Io, mio figlio e il pronto soccorso |Vi racconto la buona sanità - Live Sicilia

Io, mio figlio e il pronto soccorso |Vi racconto la buona sanità

Un dolore improvviso, un salto in ospedale e... un'assistenza impeccabile: il penalista palermitano Ennio Tinaglia racconta la sua esperienza positiva a Villa Sofia. Perché non tutto, nella Sicilia della salute, è negativo.

Il penalista palermitano Ennio Tinaglia ha affidato alla redazione di LiveSicilia il racconto di un’esperienza personale. Una storia di ordinaria buona sanità che vale la pena di raccontare. Per ricordare che in Sicilia non tutto va male.

Un paio di settimane fa sono stato costretto a trascorrere circa 5 ore al Pronto soccorso di Villa Sofia per mio figlio che accusava violenti dolori addominali. Naturalmente non era la mia prima volta; già in passato mi era capitato di ricorrere al pronto soccorso e di affrontare la consueta trafila, ma mai per un tempo così lungo.
Ho avuto così modo di riflettere mentre osservavo il continuo afflusso di persone, le loro sofferenze, quelle dei loro familiari, le continue richieste di aiuto e di assistenza.
E osservavo anche gli operatori, infermieri, medici, paramedici.
Ho compreso, almeno nei suoi tratti essenziali, il funzionamento della complessa macchina organizzativa che presiede ad un posto di trincea come il pronto soccorso.
Il triage, la prima visita da parte del medico, la richiesta di esami di laboratorio o di esami diagnostici (radiografie, tac, etc) da effettuare in tempi reali; gli esiti degli esami che confluiscono “in rete”, le richieste di consulenze specialistiche e, quindi, la successive decisioni, ricovero, dimissioni, permanenza in osservazione.
L’ho compreso perchè l’ho vissuto in prima persona. Sembrava, quello di mio figlio, un semplice e persistente mal di pancia, ma l’infermiere addetto al Triage non si è fatto ingannare dalla apparente modestia dei sintomi, e gli ha attribuito un codice giallo, quello che si riserva ai pazienti gravi ma non in pericolo di vita. Nell’attesa della vista, leggevo un cartello informativo posto all’ingresso del pronto soccorso. Informava che, se durante l’attesa le condizioni si aggravano, occorreva avvisare il personale. Così ho fatto quando i dolori di mio figlio si sono accentuati e non riusciva più a reggersi in piedi. E’ intervenuta immediatamente un’infermiera che lo ha posto in una barella faticosamente trovata e gli ha applicato una flebo. Dopo un’ora e mezza di attesa, la visita, e poi, in successione, gli esami di sangue, la tac, la consulenza in chirurgia, il ricovero in osservazione e, ma solo l’indomani, la diagnosi di appendicite e quindi il successivo ricovero e relativo intervento chirurgico. Adesso mio figlio sta bene.
Tutto questo moltiplicato per centinaia e centinaia di casi, con medici e personale costretti a lavorare a ritmi impressionanti e nella consapevolezza della grande responsabilità che grava sulle loro spalle e sulle loro decisioni. Durante i giorni di degenza di mio figlio ho incontrato in ospedale quasi tutti i pazienti ai quali era stato attribuito il codice giallo, tutti assistiti, tutti ricoverati, tutti operati.
La loro domanda di salute aveva avuto risposta, ed è questo quello che conta al netto delle facili imprecazioni (alle quali anch’io mi sono lasciato andare) che si possono fare per la scarsità di numero di barelle al pronto soccorso, per le lunghe ore di attesa, per la scarsità del personale e per taluni episodi di malasanità (a proposito dei quali la legge dei grandi numeri potrebbe offrire interessanti e tranquilizzanti spiegazioni).
Domanda di salute che ha avuto risposta a costo zero per l’utente. Non mi sarei scandalizzato, se qualcuno mi avesse detto:”caro avvocato, la sua non è proprio una dichiarazione dei redditi da morto di fame, le dispiacerebbe pagarci un ticket (poniamo) di 100-150 euro per il servizio resole? (ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano)
In chiusura: appena ieri sono andato a fare visita ad un mio amico ricoverato presso l’Ospedale Civico, reparto di chirurgia toracica. Stentavo a credere ai miei occhi: Corridoi lindi e luminosi, i colori pastello degli arredi, delle pareti, delle porte. Il desk della reception e la infermiera seduta su una poltrona girevole mi hanno evocato le immagini dei telefilm americani, mi sentivo sul set del ”Dr.House”.
Stanze di degenza assolutamente confortevoli, bagni da albergo a 5 stelle. La professionalità e sensibilità del personale medico e paramedico, quella, mi è stata raccontata dal mio amico. Last, but not, least. Serietà, competenza, professionalità, umanità, respiro, a pieni polmoni, in questi giorni presso il reparto oncologico del Policlinico di Palermo.
Tutto questo accade a Palermo e non sarebbe male che tutto questo si sapesse.


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