La lupara bianca di Di Bona | Il figlio: "Un vuoto mai colmato" - Live Sicilia

La lupara bianca di Di Bona | Il figlio: “Un vuoto mai colmato”

Nel 1979 Calogero Di Bona, guardia penitenziaria dell'Ucciardone, sparì nel nulla. Il figlio Giuseppe depone in aula al processo che vede imputati il capomafia di San Lorenzo, Salvatore Lo Piccolo, e Salvatore Liga, anziano boss di Partanna Mondello.

PROCESSO A PALERMO
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PALERMO – Aveva appena 6 anni quando il padre sparì nel nulla. Uscì di casa una sera di fine agosto del 1979. E non vi fece più ritorno. Trentaquattro anni dopo Giuseppe è venuto in aula a raccontare di un vuoto mai colmato.

Giuseppe è figlio di Calogero Di Bona, maresciallo della polizia penitenziaria dell’Ucciardone che, secondo l’accusa, fu attirato in un tranello, strangolato e bruciato dentro un forno. Sotto processo sono finiti il capomafia di San Lorenzo, Salvatore Lo Piccolo, e l’ottantenne Salvatore Liga, anziano boss di Partanna Mondello. Entrambi detenuti.

Giuseppe racconta di avere cercato il padre ogni mattina al risveglio. In tutte le stanze, con la speranza di riabbracciarlo. Nel frattempo è diventato adulto. La speranza è morta e si è trasformata in sete di verità e giustizia. E se giustizia un giorno sarà fatta, se davvero i due imputati saranno riconosciuti colpevoli, il merito sarà tutto di Giuseppe e dei suoi fratelli. È stata la loro ostinazione a fare riaprire un caso sepolto nel dimenticatoio. Anche questo Giuseppe ha raccontato in aula. Di quando cliccando su un motore di ricerca trovò un vecchio verbale del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo. Lo consegnò agli avvocati Fabio Lanfranca, Oriana ed Emanuele Limuti che chiesero la riapertura delle indagini.

Mutolo, killer al soldo di Totò Rina e Saro Riccobono, il 7 giugno 1994, chiamò in causa Salvatore Lo Piccolo, che di Riccobono, boss di Partanna Mondello, era stato l’autista. Il capomafia di San Lorenzo, che allora iniziava la sua ascesa criminale, avrebbe avuto un ruolo nella lupara bianca che inghiottì Di Bona, vicecapo dei secondini dell’Ucciardone, come li chiamavano un tempo. Nel carcere romano di Rebibbia si stava celebrando un’udienza del processo a Bruno Contrada, l’ex capo dei servizi segreti, e Gaspare Mutolo disse al pubblico ministero Antonio Ingroia: “Io so, nell’81, in un discorso che io c’ho con Riccobono per altri discorsi, di un omicidio di un certo Di Bona, il maresciallo degli agenti di custodia, che Salvatore Lo Piccolo se lo va a prendere”.

L’anno scorso sono stati sentiti altri collaboratori di giustizia. Ai magistrati è toccato ascoltare l’agghiacciante ricostruzione di un delitto. “Lo Piccolo Salvatore, uomo d’onore della famiglia di Tommaso Natale, sapendo che Di Bona frequentava un bar ristorante sito nella piazza di Sferracavallo lo avvicinò e lo condusse con un pretesto presso il fondo di Tatuneddu, così era soprannominato Salvatore Liga. Erano presenti, oltre a Liga, Salvatore MIcalizzi e Lo Piccolo, anche Bartolomeo Spatola (anche lui sarebbe stato ammazzato), il fratello Antonino e Rosario Riccobono”. Tutta gente morta tranne Lo Piccolo e Liga.

Gaspare Mutolo aggiunse, sempre di recente, i particolari di quella riunione di morte in un casa di fondo De Castro, allo Zen: “Riccobono chiede a Di Bona notizie sulla situazione carceraria ed in particolare sugli autori delle lettere anonime con le quali si insultavano i mafiosi”. Il riferimento era alle missive, probabilmente scritte da un secondino, con le quali la Procura veniva avvertita che in carcere i mafoosi facevano la bella vita,. Poi, “gli si pose una corda al collo”. Gaetano Grado ha concluso il racconto dell’orrore : “Quando l’indomani a noi andiamo allo Zen mi hanno raccontato solo che era tutto apposto e che il lavoro fatto da Tatuneddu Liga… quando c’era di bisogno di strangolare qualche persona… diciamo che quasi quasi si facevano sempre da Tatuneddu Liga, perché poi lui gli scioglieva nell’acido .. omissis… mi hanno detto che l’hanno messo dentro il forno di Tatuneddu Liga, il forno, un forno dov’è che si .. lui faceva il pane…”.

L’anno scorso gli uomini della Dia hanno scovato il forno della morte in un terreno abbandonato nella zona di città Giardini. Un riscontro decisivo per i pubblici ministeri Lia Sava e Francesco del Bene, coordinati dall’aggiunto Vittorio Teresi. Ne è scaturito il processo dove oggi Giuseppe Di Bona ha raccontato, in aula, del dolore per un vuoto mai colmato e della sua sete di giustizia e verità.


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