"Riina comanda dal carcere" | Inchiesta choc sul capo dei capi - Live Sicilia

“Riina comanda dal carcere” | Inchiesta choc sul capo dei capi

Totò Riina

Il padrino corleonese, nonostante il 41 bis, continuerebbe a reggere le fila di Cosa nostra. Dal carcere, tramite i suoi parenti, avrebbe mantenuto i contatti con l'esterno. Le indagini della Procura di Caltanissetta si spingono fino in Salento. E dai colloqui con i parenti emerge una frase inquietante: "La Juve è una bomba".

PALERMO – “La Juve è una bomba”, diceva il capo dei capi. E aggiungeva che bisognava “difendersi”. Strano che Totò Riina iniziasse improvvisamente a parlare di calcio durante uno colloquio in carcere, come sempre registrato, con i parenti. Forse parlava di bombe vere e di attentati da organizzare. Perché il padrino corleonese, nonostante il 41 bis, continuerebbe a reggere le fila di Cosa nostra. E dal carcere, tramite i suoi parenti, avrebbe mantenuto i contatti con l’esterno. È questo l’ultimo, e inquietante, fronte investigativo aperto dai pubblici ministeri di Caltanissetta. C’è già stato pure il passaggio formale dell’iscrizione di Totò Riina nel registro degli indagati. È finito ancora una volta sotto inchiesta. Sembrerebbe in compagnia di alcuni parenti. Sui loro nomi vige il massimo riserbo. Come su tutto il resto dell’indagine che sta cercando di trovare i riscontri al puzzle che si è via via composto.

L’indagine, coordinata dal procuratore Sergio Lari e dall’aggiunto Domenico Gozzo, si incrocia con altre indagini in corso a Palermo. Prende le mosse dalle minacce ai danni di un pubblico ministero in servizio nel capoluogo siciliano, da qui la competenza della Procura nissena, e si sposta fino nel Salento, dove negli ultimi periodi la famiglia Riina avrebbe concentrato anche alcuni interessi economici. A San Pancrazio Salentino si è trasferita a vivere Maria Concetta, una delle figlie del capomafia, che si occupa di un grande vigneto assieme al marito Toni Ciavarello. Un personaggio che alcune inchieste del passato hanno accostato ad affari pochi chiari. E sono saltati fuori dei contatti con alcuni personaggi della malavita salentina a loro volta considerati legati a qualcuno che avrebbe avuto la possibilità di stare spalla a spalla con Totò Riina. Salentina sarebbe, infatti, la persona con cui il boss ha trascorso la cosiddetta socialità nel carcere di Milano Opera. E cioè quella manciata di minuti giornalieri in cui anche il capo di Cosa nostra ha diritto a scambiare quattro chiacchiere con un altro detenuto. O meglio, ne ha avuto diritto fino al dicembre scorso quando è scattato un nuovo ordine di isolamento per via di un’altra condanna divenuta definitiva. E addio alla possibilità per il padrino di socializzare con un pugliese legato alla Sacra corona unita. Riina c’è rimasto male e ha protestato con veemenza.

Ad aprile scorso in Procura a Palermo è stata recapitata una lettera anonima in cui si parlava di un attentato deciso “dagli amici romani di Matteo” (Messina Denaro, ndr). Per eliminare il pubblico ministero Nino Di Matteo il latitante di Castelvetrano avrebbe “coinvolto altri uomini d’onore, anche detenuti”. Persino “Riina, tramite il figlio è d’accordo”. Lo stesso anonimo scriveva dei pericoli che correrebbe un pm che si sposta in macchina da Palermo a Caltanissetta e indicava pure le strade da cui transita. Su questo fronte la competenza delle indagini spetta alla Dda palermitana. Qualche mese dopo, a inizio luglio, un confidente ha parlato di “quindici chili di tritolo” arrivati in città per uccidere uno dei pm della trattativa Stato-mafia. Per Di Matteo sono così state predisposte misure straordinarie di sicurezza. E l’avallo di Riina? Potrebbe essere arrivato, ipotizzano gli investigatori palermitani, tramite il figlio. Totò Riina avrebbe goduto di un permesso per incontrare probabilmente Giuseppe Salvatore, che vive dal 2012 in regime di sorveglianza speciale a Padova, visto che Giovanni sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo. In questo contesto i pm non sottovalutano un altro episodio. Nel marzo dell’anno scorso sulla spiaggia di Torre Rinalda, in provincia di Lecce, ancora una volta nel Salento, sono stati ritrovati 47 chili di tritolo, diviso a panetti e conservati in un sacco di plastica seppellito sotto la sabbia.

Gli investigatori non escludono, anzi lo suppongono, che la recente loquacità dei Riina, che negli ultimi mesi hanno rilasciato alcune interviste, potrebbe essere servita per veicolare messaggi da parte del padre. Ecco perché l’inchiesta della procura di Caltanissetta è iscritta con il cosiddetto modello 21 e cioè nel registro delle notizie di reato a carico delle persone note. Si guarda con attenzione ai contatti salentini, agli affari in terra pugliese e a quelli in Svizzera (la tivù svizzera Rts è quella che ha trasmesso a luglio l’intervista alla figlia Lucia) e a quella parola “bomba” riferita alla Juventus. Strano, ancora di più se a pronunciarla è un tifoso del Milan come Totò Riina.


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