Se il politico diventa mafioso |Il falso problema della preferenza - Live Sicilia

Se il politico diventa mafioso |Il falso problema della preferenza

Le liste bloccate danno troppo potere agli apparati di partito, trasformano i capi correnti in capi-bastone. E, per favore, non diteci che l’abolizione del voto di preferenza nasca dalla necessità di neutralizzare al Sud il voto mafioso.

PALERMO – Il dibattito sulla riforma della legge elettorale ha avuto un’accelerazione, forse imprevista, con una proposta avanzata dal nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, in accordo con Silvio Berlusconi. Diamo per scontata la conoscenza delle linee guida della proposta stessa, redatta seguendo la recente sentenza della Corte Costituzionale che, come è noto, non ha ritenuto legittimo il precedente sistema ormai universalmente inteso come Porcellum.
Concentriamoci invece su un punto della nuova proposta, ribattezzata, in attesa di nomi più caratterizzanti, con l’anonimo termine di Italicum: la soppressione della preferenza, della libertà concessa all’elettore, all’interno della lista di candidati da lui prescelta o in un collegio uninominale, di poter altresì indicare un nome come destinatario del suo personale consenso. Riteniamo che nel Mezzogiorno questa scelta (l’abolizione della preferenza) riproponga recenti esperienze negative in termini di composizione di liste e di candidature, anche se proprio il Mezzogiorno viene spesso indicato come area i cui comportamenti elettorali nel passato sono stati viziati dal voto di preferenza.
Chi avesse curiosità di ripercorrere la storia della preferenza in Italia, preferenza che oggi si mantiene nelle elezioni comunali, regionali ed europee, può consultare lo splendido saggio di un politologo napoletano, Mauro Calise (“Fuorigioco”, Laterza, 2013). Da parte nostra ci limitiamo qui a riassumere le principali ragioni addotte contro o a favore dell’introduzione della preferenza.
Gli avversari della preferenza, i sostenitori quindi del progetto Renzi-Berlusconi, attribuiscono alla preferenza, soprattutto nelle regioni del Sud, l’espressione di un modello clientelare. La preferenza come voto di scambio, comprato, controllato, sottoposto a ricatti. Ancora, la preferenza come una sorta di attentato alla democrazia visto che il cosidetto “patronage” (termine sofisticato per definire il clientelismo) si realizza con dispiego di risorse non sempre disponibili in egual misura per tutti i candidati. Ancora, il voto di preferenza come condizionato dalla mafia. La lista bloccata dovrebbe lasciare al partito il potere di scelta del candidato ritenuto più degno di rappresentarlo fuori dalle logiche perverse prima, sia pur sommariamente, indicate. Ma la condanna del Porcellum non aveva restituito libertà di scelta all’elettore? La lettura della relativa sentenza costituzionale mette in luce un livello di possibilità concesso alle liste bloccate: la restrizione cioè dei candidati inseriti in un numero tale (da tre a sei) così che l’elettore, nel votare le liste bloccate, abbia la piena consapevolezza del candidato cui sta indirizzando il suo consenso. (Anche se voci non ufficiali filtrate dagli ambienti della Corte tendono a negare questa tesi, considerata solo espressa a mo’ di esempio).
Il grado di libertà di espressione dell’elettore sarebbe limitato ma non annullato. Nel senso che quando sceglie le liste da votare (grado di libertà massimo) starebbe in sostanza scegliendo anche il candidato (grado di libertà minimo).
Una digressione: esiste ancora in misura significativa il voto di scambio tra politica e mafia evocato ad ogni piè, sospinto per giustificare l’abolizione delle preferenze? Riteniamo che, anche alla luce della nuova norma sul punto (416 ter del codice penale, con modifica), sia necessario un aggiornamento del rapporto tra politica e mafia.
Rapporto che presuppone due soggetti i quali, a seconda dei casi, interloquiscono, si accordano, studiano ipotesi di profitto comune. Oggi, con l’occhio rivolto non solo al Mezzogiorno, va profilandosi una identificazione tra politico e mafioso. In sostanza, il politico non ha bisogno del voto mafioso e il mafioso non ha bisogno dell’appoggio politico per il semplice fatto che le figure si identificano, nel senso che il politico, se necessario, utilizza metodi mafiosi e il mafioso assume il ruolo del politico. Ed a volte anche quello dell’imprenditore. I rapporti sullo scioglimento dei Consigli Comunali lo dimostrano con grande evidenza. Superati i tre livelli di Falcone domina la zona grigia illegale senza netta distinzione di ruolo. Capita così anche di trovare mafiosi in associazioni anti-mafia e politici mediatori di affari mafiosi.
L’esperienza sembra dimostrare che il voto di scambio ha ceduto il passo ad una forma di consenso che viene acquisita attraverso holding integrate e non più sulla base di accordi tra singoli soggetti. Se così fosse, sono i fenomeni di associazioni mafiose assurte a “sistema criminale” (Scarpinato) che dovrebbero essere al centro della politica giudiziaria più che il voto di scambio. Oggi in Sicilia, Calabria e Campania la zona grigia, nella quale è difficile distinguere tra politico e mafioso, sta ottenendo in vaste aree un controllo definitivo e duraturo sui meccanismi decisionali della democrazia. Sui quali influisce paradossalmente anche un altro soggetto politico, il movimento dell’antimafia. Per quanto non voglia e non possa definirsi un partito, in quanto tale, tende alla conquista del potere. Grande è il rischio di abusi quando bolla con una sorta di lettera scarlatta gli avversari estranei alla società civile ed ipso facto nemici della giustizia, quando pretende di includere e soprattutto di escludere a suo piacimento, quando invoca il consenso politico per divisione e non per inclusione, utilizzando forme di discredito ed insinuando sospetti e complotti (cfr. S.Lupo, Antipartiti, Donzelli, 2013 pag 190). Senza bisogno di dover ricorrere al voto di scambio. E se il 416 ter, come scrive Caselli, sembra ormai un vecchio ed inutile imbroglio, la nuova norma che lo ha integrato (e che prevede di sanzionare anche la semplice disponibilità a soddisfare interessi ed esigenze dell’associazione mafiosa in cambio di una promessa di voti), non sembra apportare significative novità sul voto di scambio mafioso. Documentato ormai solo nei libri di storia sulla mafia.
Vediamo rapidamente le ragioni di coloro che chiedono a gran voce, e sono tanti, la reintroduzione della preferenza. I parlamentari “nominati”, inseriti nelle liste, hanno spesso dati prova di totale incompetenza. Le “parlamentarie” non sfuggono – e la questione coinvolge l’intero paese – ai tentacoli del clientelismo e proprio per questo i risultati che ne scaturiscono vengono alterati senza vergogna inserendo soggetti che non hanno alcun legame con il territorio e che dopo essere eletti si iscrivono alla corrente dei “desaparecidos”. Le liste bloccate danno troppo potere agli apparati di partito, trasformano i capi correnti in capi-bastone, si prestano a volgari lottizzazioni. Premiano fedeltà ed asservimento, per tacere di altro, più che competenze e impegno. Altro motivo di irritazione è la pluricandidatura nei vari collegi che diventa mezzo per premiare o punire il candidato locale con criteri improntati puramente a logiche di micro-correnti.
Questi i termini della questione simbolicamente rappresentabile con un nodo gordiano inestricabile che va risolto con un colpo di spada. Ad impugnare la spada sono oggi Renzi e Berlusconi. La sensazione prevalente è che nessuno dei due abbia ben calcolato le conseguenze che potrebbe portare il fendente al nodo gordiano in termini di aumento delle astensioni o di voto orientato solo da un sentimento generalizzato “anti-casta”. Ma, per favore, non diteci che l’abolizione del voto di preferenza (peraltro – insistiamo – esercitato nelle elezioni europee, regionali e comunali) nasca dalla necessità di neutralizzare al Sud il voto mafioso!

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