò più, non resterò un minuto in più in Italia”.

C’è qualcosa di cui si è pentito o che, potendo tornare indietro, farebbe in un altro modo?

“Probabilmente sono pentito e contento di avere rischiato, di aver detto che potevamo farcela, che avremmo evitato il fallimento, che avremmo risolto il problema della Gesip o quello dell’Amia. Se avessi detto che ho trovato lo sfascio, avrei vissuto più tranquillamente: bastava una conferenza stampa per dire che ho trovato un Comune in default, incapace di sopportare i costi, gli sprechi e le ruberie del passato. Sarebbero arrivate misure severissime che avrebbero ucciso l’economia della città, ma io avrei potuto dare la colpa ad altri. Ho sbagliato?”.

Ad agosto scorso, però, ci sono state le dimissioni del vicesindaco, il generale Ugo Marchetti, che era in qualche modo il fiore all’occhiello della sua giunta. Secondo lei perché lo ha fatto?

“Se devo essere diplomatico, dico che non ho idea del perché si sia dimesso. Se devo dire quello che penso, che non so se è la verità anche se lo penso, dico che forse fare l’assessore di Palermo vivendo a Roma è troppo scomodo. E allora o continuo a farlo, anche se è scomodo, oppure devo prendermela con qualcuno per giustificarmi. A Palermo tocca fare anche la parte del punching ball. La colpa evidentemente è mia, ebbene confesso (ride, ndr)”.

Di cosa va più fiero, delle cose fatte in questi dodici mesi?

“Provo a fare per un attimo un ragionamento più ampio. Io sono una minoranza culturale in questa città e vivo la singolare condizione di essere una minoranza con una maggioranza elettorale. Col cavolo che chi mi ha votato la pensa come me! Io sono stato il punto d’incontro del massimo della disperazione e della speranza possibile, e così mi ha votato anche chi non la pensa come me. Quando pensi che stai naufragando, non ti fai domande sulla qualità del legno a cui ti stai aggrappando, anche se mi considero un legno pregiato. Allora io devo superare questa forbice, questo divario: quando sarà ridotto sensibilmente o eliminato, saremo pronti ad avere un altro sindaco. Per carità, non parlo male di chi mi ha votato, ma siccome siamo una città bellissima, devo dire qual è il mio più grosso cruccio: scoprire che qui esistono intelligenze, fantasie, capacità innovative, senso civico, voglia di cambiamento e poi l’amministrazione non è adeguata a dare risposte adeguate. Io mi esalto di fronte ad alcuni progetti che mi vengono presentati e subito mi chiedo: ma come lo sviluppiamo? Non mi riferisco alle insufficienze finanziarie, ma culturali e strutturali mie, della giunta, del consiglio comunale e dell’amministrazione. Riceviamo input straordinari che non riusciamo a sviluppare o a cogliere, allora vado fiero del tentativo di ridurre la forbice che c’è tra la dimensione elettorale e quella culturale, tra fase progettuale e realizzazione”.

Molti le rimproverano di non aver fatto abbastanza per l’economia e le aziende in crisi, pensando solo alle partecipate…

“Perché, Amia e Gesip cosa sono? Il sistema economico può fare a meno di tre o quattromila consumatori? Abbiamo contribuito o no a salvare Grande Migliore? Me ne devo pentire? Abbiamo detto che non sarebbero sorti nuovi centri commerciali e che avremmo promossi scambi con imprenditori di tutto il mondo ed è quello che abbiamo fatto, e ci sono industriali che mi ringraziano per aver portato i russi”.

Quali differenze trova con le sue passate esperienze da sindaco?

“La differenza abissale deriva dalle risorse finanziarie, nel senso che ho trovato un Comune senza rating quando, durante la mia scorsa sindacatura, Palermo aveva ricevuto da Moody’s la tripla A. Vuol dire per i grandi investitori avere rapporti con il Comune di Palermo, con il sindaco Orlando, era due punti meno rischioso che con la New York del mio amico Rudolph Giuliani. La tripla A è quella che ha oggi la Germania di Angela Merkel. Ebbene, da cinque anni non abbiamo rating”.

Lei è stato eletto con un partito, l’Idv, ormai quasi estinto. Cosa farà Leoluca Orlando nel suo futuro? Non teme l’isolamento politico?

“L’Orlando migliore si è visto quando è stato isolato, ma isolato dai palazzi. Secondo i criteri dei partiti tutti i sindaci sono isolati, però va precisata una cosa. Io sono stato sindaco quando stava morendo la Prima Repubblica, e lo sono ora che sta morendo la Seconda: sarei dovuto scomparire. C’era qualcuno più isolato di me, con la mia Rete, nel 1993? Il tema in fondo è sempre quello: quando il sistema dei partiti funziona, i sindaci sono un fastidio di periferia. Quando il sistema non funziona, i sindaci diventano rompiscatole salvifici. Sembro condannato a vivere l’esperienza da sindaco quando i partiti muoiono. Dal 2001 al 2006 il sistema dei partiti ha funzionato, e non è un caso che non sono stato eletto presidente della Regione”.

Cosa può dire, oggi, ai palermitani? Quale sarà il suo impegno per questo secondo anno?

“Vorrei poter dire tante cose, ma la più importante riguarda lo sblocco delle risorse europee. Vorrei che entro la fine dell’anno si contassero in centinaia di milioni di euro i lavori per Palermo”.

Palermo è una città unica nel suo genere, piena di contraddizioni a volte anche fortissime. I palermitani possono avere ancora una speranza?

“Hanno il diritto e il dovere di averla, io ho speranza. Quando mi trasferirò all’estero, vorrà dire che ho perso la speranza, ma pare che io sia ancora a Palermo e che non abbia alcuna intenzione di andarmene”.

Concludiamo con un piccolo gioco. Dica qualcosa a tre tipologie di palermitani: al giovane, al disoccupato e alla coppia di genitori che ha fatto tanti sacrifici per far studiare i propri figli costretti oggi ad emigrare o peggio a stare a casa…

“Al giovane dico: cerca di non farti accompagnare dai tuoi genitori a elemosinare un posto dai politici e incavolati quando ti accorgi che un collega fa così. Al disoccupato dico: unisciti a tutti noi nel fare rimettere in moto la città, perché possano trovare lavoro tanti e quindi anche tu. Ai genitori dico: non vendete la dignità dei vostri figli per elemosinare un posto, piuttosto scegliete di farli andare all’estero a costruire il proprio futuro”.


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