Il lungo viaggio di Maria Grazia | "Quei resti sono suoi" - Live Sicilia

Il lungo viaggio di Maria Grazia | “Quei resti sono suoi”

Maria Grazia Trecarichi e la figlia Stefania

L'analisi del Dna. La storia.

Il naufragio della Costa Concordia
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Il dolore ha fatto un lungo viaggio. Da quel “salga a bordo cazzo”, raccontato in audio totale, affinché tutti potessero sentire il coraggio che sprona la vigliaccheria. Il dolore ha preso il tempo necessario per dare spazio alla memoria e oggi il suo giro è giunto a compimento.

L’Ansa informa con uno stringato dispaccio: “I resti umani trovati nel locale stoviglie del ponte 3 della Concordia sono compatibili con il codice genetico di Maria Grazia Trecarichi. Lo hanno comunicato al tribunale di Grosseto i responsabili della Polizia Scientifica di Roma a cui era stata affidata la perizia del Dna”. E dal naufragio riappare uno tsumani di foto. La nave adagiata su un fianco. Le macerie di un mega-lunapark acquatico ridotto a spettro. E gli scatti di prima. Maria Grazia – ‘la bella siciliana’, scrivono i quotidiani – con la figlia Stefania. Lei, la madre, è mostrata nell’interezza del suo viso. L’altra donna, invece, è offuscata da un velo. Trattasi di codice deontologico peculiare dei giornali, a cui ci adeguiamo: la vita conserva il diritto alla privacy, la morte no.

E’ la classica immagine ignara della tragedia, i riflessi in cui ogni essere umano si rispecchia, per punteggiare e condensare le esibizioni di gioia toccate in sorte. Naturalmente, sono decalcomanie che nulla sanno del futuro. Naturalmente, ogni volta che qualcuno le tira fuori da un album, lo strazio dei sopravvissuti si rinnova. I sorrisi hanno il sapore dell’irreparabile, quando già ci è stata data la notizia del disastro.

A Maria Grazia si è approdati per caso, nel naufragio di sentimenti e persone. I familiari hanno riconosciuto la catenina che portava al collo, poi le scarpe. Gli oggetti che hanno scarso peso, nel nostro quotidiano, sono di colpo diventati essenziali, gli unici testimoni possibili di un’identità. Elio, il marito, ha dichiarato che gli dispiace per i familiari del cameriere indiano che hanno sperato, in una gara solidale e disperata, che quei resti fossero del proprio congiunto. E ci sarebbe da riflettere in profondità sull’ossessione tragica del corpo che tutti proviamo al capolinea di una scomparsa. Ossessione tragica e dolce. Come se ci fossero ancora mani da stringere, spalle da accarezzare, occhi da perderci lo sguardo. Per non annegare.


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