Il giovane e il vecchio - Live Sicilia

Il giovane e il vecchio

L'intervento di Giancarlo Cancelleri, in aula, rappresenta un segno nell'Ars sonnacchiosa. Il ritorno di un po' di senso comune in un luogo che ha abdicato al suo ruolo.

Cancelleri vs Crocetta
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E va bene che Vincino l’ha drammatizzata, disegnandola così sul ‘Foglio’: uno scarabocchio in piedi che trafigge alle spalle una scarabocchio inginocchiato. Didascalia acre di sarcasmo: “Sicilia, Crocetta tradito dal vile Cancellieri”. Due volte sbagliato, per la “I” soverchia e per la prospettiva. Il discorso con cui il capogruppo dei grillini ha demolito il presidente della Regione non si inscrive alla voce “pugnalata a tradimento”. Riascoltatelo. Ha il suono nitido e metaforico di un cazzotto in viso, sia pure con la tattica (variamente giudicata, come espediente dilatorio o come ultimatum reale) del rinvio invernale di un uppercut di sfiducia. La coerenza sarà pesata al momento opportuno e con la giusta severità. Una mossa iniziale, intanto, c’è stata.

Quell’intervento, ormai noto ai più, in un’Ars affaticata dalla calura agostana, in attesa delle ferie, lo mettiamo tra le cose da sottolineare: la rivoluzione che schiaffeggia la rivoluzione. Cancelleri ha distrutto la prosopopea crocettiana nella sua fascinazione oleografica, bersagliando il paradigma della presa della Bastiglia purchessia che di questo governo è il mantra. Ha tenuto una requisitoria di polemica e di sostanza, contrapposta alle suggestioni. Quell’orazione – con più di una ingenuità da sanare, certo – celebra il ritorno di una briciola di senso comune, quanto di più lontano ci sia dal bagliore della ghigliottina che taglia le teste secondo i suoi comodi, per soddisfare gli estensori di convenienti liste di proscrizione.

L’Ars non è più un presidio politico. Non lo è Palazzo d’Orleans. Non lo sono gli scranni degli onorevoli siciliani, a parte qualche eccezione. La Presidenza è diventata un teatro stabile che ospita scene, personaggi e interpreti decisi da un governatore molto capace, per tecnica naturale, nell’arte della recitazione. Nel suo contesto, Rosario Crocetta si veste da autore, regista e protagonista. E’ lui che evoca in quella piazza con la ghigliottina di cartapesta il mafioso di turno (a suo discernimento, che poi sia vero…) per decapitarlo e mostrare la testa al popolo. E’ lui che traccia sulla lavagna l’elenco dei meritevoli e dei non meritevoli che, invariabilmente, finiranno nel cesto dei colli mozzati. La mafia puzza molto di più della montagna di materia cui fu paragonata in anni ribelli. Ma l’essenza di un’antimafia siffatta reca la colpa di troppe persone massacrate per tornaconto.

E’ ovvio che la demagogia sia l’unico appiglio dei governanti di una terra sventurata, Giancarlo Cancelleri l’ha compreso e ha reagito all’Ars. Con un semplice gesto ha tolto – non da solo, ma con più enfasi proprio perché proveniente da una cultura giacobina – la maschera alla rivoluzione. E dietro è apparso il nulla.

La replica di Crocetta è stata bellissima. E vacua. Un mirabile pezzo alla De Filippo, destinato a sgretolarsi sotto il morso del neo-realismo cancellerano. Il plenipotenziario a cinque stelle non ha fatto sconti. Ha additato l’affondo improprio del presidente alla stampa “non schierata”. Ha ridicolizzato i giudizi sul Muos, difendendo il Parlamento da attacchi generici e ponendo l’accento sulla latitanza di un vero modello di sviluppo. Ha denunciato il “puzzo di compromesso morale”. Si è detto contrario a una contrapposizione guerrafondaia. Ragionamento ineccepibile in teoria, manchevole nella prassi, visto che il caro leader Grillo è il soggetto più bellicoso e incendiario di tutti. Ci sarà tempo per crescere.

Il cazzotto, tra affermazioni e sottintesi, ha scardinato il sistema tolemaico di nuovo conio. Rosario Crocetta, antimafioso, illibato, idealista e battagliero, è pur sempre un vecchio avventore nel panorama dei consensi e delle urne. I giovani, i giovani doc, senza futuro, senza speranza e con fucili caricati a rabbia, sono altro da Saro. La rivoluzione sarà cosa loro. Ma allora – già malignano i critici che non credono alla coerenza grillina – perché aspettare l’inverno?

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