Trattativa, si apre e si chiude | Nuova aggravante per Mancino - Live Sicilia

Trattativa, si apre e si chiude | Nuova aggravante per Mancino

Nicola Mancino

Trattativa, il processo. Ecco cosa è successo nella prima udienza nel racconto del nostro cronista.

PALERMO E venne il giorno. Il giorno in cui lo Stato processò se stesso. Si è aperto in Corte d’Assise il dibattimento sulla trattativa fra Stato e mafia. Boss, ex ministri e ufficiali dell’Arma dei carabinieri salgono assieme sul banco degli imputati. Erano consapevoli, gli odierni imputati, dello scellerato patto? Che trattativa ci fu è un dato storico, già sancito da una sentenza dei giudici di Firenze che scrissero la verità giudiziaria sulla strage di via dei Georgofili. Resta da capire se consapevole sia stato l’apporto dei dieci imputati. I boss Totò Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà. Il figlio di don Vito Ciancimino, Massimo, gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, l’ex ministro degli Interni, Nicola Mancino.

Per quest’ultimo, imputato di falsa testimonianza per avere negato di essere a conoscenza dei contatti fra i carabinieri e Vito Ciancimino, si profila la contestazione di una nuova aggravante. Il procurato aggiunto Vittorio Teresi, in aula, ha fatto in tempo a prendere la parola, poi il presidente della Corte, Alfredo Montalto, lo ha stoppato. Questioni procedurali. La nuova aggravante si potrà contestare solo dopo che tutte le parti saranno costituite. Mancino replica: ” Non mi fate fare il veggente”. Un commento lapidario, come brevi erano state le sue parole prima dell’inizio del processo: “Non posso stare nello stesso processo in cui c’è la mafia. Io ho combattuto la mafia”. Il riferimento è alla scontata richiesta da parte dell’ex presidente del Senato di stralciare la propria posizione. Sul punto il procuratore Francesco Messineo replica: “Quella di Nicola Mancino è una posizione che già era stata espressa nel corso dell’udienza preliminare e sulla quale c’è stata già una pronuncia provvisoria. Ritengo che la difesa di Mancino saprà svolgere egregiamente il suo compito proponendo quei temi che ritiene adeguati per il cliente”.

La questione della nuova aggravante sarà chiarita alla prossima udienza. E cioè quando la Corte scioglierà la riserva sulle nuove richieste di costituzioni di parte civile. Il processo è stato rinviato al 31 maggio. da alcune indiscrezioni sembrerebbe che a Mancino potrebbe essere contestata l’aggravante prevista dall’articolo 61 numero 2 del codice penale, che scatta quando si commette un reato per occultarne un altro ovvero per assicurare a sè e ad altri l’impunità. Tutti gli imputati rispondono di attentato al corpo politico dello Stato, tranne Mancino e Massimo Ciancimino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Davanti alla Corte si è presentato l’intero pool di magistrati che ha seguito l’inchiesta: il procuratore Francesco Messineo, l’aggiunto Vittorio Teresi, i sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Mancavano Antonio Ingroia, trasferito ad Aosta e in attesa di sapere cosa farà in futuro, e Lia Sava che nel frattempo è andata a lavorare a Caltanissetta.

La Trattattiva viene storicamente collocata tra l’omicidio dell’euro deputato Salvo Lima e il mancato attentato allo stadio Olimpico di Roma. Siamo, dunque, tra la primavera del 1992 e l’inverno del 1994. Due fatti certi, in mezzo a cui c’è una sfilza di episodi inquietanti e tutti da chiarire. La ricostruzione dei pubblici ministeri ha finito per riempire 120 faldoni. Possiamo sintetizzarla così: la mafia aveva alzato il tiro e fu deciso di ammazzare Lima, garante degli interessi mafiosi. Oggi i suoi familiari chiedono di potersi costituire parte civile nel tentativo, dicono, di ottenere una rivalutazione della figura dell’euro parlamentare democristiano, a cominciare dai suoi rapporti con Giovanni Falcone. Dopo Lima, ammazzato davanti casa a Mondello, altri politici sarebbero finiti nel mirino di Cosa nostra. A quel punto, sarebbe entrato in gioco l’ex ministro Calogero Mannino che, per salvarsi la vita, avrebbe cercato di dare l’input alla trattativa. Mannino ha scelto di essere processato con il rito abbreviato e la sua posizione è stata stralciata. Così come quella di Bernardo Provenzano. Il padrino corleoense è in gravi condizioni di salute.

L’allora capo del Ros Antonio Subranni, l’ufficiale Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno avrebbero avviato la trattativa con don Vito Ciancimino. Risultato: Totò Riina dettò le sue condizioni nel papello. La prima risposta dello Stato sarebbe arrivata con il mancato rinnovo del regime carcerario duro per 334 boss mafiosi rinchiusi nelle carceri di mezza Italia. Non sarebbe bastato, però, per frenare la stagione stragista. La trattativa sarebbe proseguita con altri protagonisti. Su tutti Marcello Dell’Utri, che avrebbe portato la minaccia mafiosa a Silvio Belusconi, che da li a poco sarebbe diventato premier, e Bernardo Provenzano.

Sul banco dei testimoni del processo sfileranno 170 testimoni. Potrebbe esserci pure il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dovrebbe essere chiamato a spiegare il contenuto di una lettera scritta dal suo consigliere Loris D’Ambrosio, morto l’estate scorsa, in cui parlava di “accordi indicibili” durante la stagione delle stragi. Napolitano non sarà l’unico uomo dello Stato chiamato a testimoniare. Ci saranno anche l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, l’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, gli ex ministri Giovanni Conso, Claudio Martelli e Luciano Violante.

Lungo l’elenco delle parti civili già costituite: Centro studi Pio La Torre, sindacato Polizia, Rifondazione Comunista, Associazione Agende Rosse, Comune di Palemo, Presidenza della Regione Siciliana, Presidenza del Consiglio dei ministri, Associazione nazionale vittime di mafia. Hanno chiesto di potersi costituire oggi anche l’associazione Libera, il comitato Addio Pizzo, Salvatore Borsellino (a titolo di fratello del giudice Paolo, dopo che si è già costituto per l’associazione Agende Rosse che presiede), i familiari di Salvo Lima, il Comune e la Provincia di Firenze, la Regione Toscana, i familiari della vittime dei Georgofili, l’associazione Carlo La Catena (dal nome di uno dei vigili del fuoco coinvolti nelle stragi in Continente, l’associazione Giuristi democratici, il Comune di Campofelice di Roccella), l’Associazione nazionale dei testimoni di giustizia, l’associazione nazionale antimafia Riferimenti.

Si torna in aula il prossimo 31 maggio per la seconda udienza di un processo che si annuncia lungo. Il pm Di Matteo prova a guardare lontano: “Qualora si dovessero accertare elementi di colpevolezza dello Stato, lo Stato non potrebbe nascondere eventuali responsabilità sotto al tappeto”. Fuori dall’aula bunker del carcere Pagliarelli, strapiena di giornalisti, ci sono degli striscioni. Alcuni attestano la solidarietà proprio nei confronti di Di Matteo, destinatario nei giorni scorsi, di alcune pesanti minacce. Altri riuniscono i tanti buchi neri della nostra storia repubblicana in quella che è diventata il simbolo di una stagione di misteri: l’agenda rossa di Borsellino sparita nel nulla. Fuori dal bunker scatta la contestazione nei confronti di Mancino che si allontana con l’auto di scorta al grido “vergogna, vergona”.

 



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