La nave dell'ottavo piano - Live Sicilia

La nave dell’ottavo piano

La storia della domenica.

Da qualche parte, a Palermo, tra via Ammiraglio Rizzo e il mare, c’è una balconata all’ottavo piano. Un balcone all’ottavo piano non è niente di speciale. Ma questa è una balconata che circonda un palazzo. Un cammino lungo quattro facce. Siamo nella miseria di Palermo che si stringe addosso al suo ammalorato sviluppo. Grattacieli poveri e scrostati, i cadaveri vegetali nella sera del mercato ortofrutticolo, il fantasma del crollo di piazza Cascino, il giornalaio con qualche pretesa e la rosticceria di gastronomie inimmaginabili che, per secoli, hanno forgiato e reso invincibile l’intestino dei residenti. Tutto si condensa in una porzione urbana finita.

E poi c’è la balconata, così celeste e ampia che qui Leopardi avrebbe potuto scrivere il sequel de “L’Infinito”. La frequento per ragioni familiari. Molti anni fa, era immensa, una prateria di mattonelle. I passi non finivano mai, tra vasi di gerani e guizzi di tricicli. Si è ristretta, col passare dei giorni. La teoria dell’età adulta trova consolazione, se solo pensiamo che non siamo noi a diventare grandi. E’ il dispetto delle cose a farle rimpicciolire. Eppure, chi è stato piccolo almeno una volta nella vita, nel turbine di oggetti e parenti che via via diventano miniature di un gioco, preserva un odore immutabile dei luoghi e delle emozioni. Che non cambia mai indirizzo. Così la balconata si copre con un profumo floreale, di denominazione incerta. Che sia gelsomino, zagara o effluvio di genziana, nessuno lo sa. E nessun naso di bambino interiore, con la pelle a giro dei quarant’anni, ha mai svelato il mistero.

Però sono gli occhi, non le narici, a stabilire una profonda differenza. Procedendo lungo le quattro facce, le quattro trazzere, i quattro spigoli e i quattro corridoi della balconata a otto piani, lo sguardo circolare coglie elementi difficilmente noti. Il palazzo dell’osservatore, con la scintilla di un residuo di fantasia, è una nave ancorata all’oceano metropolitano. Di fianco, altre navi, fregate, corazzate, sommergibili col telescopio ammuffito di alghe. Tutto l’oceano di Palermo ai piedi dell’ottavo piano. E si sa che le finestre muovono all’indiscrezione.

Cosa vediamo dietro il riflesso del vetro? Una cucina. Una vecchia signora di spalle sullo sfondo mangia seduta a un tavolino. Pensiamo che sia una vecchia, perché muove una mano di rughe che sorregge un cucchiaio di pastina. Cibo per dentiere. Accanto al forno, una donna più giovane – una badante – rigoverna i cocci e il velame del dopocena. Una terrina con le arance rosse. Un limone sulla lavapiatti. I coltelli nello scaffale. Un pappagallo in una gabbietta. La mano col cucchiaio va su e giù. La badante si impegna con lo strofinaccio. Toglie la polvere evidente, per ciò che sussurra nell’ombra, c’è invece da pregare.

Altro riflesso. Un uomo di mezza età con la pancia esposta, sopra i pantaloncini. Non si rende conto di vivere su una nave che incrocia navi e dunque non capisce che un nostromo o il mozzo di un equipaggio in transito potrebbero coglierlo in mutande. Incede su e giù con le sue pantofole di pezza. La moglie è coperta da una colonna con tre quadretti. La voce si ascolta, inascoltabile, con la suggestione, sbirciando l’orecchio teso, il sorriso, le smorfie, le braccia del marito interlocutore. Dal bagno fa capolino un cane.
Più sotto c’è un bambino su un’altra balconata infinita, un pirata a caccia. Stavolta è lui che guarda. E guarda me. Scruta il mio profilo di buio, fra tricicli e gerani, con le sue pupille luminescenti di creatura marina.

Non rimane niente da tentare, se non la fuga: tornare dentro e rifugiarsi nelle chiacchiere. La lezione dell’ottavo piano, ieri come oggi, è sempre uguale. Il mondo appare lontano e diverso, finché non lo sorprendi da vicino, dietro le sue finestre. Finché non avverti che in ogni gesto, in ogni cane, in ogni vecchia, in ogni arancia rossa, in ogni bambino, sopravvive l’identico sforzo: la fatica di esserci e, forse, di amare. Questo è il viaggio senza fine, la rotta di una balconata dell’ottavo piano, tra via Ammiraglio Rizzo e il mare.


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