La guerra civile - Live Sicilia

La guerra civile

E tutti vissero felici e contenti.

La sensazione è quella di assistere ad una di quelle agonie lente e infinite. Come se stessimo completando il livello, abbattendo il mostro finale senza farlo mai. Come se domani possa essere considerato il giorno zero, da cui ripartire con un nuovo smalto, ma l’indomani non arriva mai. Forse guardiamo troppa televisione. Ci sentiamo dentro uno schema preciso, dove presto o tardi il bene vince sul male.

Siamo abituati ad aspettare che succeda qualcosa, che arrivi qualcuno, che tutto finisca bene. Confidiamo nell’eroe che dopo oppressioni e ferite ottiene con grinta la sua rivalsa, vincendo l’antagonista dal volto sfregiato, il criminale che aveva messo in ginocchio la città. Ci aspettiamo di vedere la quiete dopo la tempesta, sappiamo che dal desiderio di rivalsa si passa, per convenzione, a una definitiva rottura, al capovolgimento dello status quo. E tutti vissero felici e contenti. Intanto ci dilettiamo nella critica dei comportamenti altrui, dandoci arie da giudici (inascoltati) anche del più piccolo, ordinario processo.

Siamo umani, quindi gioiamo quando c’è da gioire, soffriamo e ci infervoriamo davanti alla sconfitta ma da bravi stiamo in disparte. Senza muovere le nostre pedine né in un caso né nell’altro però, partecipiamo con foga, secondo noi. Ci illudiamo di conoscere e di avere voce in capitolo all’interno di meccanismi articolati e decisamente troppo in alto per noi anche se, in fondo, temiamo il controllo dell’informazione e sospettiamo la censura. Accettiamo con remissività gli ordini di scuderia, così impariamo a odiare o ammirare a comando qualcuno o qualcosa che poi diventa il nostro pane quotidiano.

Prendiamo a esempio i modelli che ci vengono imposti e all’occasione ci accontentiamo delle giustificazioni che ci vengono date. Lasciamo che ci rivoltino le tasche e che ci offuschino le idee, ignorando il segnale intermittente che ci invita a ragionare. Aspettiamo di sentire che qualcuno la pensa come noi per aprire bocca su argomenti scottanti e non cerchiamo la verità, in nessun caso, mai.

Sporadicamente, per sentirci parte del gioco, diamo vita a ridicole guerre civili a tavola, partecipiamo a rivoluzioni su internet e lasciamo i nostri pensieri più affilati scolpiti tra i commenti dei quotidiani on line. Soddisfacendo per qualche minuto l’esigenza di democrazia che abbiamo imparato ad avere a scuola, quella di Robespierre, per capirci. Assistiamo giorno dopo giorno a tutte le declinazioni in cui il concetto di ingiustizia può manifestarsi, ma lo sgomento lascia dopo poco il posto alla rassegnazione, perché le dosi di anestesia che ci vengono somministrate sono sempre più forti. Non ci domandiamo nemmeno cosa ci abbia reso così. Inoffensivi, miti, pavidi. Sì, guardiamo troppa televisione.

Stiamo aspettando inermi che arrivi il paladino della giustizia, il difensore dei più deboli, affinché porti la luce dove fin’ora c’è stata tenebra. Un Batman, un Superman, un qualunque misterioso salvatore che rimetta le cose nel giusto ordine. Confidiamo in un lieto fine, teniamo stretto in gola il sospiro di sollievo che immaginiamo di poter tirare presto, prepariamo sul letto il vestito buono per festeggiare, lasciamo che da altre bocche vengano pronunciate le parole per noi e proseguiamo con le nostre vite nella fiducia di una giustizia che dall’alto funzioni. Convinti come siamo, che tanto alla fine del film i buoni vincono e i cattivi perdono.

 

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