Cappellani critica gli architetti: |"Siate creativi e non servitori" - Live Sicilia

Cappellani critica gli architetti: |”Siate creativi e non servitori”

Lo scrittore catanese riapre il dibattito sul Piano Regolatore Generale che Catania aspetta da mezzo secolo. "Catania  - ha dichiarato - compia una slancio in avanti e si faccia pioniera di un rinnovamento urbanistico".

CATANIA – Ottavio Cappellani pubblica su Amazon un pamphlet “Manifesto per le città alla fine del mondo” che in pochi giorni fa il giro del mondo. Recensito dalla stampa nazionale e internazionale, le parole dello scrittore catanese hanno innescato una battaglia anche nella città dell’elefante imprigionata da un Piano Regolatore fermo da quasi mezzo secolo e una casta di architetti, definita da Cappellani nel suo profilo facebook “in condizione pietose”. Una battaglia che intende riportare il dibattito sul futuro di Catania a un livello di speculazione filosofica e politica più alta. Negli ultimi giorni l’architetto Angelo Ricceri pare abbia insultato su un noto social network il presidente uscente dell’ordine gli architetti di Catania, Luigi Longhitano e lo stesso scrittore Ottavio Cappellani. Offese che per l’architetto sono sfociate in una segnalazione alla commissione disciplinare dell’Ordine e che provano la spaccatura interna proprio a poche settimane dall’elezione del nuovo consiglio. Cappellani dal canto suo non è stato scalfito dalle dichiarazioni di Ricceri.

Ma, allora, quale riflessione per la città vuole sollecitare Cappellani?

“Catania ha un’occasione strepitosa. In questo momento storico in cui si deve ripensare il modello di città a livello mondiale, dobbiamo approvare un piano regolatore che comprende una visione totale della città dal porto all’Etna. E siccome abbiamo avuto la <<fortuna>> di averlo visto sempre rimandato di decennio in decennio è necessario che Catania compia una slancio in avanti e si faccia pioniera di un rinnovamento urbanistico, abitativo e creativo che sia da esempio mondiale. Questa è una possibilità di sperimentazione esaltante. Possiamo pensare alla città del futuro e nel frattempo costruirla. Catania può diventare realmente un modello mondiale. Non stiamo parlando di riprendere il centro storico, se conservarlo o meno. Non si tratta neanche di fare qualcosa di <<cool, bello e figo>> ma stiamo parlando di proiettare Catania oltre il capitalismo, oltre il tecnologismo, nella epoca ventura”.

Ma se si dovesse costituire una tavola rotonda per Catania, Cappellani con chi vorrebbe confrontarsi?

“Se io dovessi confrontarmi con qualcuno sulle forme, sui palazzi, sulle strade, non mi confronterei con un architetto ma con un fumettista. Architetti e ingegneri li escluderei perché stanno ancora dietro al metro, alla cubatura, alle normative. Tutta roba anacronistica perché collegata a un’idea della città che non esiste più”. Il <<town design>> non deve essere una esclusiva degli architetti piuttosto deve diventare una disciplina aperta al confronto di politici, antropologi, sociologi, pittori, scultori”.

Nel suo libretto “Manifesto per le città alla fine del mondo” Cappellani vuole scatenare un dibattito inedito su l’architettura del futuro. Quale?

“Oggi è necessario ripensare alle città compiendo uno slancio immaginifico unico. L’architetto che ha pensato queste città immense, è un architetto <<urbanista>> e non è più un architetto <<creatore>>. Gli architetti e gli ingegneri si sono auto imprigionati, scadendo nella dimensione di “architetto-servitore”

Catania si trova nell’ennesimo paradosso: da decenni senza uno strumento urbanistico. Come uscire da questo momento di stallo?

“Abbiamo bisogno del pensiero creativo al massimo. Bisogna mettere le nuove idee sul tavolo, è il momento di fare un brainstorming collettivo e capire quali sono le <<cazzate>> e quali le cose giuste. Sprigionare tutte le idee su Catania, anche quelle più bizzarre e stravaganti, per vedere quale potrà essere il modello della città nuova, cioè della città senza fabbrica. Balzac lo scrittore francese del XIX secolo, era considerato un urbanista dallo stesso Gropius, architetto fondatore della Bauhaus, in un momento in cui ancora le città dovevano inventarsi. Oggi con la crisi del capitalismo globale la nostra società si trova in un momento di ricambio strutturale socio economico”.

Nella sua visione riecheggia quella tratteggiata da Rifikin nel 1995 nel best seller “la fine del lavoro”. Secondo lei però oggi i capitalisti non hanno più interesse a investire. Come è arrivato a questa conclusione?

“È la fine di una epoca, la fine di un assalto. Si sta creando un nuovo equilibrio. Non ci sono più uomini da comprare perché ci si è resi conto che le macchine durano più degli uomini. Anche a Catania come Detroit le fabbriche sono state abbandonate e pertanto uno dei nuclei organizzativo della città si è totalmente svuotato. Ciò comporta anche un abbandono delle città e l’inizio di un nuovo ciclo socioeconomico che necessita il ripensamento della città e delle sue tipologie abitative. Ci sono forze centrifughe che fanno fuoriuscire le persone dalle città per tornare alle campagne. Ci aspettiamo un controesodo, dalla centro alla periferia, la gente si compra le galline si coltiva l’orto.. ci sarà un ritorno alla sopravvivenza, con un economia di sussistenza. Un controesodo che permetterà all’uomo di vivere di una economia che proviene dalle proprie mani. In campagna si può sopravvivere. Al supermercato devi comprare, e chi si potrà permettere di avere il denaro? Saranno solo pochi ricchi. Andare al supermercato sarà un lusso”.

 

 


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