"Prestanome dei boss"| Mineo: "Gli immobili erano miei" - Live Sicilia

“Prestanome dei boss”| Mineo: “Gli immobili erano miei”

Franco Mineo

Respinge ogni accusa Franco Mineo, l'ex deputato regionale di Grande Sud imputato di intestazione fittizia di beni aggravata, peculato, malversazione ed usura. Sarebbe stato il prestanome di Angelo Galatolo, esponente della famiglia mafiosa dell'Acquasanta.

IL PROCESSO ALL'EX DEPUTATO REGIONALE
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PALERMO – “Quegli immobili erano miei, non sapevo nemmeno dell’intenzione di Galatolo di acquistarli”. Respinge ogni accusa Franco Mineo, l’ex deputato regionale di Grande Sud imputato davanti alla quinta sezione del Tribunale di Palermo per intestazione fittizia di beni aggravata, peculato, malversazione ed usura. Mineo, secondo i pm avrebbe fatto da prestanome ad Angelo Galatolo, esponente dell’omonima famiglia mafiosa dell’Acquasanta.

Ad aprire la strada alle indagini coordinate dal pm della Dda Piero Padova era stata una perquisizione eseguita nello studio del comemrcialista della famiglia Galatolo, dove furono trovati i documenti che testimoniavano la compravendita immobiliare intestata ad “Angelo G”. A dimostrare la proprietà degli immobili, che si trovano in via Don Orione, erano state le visure catastali. “Decisi di comprare quell’immobile per caso – ha spiegato l’ex deputato – perché quando lavoravo nel quartiere Monte Pellegrino venni a sapere che per quella casa dovevo contattare i Franzone, che tra l’altro non mi parlarono di nessun altro potenziale acquirente.

I soldi per acquistare l’immobile erano i miei, non ho mai saputo di nessun interessamento di Galatolo che conosco da anni sia perché è cliente della mia agenzia di assicurazioni, sia perché frequenta il bar della mia famiglia”. Le cimici messe dagli inquirenti nella agenzia di assicurazioni di Mineo intercettarono però una conversazion del 13 novembre 2006 tra lui e Galatolo in cui il politico dice: “Solo solo che partner che c’hai” prima di dargli un assegno.

Secondo l’imputato quei soldi servivano a pagare un debito contratto con il presunto mafioso dal gestore del suo bar, Roberto Lo Verde, a cui l’attività era stata ceduta: “Volevo ribadire a Galatolo che io ho sempre onorato i debiti. Dovevo restituirgli 12mila euro – ha detto – per un prestito fatto a Lo Verde che avrebbe dovuto restituire ottocento euro al mese. Io me ne presi carico”.


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