I politicanti dell'antimafia - Live Sicilia

I politicanti dell’antimafia

È possibile analizzare la differenza tra il sentimento antimafia e la sua traduzione in azioni concrete, che, in taluni casi, esprimono interesse a vantaggi economici e politici?

E’ lecito, senza attirare scomuniche o accuse di blasfemia, descrivere il sorgere di dubbi sull’autenticità, in alcuni casi, dei sentimenti espressi contro la mafia? Meglio, possiamo analizzare la differenza tra il sentimento antimafia e la sua traduzione in azioni concrete, che, in taluni casi, pur ristretti, appaiono esprimere più che altro interesse a vantaggi economici e politici?

Partiamo da un articolo, pubblicato sul Corriere della Sera (22 dicembre 2013) e scritto da un editorialista illustre, Ernesto Galli della Loggia. Che prende spunto dallo “smascheramento” giudiziario di due donne calabresi, ferventi eroine e paladine della lotta alla ‘ndrangheta. E poi, in sostanza, eletta la prima – viene ipotizzato – chiedendo voti a questa organizzazione criminale. E l’altra, imprenditrice, accusata di aver percepito cospicui finanziamenti per il suo impegno contro la ‘ndrangheta, utilizzati in seguito unicamente per uso personale. A dimostrazione, annota l’autore, che la lotta alla criminalità organizzata “non ha bisogno di premi all’antimafioso dell’anno o dell’ennesimo comizio del Leoluca Orlando di turno”, ma, piuttosto, della pura e semplice applicazione della legge ad opera “di un maggior numero di magistrati bravi e coraggiosi, di più commissariati di polizia e di più stazioni di carabinieri”. Ma il passaggio che suscita maggiori polemiche è un altro: basta con un modo – scrive Galli della Loggia – sterile ed illusorio di fronteggiare la mafia e di gestire ideologicamente il contrasto sociale sotto il nome della “cultura della legalità”. Basta con la precettistica buonista che permette a chiunque di esibire il proprio impegno politicamente corretto, con l’eterna retorica (il discorso, l’intervento, i saluti) della parola alata.

Nessuna tromba ha squillato in Sicilia contro queste tesi. Con l’eccezione di alcune autorevoli fondazioni locali che, pur condividendo il richiamo, hanno difeso però i modelli di educazione alla legalità, sui quali Galli della Loggia aveva esercitato forse un eccessivo sarcasmo (giudicandoli superflui ed inutili), e li dichiarano forme essenziali per la lotta alla mafia. La contro risposta di Galli della Loggia è un cinico richiamo alla concretezza: non esiste una correlazione accertata tra l’espandersi in varie forme dell’associazionismo antimafioso e una variazione dei parametri (diminuzione dei reati e degli affiliati) con i quali viene valutata la presenza della mafia organizzata in un territorio. Ed allora (ci scusiamo per l’espressione abusatissima) di che stiamo parlando? Ovviamente il ragionamento è viziato perché non esiste la possibilità di un’analisi controfattuale: quanto cioè si sarebbe giovata la mafia da una totale assenza di educazione alla legalità e di solidarietà contro la violenza mafiosa.

Galli della Loggia è politologo di vaglia ma non conosce bene, come tanti, le vicende siciliane. Così da trascurare nella sua provocazione ( che in parte non condividiamo) un fenomeno emergente dell’antimafia: il suo trasformarsi cioè da impegno etico e sostegno agli interventi della magistratura (da esaltare ed a cui partecipare) in antimafia politicante. Professata nella convinzione personalizzata secondo cui “la mia antimafia è più lunga della tua” e se un problema risulta di difficile soluzione, viene definito tale per infiltrazioni mafiose, poi magari non provate. E che, sempre in tema di problemi, qualunque ne emerga è anzitutto a causa della mafia e sono per definizione mafiosi tutti i soggetti che in questo problema risultano coinvolti a qualsiasi titolo. Sicché sempre l’antimafia politicante regola senza appello il grado autentico di antimafiosità che include o esclude, in particolar modo dal pianeta degli incarichi di governo, di sottogoverno, di semplice guardiania. Non siamo in presenza di un risorto professionismo dell’antimafia, del resto mai estinto, quanto di uno sfruttamento del “sentimento” per fini politici o comunque di potere.

E’ azzardata la nostra ipotesi di lavoro?

Difficile trarre conclusioni apodittiche. Più facile esprimere due espressioni di dubbio: come mai si denunzia la retorica dell’antimafia e nessun politico siciliano, con ruoli istituzionali o meno, interviene? Perché dell’antimafia politicante non si discute ma si sussurra, quasi come in una seduta spiritica, temendo vendette e ritorsioni?

Mario Centorrino

Antonella Gangemi

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