La tartaruga e la Santuzza| Il "miracolo" di Mondello - Live Sicilia

La tartaruga e la Santuzza| Il “miracolo” di Mondello

Ieri, in tarda serata, si sono schiuse le uova della caretta caretta deposte presso l'Ombelico del Mondo lo scorso 15 luglio. Chi e cosa si cela dietro il "miracolo" di Mondello cominciato nel giorno di Santa Rosalia?

SCHIUSE LE UOVA DELLA CARETTA CARETTA
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Sono una tartaruga. Trent’anni fa sono nata a Mondello, sulla spiaggia. Trent’anni dopo sono tornata nello stesso luogo e ho deposto le uova, nella notte di Santa Rosalia. Mi aveva chiamato la Santuzza. Io non mi ero dimenticata di Palermo. L’avevo messa nel mio guscio, allontanandola dal cuore. Palermo ti mangia il cuore, se non stai attento. Ecco perché i palermitani hanno fabbricato un guscio di metallo e di insensibilità. Sono diventati tartarughe corazzate. Trent’anni fa io, la tartaruga, sono nata a Mondello. Ricordo tutto.

Abbiamo il privilegio della lentezza. La vita non ci scappa via. Ci scorre accanto come la moviola. Noi tartarughe, perciò, ricordiamo. Ricordo l’alba di Mondello, che i mondellani non conoscono perché a quell’ora dormono. Ricordo i colori del mattino e l’odore del mare, senza abbronzante, la solitudine della sabbia, spoglia di radioline, carte, materassini in triplo gonfiamento e pezzi di rosticceria sparsi sul bagnasciuga.

Ricordo una donna bellissima, con i capelli corvini e gli occhi celesti, che dall’acqua veniva verso di me. Chi sei? “Sono la Santuzza. Sono qui per dirti che un giorno, nel mio giorno, tornerai, per annunciare la fine della peste”. Scusa, ma non è il tuo compito? Non sei tu, Santa Rosalia, la Santuzza del monte? Sorrideva: “La santità è di ognuno, se ciascuno la vuole. Io ho avuto fede nel momento giusto, quando la mia preghiera poteva trasformarsi in realtà. E’ l’unica differenza tra la speranza della montagna e la disperazione della terra. La speranza è una missione che riguarda l’umanità intera, tartarughe comprese. Un giorno, nel mio giorno, ritornerai e la peste sarà finita”.

E sono tornata. Era la notte del Festino, la notte della Santuzza. Nuotavo senza stancarmi, da una parte ignota di mondo. Eccomi, ferma sulla stessa spiaggia, ma io non lo sapevo e non mi ero accorta di nulla. Non sapevo che ero rinata a Palermo. Poi, quello stesso profumo di mare, circondato da una oppressione come d’inchiostro. Che povera, Palermo. Non per la munnizza. Non per la povertà. Nemmeno per i gelsomini appassiti sui muri. Nemmeno per quel fetore di decomposizione che minaccia l’odore del mare. Si sente la tristezza. La morte di chi non crede più. Cosa dovevo fare? Ho deposto le mie uova che adesso si sono schiuse.

Niente altro potevo fare, se non prendere la maternità dal cuore e donarla, spezzando il guscio. Ho deposto le uova. Si sono schiuse. Ora capisco cosa voleva dirmi la Santuzza. Dai piccoli gusci delle mie piccole uova sono nati i nuovi palermitani, uomini e donne capaci di pregare, perché la preghiera si trasformi in realtà. Voi avete visto solo delle minuscole tartarughine in cerca dell’acqua. Avete scattato foto col telefonino. Io ho ascoltato la vibrazione giusta, l’unica e inconfondibile. Il guscio si è spalancato. Fratelli, la peste è finita.


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