Cuffaro, lettera da Rebibbia: | "Sono molto stanco, ma ce la farò" - Live Sicilia

Cuffaro, lettera da Rebibbia: | “Sono molto stanco, ma ce la farò”

L'ex governatore, in carcere per favoreggiamento alla mafia, racconta la sua detenzione e fa un richiamo alla situazione delle carceri: "Lo Stato si renda conto che i detenuti non sono solo corpi, ma soprattutto anime che vanno rispettate".

La missiva al direttore di 'Tempi'
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ROMA – “Carissimo Luigi, devo confessarti che sono molto stanco, anche se so che devo trovare le forze e le energie necessarie ad affrontare questa rimanente parte di pena che devo ancora scontare”. inizia così la lettera dell’ex presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, al direttore del periodico ‘Tempi’, Luigi Amicone. Cuffaro sè rinchiuso nel carcere di Rebibbia, dove sta scontando una condanna per favoreggiamento aggravato alla mafia.

“Sto lottando e non mi trasformerò in un uomo di ‘sparre’ – prosegue -, vivo, penso, scrivo, mi prodigo per aiutare chi ha più bisogno, prego. La mia cella, sede obbligata della mia riflessione, faccio che non sia un simulacro della mia anima, ma il santuario della mia coscienza”. Nella missivi anche un vago riferimento ai possibili provvedimenti che il Parlamento potrebbe adottare per alleviare la situazione della popolazione carceraria: “Lottiamo, non ci arrendiamo, speriamo che prima o poi lo Stato, e per lui le carceri, si rendano conto che le storie degli uomini detenuti non sono solo storie di corpi ma sono soprattutto storie di anime. I corpi possono essere ‘custoditi e ristretti’ –  dice ancora Cuffaro – ma le anime vanno rispettate nella loro essenza umana e spirituale”.

“Mio caro Luigi, sì, è vero, sono molto stanco e provato, ma ce la farò. Guardo e vedo il mio pezzo di cielo di giorno e mi aiuta, e durante l’ora d’aria, guardo la rimanenza di esso, lo vedo tutto intero, il carcere non può impedirmi lo sguardo verso l’alto, almeno questo è libero, non circoscritto”. Cuffaro confida poi di aver ultimato il suo secondo libro in carcere: ‘Il santuario di sbarre’. “Mi serve scrivere – spiega l’ex governatore -, scrivendo parlo a me stesso e mi rivolgo alla mia memoria per vedere ed avere quello che il carcere mi vieta e mi impedisce. Non serve invece dividere il tempo, tanto deve passare tutto intero. Serve invece uscire dal carcere e conservare lo stesso stupore col quale sono entrato”. Infine tre parole: “Ce la farò”.


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