"Ci hanno rubato un bambino": intrighi e sequestri - Live Sicilia

“Ci hanno rubato un bambino”: intrighi e sequestri

di Riccardo Lo Verso Le carte dell'inchiesta ricostruiscono l'intrigo internazionale con base operativa a Palermo. La cronistoria dei rapimenti e le relazioni pericolose di Larysa Moskalenko, la donna venuta dall'Est.

PALERMO – È un intrigo internazionale. Fatto di operazioni paramilitari, contatti con persone influenti e soldi. Nella notte fra il 28 e 29 maggio 2012 un incendio distrugge l’Hotel Portorais di Villagrazia di Carini. I carabinieri si muovo per scovare i responsabili del rogo doloso e si imbattono nella delicatissima vicenda dei bambini rapiti. Al centro dell’intrigo gli investigatori piazzano l’ex campionessa olimpionica di vela Larysa Moskalenko che ha costruito una rete di relazioni, a Palermo come nel resto del mondo.

Il proprietario dell’albergo distrutto dalle fiamme, per altro già sotto sequestro, è Giovanni Marchese, compagno della bella donna venuta dall’Est. E così la Moskalenko viene intercettata il 5 ottobre 2012 mentre spiega ad un’amica, in un italiano stentato, “che praticamente vabbè ti dico come segreto… ci hanno rubato un bambino e ne abbiamo… riportato indietro… quindi siamo molto… e qui… e con la mie barche, capito?… riportato, quindi io sono diciamo partecipante…”. All’indomani in un’altra conversazione, stavolta con un amico, la donna spiega che “…questa ragazza amica di Giulia, ricordi tanti anni fa amica di Giulia… lei era croata però stava in America, come si chiamava?… una bella ragazza, bellissima, bella, con occhi verdi… tu ricordi che ci ha avuto problemi con bambino che…siamo andati… con la barca… allora, per te, per questo pensavo, perché la stessa cosa abbiamo fatto con le barche, lo sai che lavoro con le barche e adesso per un’altra coppia svedese, con una ragazza svedese… che capito, che marito ha rapito bambino, portato a Tunisia…”. Scavando i carabinieri della compagnia di Carini e del Gruppo Palermo, guidati dal colonnello Enrico Scandone, scoprono i contatti fra la donna e un’agenzia di sicurezza privata, la Abp World Group, il cui presidente è Martin Vage. Si tratta del presunto capo dell’organizzazione, finito oggi in manette. Sul sito non si fa mistero che l’agenzia si occupa del “recupero” di bambini.

Il 26 settembre 2012 Per Ake Helgesson contatta la Moskalenko. Le chiede se lo skipper da lei incaricato conosce i metodi di lavoro della Garde Nationale, la Guardia costiere tunisina, per evitare complicazioni. La donna gira il quesito ad Antonello Barazza, skipper di Mazara del Vallo, che la tranquillizza: sfoggiando qualche sorriso e corrompendo con pochi euro gli agenti ogni ostacolo sarebbe stato aggirato. Due giorni dopo Helgesson fa sapere alla Moskalenko di avere appena cambiato 100.000 Corone norvegesi (circa 13.000 euro) all’aeroporto di Palermo. Sono i soldi per l’affitto della barca della Moskalenko per il viaggio in Tunisia. Soldi pagati da un coppia di scandinavi giunti nel capoluogo siciliano il 27 settembre con un volo Ryanair proveniente da Oslo, e con i quali la Moskalenko fa un breafing in un noto albergo palermitano. Ed è sempre la donna ucraina ad avvertire Helgesson: servono quattro giubbini di salvataggio. Uno per un bambino. Il 3 ottobre l’uomo informa la Moskalenko: sono arrivati a Port el Kantaoui (località balneare della Tunisia), il lavoro è andato a buon fine. In nottata avrebbero fatto rientro a Marsala.

Ed è sempre in un noto hotel palermitano che la Moskalenko incontra Helgesson e lo skipper di Reggio Calabria, Sebastiano Calabrese. Quest’ultimo deve prendere il posto di Barazza, indisponibile per un nuovo lavoro. Di che lavoro si tratti lo si intuisce negli sms che Heglesson invia ad una certa Pauline. L’operazione deve avvenire tra Cipro, l’Egitto e il Libano. Gli obiettivi sarebbero due: un bambino e la madre. Hegelsson chiede alla Moskalenko di reperire reperire dei farmaci (Stesolid, Vival e Valium) da somministrare alla madre del bambino per evitare possibili reazioni. L’ucraina risponde aggiungendo anche “Fascette immobilizzanti, spray urticante, armi”. A proposito delle armi la Moskalenko chiama un’utenza russa intestata a tale Arkadij: “Ascolta, io ho una domanda abbastanza strana da farti… ti ricordi avevi un generale conoscente.. conoscente sì? Tuo amico. Ecco, qui noi abbiamo bisogno di un paio di pistole… cosa ne pensi?”.

Quello con il generale russo è solo uno dei tanti contatti, cercati e non sempre ottenuti, dalla donna venuta dall’Est. Il 10 novembre 2012 Per Ake Hegelsson e Jens Daniel Bakke vengono arrestati in Tunisia e la Moskalenko attiva i suo canali per cercare di ottenere la liberazione. Contatta nell’ordine un tale Pietro a cui chiede se conosce qualcuno di importante perché hanno arrestato dei suoi amici. Parla di mazzette da pagare. Poi chiama Fabrizio Romano, ambasciatore italiano in Ucraina che, però, gli risponde di non avere contatti con il governo tunisino. A quel punto la donna gli chiede se sia il caso di rivolgersi a Berlusconi. L’ambasciatore sconsiglia questa strada e si limita a contattare il suo omologo, Pietro Benassi, in Tunisia, per chiedergli informazioni. Poi, la Moskalenko chiama una donna di nome Lilly che le fa da tramite con Rosario Mondino, da lei definito “responsabile di Amnesty International”. E Mondino la invita ad inviargli tutta la documentazione necessaria per attivare a Roma l’iter burocratico. Infine, il 16 dicembre l’Ucraina invia un sms ad un’utenza intestata al partito ‘Italia dei Valori, lista Di Pietro’ con la sintetica richiesta: “Caro Sindaco, mi chiami quando puoi per favore! Larissa Moskalenko”. Poco dopo la Moskalenko viene ricontattata dallo stesso numero, in uso ad un uomo che la donna ucraina chiama ‘Luca’ e cui chiede se è alle prese “con i problemi di Palermo” (elemento che, scrivono i pubblici ministeri Vittorio Teresi, Maurizio Scalia e Calogero Ferrara, fa supporre che si tratti di Leoluca Orlando, attuale primo cittadino del capoluogo siciliano”). E “Luca” risponde di non avere alcuna conoscenza nel governo tunisino.


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