Il muro di Palermo - Live Sicilia

Il muro di Palermo

C'è un muro a Palermo. Un elemento fisico che, per ragioni di sicurezza, divide due parti. Ma è anche una metafora perfetta per raccontarci. A prescindere dalla Vucciria.

La storia della Vucciria
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Il muro che si vede è formato da una serie di spalti protettivi. Il muro invisibile è un assortimento infinito, una incalcolabile muraglia che circonda uomini e cose, a perdita d’occhio e di coraggio. Palermo si snoda lungo un susseguirsi di confini non dichiarati ma esistenti, di rancori fabbricati col cuore sporco di cemento. Il respiro si dibatte in mezzo, tra pietra e pietra. Soffoca.

Siamo nell’altrove di piazza Garraffello, alla Vucciria, qui dove, a causa di un crollo, è stato necessario erigere un ponte levatoio per delimitare la zona a rischio. Su questa riva ci sono le transenne. C’è una macchina dei vigili. Pazientissimi agenti discutono con i commercianti del luogo che protestano. Come faremo – insistono – a campare con la barriera che chiude ogni varco? I vigli ascoltano con calma. Annotano. Tutta la città somiglia a un taccuino da riempire con le cronache di un disastro assorbito goccia a goccia. Il problema si riassume in una domanda da clinici: quale terapia del dolore?

Il limite della discordia e della sicurezza campeggia oltre un concentrato di polvere e sassi. C’è chi sorride. C’è chi scatta le foto col telefonino. Ai turisti non pare vero di avere trovato una necropoli contemporanea, in piena attività, con le persone intrappolate dentro che si dimenano da vive. Per cui, voluttuosamente cliccano. Cliccano i giapponesi di passaggio, gli americani in transito, i panormitani di viale Strasburgo, vestiti in alta uniforme, che qui si sentono stranieri. Cliccano e ridacchiano con la mano che copre la bocca. La rovina è sempre un bello spettacolo, quando siamo sicuri che non ci appartenga.

Non mancano gli spiritosoni:Semu muru muru cu spitali”, mormora qualcuno che stappa la battuta in un contesto di simpatica dissoluzione. Il punto è che non si sa davvero chi siano i prigionieri. Se noi che stiamo di qua, o loro che restano di là. Gli occhi saettano curiosi e soddisfatti nella contemplazione del mondo dirimpetto. A Palermo piace immaginarsi divisa e sconsacrata. Meglio se c’è un muro a chiarire la sua vocazione.

La nostra storia scorre sotto una patina di pace apparente che nasconde una guerra all’ultimo sputo (niente di più, c’è la crisi). Quelli che leggono un blog, contro quelli che ne frequentano un altro. Quelli dell’arancina al burro contro quelli dell’arancina alla carne. Quelli del sinnacollanno contro quelli che ce l’hanno col sinnacollanno. Quelli che: la squadra fa schifo contro quelli che: siete strisciati. Interessi contrapposti, non riconducibili a sintesi. Grassi contro magri. Padroni di gatti contro padroni di cani. Poi c’è lo scontro massimo. Quelli della legalità contro quelli dell’illegalità. Dove per legalità, spesso, non si intende la rettitudine di comportamenti. Al suo posto, spicca una furbizia, in grado di farsi largo col coltello, pur di pugnalare alla schiena gli avversari. Ognuno ha il suo muro, il suo giardinetto, il suo apartheid, la sua legalità da battaglia. La Vucciria spaccata è una perfetta metafora, un’analisi logica del nostro Dna di fortezze e filo spinato, a prescindere dalle concrete dinamiche che la agitano.

Una comunità che dovrebbe spingere insieme per evitare la sua distruzione, sceglie di lottare, di picchiarsi sulla crosta sottile del ghiaccio. E mentre i palermitani se le danno di santa ragione, tra le crepe di un muro sconfinato, le poche anime sante vengono messe al bando. Sono i volontari della disperazione, gli apostoli della coesione difficile, i martiri della solidarietà impossibile. Emarginati, sputacchiati più degli altri, perché sfuggono agli schemi, perché non appartengono a nessuno. I fiori appassiscono sotto le pietre. L’unica forma d’arte consentita si riduce alla rappresentazione di uno scempio.

Per fortuna, il cielo offre ancora consolazione. Il colore violetto sopra la Vucciria illumina piazza Garraffello. Ora pare uno specchio. Ma non c’è tempo per guardarsi, né per riconoscersi. E’ già sabato sera. La voracità incalza. Il cuore di cemento ha bisogno di un altro fossato. Ha bisogno di credere che basti un altro muro per la salvezza. Ogni palermitano-berlinese in viaggio nella città che non ama è diviso in sé da una muraglia. Combatte una faida dentro se stesso. E non sa mai quale dolore abitare.


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