Il trono del padrino - Live Sicilia

Il trono del padrino

Entra a far parte degli atti del processo Revenge III la foto di una “particolare” poltrona in legno scattata dalla Squadra Mobile nel corso della perquisizione a casa di Biagio Sciuto, ritenuto il reggente dell’omonima Cosca mafiosa.

La foto scattata dalla Squadra Mobile durante la perquisizione a casa di Biagio Sciuto

CATANIA – Lo ha utilizzato a lungo tanto da farne scomparire la colorazione nella parte bassa dello schienale. Biagio Sciuto conosciuto con il diminutivo del “vecchio” su quella poltrona di legno massiccio, che assomiglia tanto a un trono reale di epoca feudale, ci stava comodamente seduto all’interno della cucina in muratura della sua casa ai piedi dell’Etna. A fargli compagnia c’erano pure due leoni, scolpiti nella parte basse dei braccioli, tradizionalmente riconosciuti come simboli di forza e coraggio. La foto venne scattata dalla Squadra Mobile di Catania nel corso di una perquisizione nella sua abitazione.

I due pm Pasquale Pacifico e Lina Trovato, titolari dell’accusa nel processo Revenge III dove Sciuto è imputato, hanno chiesto, l’acquisizione di quella istantanea nel fascicolo contenente gli atti del processo, acquisizione che è stata disposta dalla Corte presieduta da Rosario Cuteri

Biagio Sciuto, arrestato nel novembre 2008, è il capo dell’omonimo clan mafioso “Sciuto-Tigna” insieme a Giuseppe Sciuto soprannominato “Tigna” ucciso nel dicembre 1992. Il duo è stato storicamente contrapposto al clan di Salvatore Cappello e Salvatore Pillera, in una guerra che a Catania si è consumata nei primi anni ’90. A questo periodo è seguita una sorta di tregua: non si sono registrati, infatti, contrasti tra i clan mafiosi Cappello e Sciuto. Una frattura si era iniziata a riaprire, proprio durante lo svolgimento delle indagini relative al processo Revenge, una fase di conflittualità soprattutto con il gruppo del Carateddu.

Oggetto del contendere sarebbe stato il comportamento tenuto da Sebastiano Fichera, ucciso a Catania in via Cairoli il 26 agosto 2008. Secondo gli inquirenti il boss, appartenente proprio al gruppo degli Sciuto-Tigna, avrebbe pagato con la vita gli affari legati alla droga con il gruppo dei Cappello ed in particolare con l’allora reggente Gaetano D’Aquino. Il mandante, nell’ipotesi accusatoria, sarebbe stato proprio Biagio Sciuto con la complicità di Giacomo Spalletta. Quest’ultimo, il 14 ottobre 2008, venne a sua volta ucciso da alcuni appartenenti al clan “Cappello – Carateddu” proprio per vendicare la morte di Fichera.

Biagio Sciuto, imputato del processo Revenge III

Un omicidio, quello del trafficante in affari con i “Cappello”, eseguito per punire l’autonomia che l’uomo aveva raggiunto nel business della droga, organizzato ed eseguito, secondo la vedova del boss, da “amici” e “compagni”, come più volte sono stati apostrofati davanti alla lapide dalla donna. Nello svelare i retroscena dell’agguato un ruolo determinante lo hanno assunto, secondo l’accusa, diversi collaboratori di giustizia tra cui Eugenio Sturiale, Gaetano Musumeci e Gaetano D’Aquino. Dopo l’omicidio Fichera, proprio D’Aquino aveva iniziato a temere per la propria incolumità tanto che ci fu bisogno, secondo il racconto del collaboratore, di un mega summit di mafia tra gli “Sciuto-Tigna” e i “Cappello”.

Durante l’incontro sarebbe stato proprio il padrino Biagio Sciuto, racconta D’Aquino ai magistrati, ad essersi assunto la paternità della morte di Fichera come atto di “epurazione interna al gruppo”. Il clan degli Sciuto-Tigna è stato “quasi” azzerato: come emerge nell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia la “cosca” sarebbe in grosse difficoltà. Dietro lo sbarre ci sono affiliati e uomini di vertice motivo per cui “l’attività operativa è ridotta al minimo”.

Insomma, il trono degli Sciuto Tigna al momento è vacante.

 


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