La guerra Pd-Crocetta | I motivi dello scontro - Live Sicilia

La guerra Pd-Crocetta | I motivi dello scontro

La vicenda del rimpasto non è solo una questione di poltrone. In questi dieci mesi, Crocetta ha governato da solo, demolendo molto e costruendo poco. Ma adesso il suo partito è stanco: teme di essere spazzato via dal protagonismo del presidente.

PALERMO – Il motivo della guerra, tutto sommato, è uno solo: il Pd ha vinto, ma non governa. Ha ottenuto un successo storico. La prima volta di un governo di centrosinistra è stata offuscata dalla personalità del governatore di centrosinistra. Ammesso che si possa appiccicare a Rosario Crocetta una qualunque etichetta politico-geografica.

Il Pd ha vinto, ma non governa. E non è una semplice questione di poltrone. Il rimpasto non è soltanto una lotta di potere. Sarebbe riduttivo pensarlo. La questione sta più sulla strada che nei palazzi. Per i democratici, questi dieci mesi di governo sono stati, se non fallimentari, certamente contraddittori. Il partito ha sposato l’ondata “rivoluzionaria” del presidente. Vero caterpillar sugli assetti e, spesso, anche sul bon ton istituzionale. Il Pd ha messo in mano al governatore, però, anche il proprio destino. Confidando, probabilmente, nella fine della “sbornia” mediatico-propagandistica del governatore del cambiamento, che cancella (quasi) le Province, che dice no (ma poi sì) agli americani, che ruota tutti, cancella, commissaria e annienta il vecchio sistema. Salvo poi, ripescare di quel sistema quello che serve (anche degli autonomisti, in fondo, non si butta via niente).

Ma la sbornia non è passata. E le strade hanno iniziato a rumoreggiare. Non solo, e non tanto nei confronti del Presidente che, tutto sommato, riesce a placare con un’assicurazione “vaga” un po’ tutti, dagli ex Pip ai lavoratori della Formazione (un’Agenzia unica per tutti… come, quando e perché?). Ma i tentennamenti del governo non risparmiano il deputato di provincia. O quello di città. Quello, insomma, che non potrà contare sul voto “di opinione”, su conferenze stampa pirotecniche, o su passaggi televisivi sulle reti nazionali. Il deputato del Pd, infatti, oggi non esiste.

E non è un caso nemmeno che proprio a Live Sicilia Crocetta ammetta: “Il Pd crede di non avere sufficiente visibilità”, per poi aggiungere: “Io non sono forse un dirigente del Pd?”. Lo è. Ma in tanti, in questi mesi, hanno fatto fatica a ricordarlo. I primi dieci mesi del governo Crocetta, infatti, sono stati marchiati dalla personalità del governatore. Molto meno dal simbolo del partito.

Ma finché la spinta innovativa del governatore “funzionava”, allora andava tutto bene. Lo stesso Pd riusciva più facilmente a mandare giù certe scelte, nella compagine di governo. Da Battiato a Zichichi (in quest’ultimo caso, però, già all’alba del nuovo governo arrivò il profetico affondo di Cracolici: “Vediamo quanto dura”), per finire alle nomine ancora più “crocettiane”. La segretaria Stancheris e la militante del Megafono Sgarlata. Una decisione, questa, che avrebbe segnato una “svolta” nei rapporti tra Pd e Crocetta.

Già. Perché il nuovo fronte di rottura si è aperto proprio sulla inaspettata inclinazione del presidente a ricalcare, se non nei numeri, certamente nelle modalità, un “vezzo” del suo tanto bistrattato predecessore. Nomine di fedelissimi, di trombati delle elezioni sono piovute una dopo l’altra. A riempire le caselle del sottogoverno. Salvo poi, annunciare la costituzione di un “albo” dal quale pescare per le nomine future. “Ma se ha già piazzato un suo uomo su ogni poltrona”, avrebbe ironizzato il deputato del Pd Mario Alloro. Ma critiche di natura simile sono arrivate da tutte la parti (parliamo sempre del Pd, ovviamente). Antonello Cracolici ha scelto il tema delle nomine come vero “esempio” delle modalità di questo rapporto: il presidente decide da solo. E il Pd legge tutto sui giornali. “Io non sono forse un dirigente del Pd?”, sembra di sentire ripetere Crocetta, mentre anche Giuseppe Lupo incalza: “Siamo indignati”.

E anche preoccupati, probabilmente. Perché l’autunno che ormai bussa alle porte, sarà uno dei più caldi degli ultimi anni. Ventimila precari degli enti locali non sanno ancora cosa faranno l’attimo dopo aver stappato lo spumante di Capodanno. I dipendenti della Formazione a rischio crescono di giorno in giorno, e sono ormai migliaia. I sindaci protestano, i dipendenti delle Province non conoscono il proprio futuro. Tutti nodi da sciogliere, praticamente, nelle settimane che verranno.

Il governatore, però, parla di “sete di lottizzazione” e di “fame di poltrone” da parte di “vecchi volponi”, anche del suo partito. Eppure, lo scenario ipotizzato sopra, inviterebbe semmai qualunque deputato a defilarsi. A “vivacchiare” (e che bel vivacchiare) ancora per qualche mese nella condizione di parlamentare, lasciando al governatore che ha deciso di fare da solo (“si ricordino che c’è stata l’elezione diretta”, ribadisce Crocetta a più riprese) il compito ingrato di ricostruire dalle macerie. Già. Questo è l’animo all’interno del Pd. In maniera più o meno accentuata a seconda dei soggetti. Finora, si è solo demolito. C’è da costruire.

E non è un caso che siano proprio i democratici a vestire, oggi, il ruolo di opposizione. Mentre l’opposizione vera dorme, o lascia fare. Solo negli ultimi sei giorni, per intenderci, oltre ai già citati attacchi di Lupo e Cracolici sulle “nomine”, ecco, a turno Mariella Maggio definire il ddl sull’ex Tabella H solo “una soluzione tampone sulla quale poi intervenire davvero”, il segretario Lupo condividere la protesta dei sindaci contro il governo, il gruppo parlamentare in blocco chiedere a Crocetta di rispettare gli impegni presi sui lavoratori dei licei provinciali, il capogruppo Gucciardi sollecitare gli interventi del cosiddetto “Patto dei Sindaci”, il deputato regionale Panepinto bacchettare il governo sui Forestali (“non si sonon accorti che mancano 15 milioni per garantire gli stipendi…”), la Maggio intervenire su altri 15 milioni “spariti” e inizialmente destinati a borse di studio all’estero, Cracolici e Milazzo richiamare il governo agli impegni presi sull’Eolico e sempre Mariella Maggio richiamare l’attenzione sugli oltre 1860 dipendenti degli sportelli multifunzionali. Tutto questo, in appena sei giorni. Senza contare gli strali politici dei renziani o dell’area di Mirello Crisafulli.

Del resto, il presidente non ha mai risparmiato frecciate acuminate. Dalla “questione morale” sulla Formazione, con tanto di attacchi feroci all’area di Innovazioni, alla scelta persino di far scontrare il suo Megafono contro il partito, alle ultime Amministrative. Fino a qualche maldigerita previsione: “Vedrete che altri esponenti di primo piano del Pd, presto, saranno coinvolti in inchieste giudiziarie” disse pochi mesi fa.

Tutte tensioni pronte ad esplodere presto, prestissimo. Crocetta da una parte e partito dall’altra, ormai sono in trincea. Due trincee differenti. Che troveranno plastica rappresentazione nella direzione di lunedì prossimo. Nella quale il partito che ha vinto le elezioni, capirà se può e se deve anche governare. Già, perché il partito democratico ha vinto le elezioni. Ma avverte il pericolo, oggi, di perdere tra le strade. Consegnando tutto nelle mani del governatore. Un governatore che finora, secondo il Pd, ha solo demolito. Ma che, in questo modo, rischia di demolire il Pd.


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