TERMINI IMERESE (PALERMO) – Quando il corteo arriva nella centralissima piazza Duomo il colpo d’occhio è impressionante: poco meno di cinquemila persone si assiepano davanti al Comune per ascoltare gli interventi dei sindacalisti e dei rappresentanti di tutto quello spaccato sociale che ha dato vita al serpentone per le strade di Termini Imerese. La protesta dei 1.200 lavoratori Fiat diventa lo sciopero e la battaglia “di un’intera comunità”, per dirla con le parole di Roberto Mastrosimone, storico segretario provinciale della Fiom. Termini risponde con tante saracinesche abbassate al passaggio del corteo: “E’ giusto partecipare alla sofferenza di tutta la città – sottolinea Mario Artese, che mette a posto le carte della sua agenzia immobiliare prima di chiudere -, ormai qui è crisi nera”.
Fin dalle nove spuntano le prime ex tute blu dello stabilimento del Lingotto, ma anche i tanti operai di un universo spesso dimenticato davanti al grande paravento della “vertenza Fiat”: quest’ultimi sono i lavoratori dell’indotto, quel tessuto di piccole aziende che producevano i componenti per il casa automobilistica torinese e che adesso vedono concretizzarsi lo spettro del licenziamento senza neanche il paracadute degli ammortizzatori sociali. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono i 174 operai di Lear e Clerprem, aziende che producevano i sedili delle auto Fiat e le loro imbottiture. Le lettere di licenziamento sono arrivate a fine dicembre e ora il tavolo sindacale è aperto “e speriamo di poter avere buone notizie nei prossimi giorni – dice Enzo Comella, segretario provinciale della Uilm, che con Fiom e Fim Cisl ha organizzato la manifestazione -. La reindustrializzazione di Termini Imerese è stata un fallimento, per stessa ammissione del ministero e dell’advisor Invitalia, bisogna ripartire da Palazzo Chigi”. In testa al corteo c’è anche padre Francesco Anfuso, arciprete di Termini che pochi giorni fa aveva invitato tutta la popolazione a dare manforte alla manifestazione: “La Chiesa è il primo parafulmine di chi cade in povertà – racconta -. Sono in mezzo alla gente perchè è questo il mio ruolo”.
Nel grande quadro che si dipinge lentamente da piazza 25 aprile, dove prende il via la manifestazione, si mischiano le storie di centinuaia di famiglie. A giugno scadrà anche la cassa integrazione in deroga e per i 1.200 lavoratori Fiat sarà licenziamento. “Tornare a lavorare per la Fiat sarebbe la soluzione migliore – dice Giovanni Scalia, una vita passata in catena di montaggio e ora in cassa integrazione -, ma ben vengano anche altre soluzioni. Vogliamo tornare a lavorare”. Storie anche molto giovani, come quella di Salvatore Coniglio, che frequenta la V B del liceo classico Ugdulena: “Mio padre lavorava alla Lear, adesso è in mobilità”. Fermo sull’uscio di un palazzo Salvatore Licata, senza lavoro da quattro anni: “Avevo un negozio di biancheria, ho dovuto chiudere e sono partito per il Nord. Ho lavorato, poi sono stato licenziato e sono tornato a Termini. La situazione? La vedete sotto ai vostri occhi, la chiusura della Fiat ha portato il deserto”.
Lo sguardo, per tutti, è rivolto all’incontro di domani, quando si aprirà il tavolo con il ministero dello Sviluppo economico e il governo. “A Roma devono capire che questa non è una vertenza periferica – dice il sindaco, Salvatore Burrafato -. Il governo trovi la forza per costringere la Fiat a tornare sui propri passi. Il Lingotto non può lavarsene le mani”. E’ l’eterno bivio tra chi ha sostenuto il sogno della reindustrializzazione (finora fallita miseramente) e chi ha sempre sperato nel ritorno sotto l’ala protettiva della Fiat. “Tutte le ipotesi di rilancio industriale sotto altri marchi si sono rivelate dei fallimenti – ammonisce Mastrosimone -. Abbiamo uno stabilimento ancora efficiente e degli operai che hanno voglia di lavorare. La Fiat deve tornare a guidare il rilancio di Termini”. La pensa così anche Giovanni Scavuzzo, segretario provinciale della Fim Cisl, che però precisa: “Ben vengano anche altri progetti, ma nessuno degli attori presenti a questo tavolo si alzi se prima non saranno stati salvati gli operai dal licenziamento”.
In piazza arrivano tanti gonfaloni del comprensorio madonita e arrivano anche il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, e il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in qualità di presidente dell’Anci Sicilia: “Termini Imerese è una vertenza nazionale – afferma Orlando -. Il governo nazionale si dia una smossa e costringa la Fiat a fare il proprio dovere verso questo territorio, oppure favorisca l’insediamento di case automobilistiche straniere”. C’è chi si lamenta per non aver potuto parlare dalla gradinata del Comune in cui è montato il microfono, poi la conclusione è affidata al leader nazionale della Fiom, Maurizio Landini, che parla per quasi un’ora: “La partita è complicata ma non accetteremo questa situazione – assicura -. La Fiat non può sedere a questo tavolo come un normale spettatore, deve assumersi le sue responsabilità e guidare il processo di reindustrializzazione. Non ci piace chiedere ammortizzatori sociali, ma saremo costretti a farlo per garantire la copertura per tutto il 2014, ma serve un piano di rilancio serio”.Poi il mea culpa: “Abbiamo pagato le divisioni tra i sindacati, dobbiamo smetterla di dividerci. Siamo di fronte al fatto che Fiat sta andando via da Termini Imerese e dal nostro paese”.
Finisce con le bandiere ripiegate e il cuore rivolto all’incontro di domani. La rabbia e l’energia del mattino perdono terreno di fronte al fatalismo dell’ora di pranzo: “Ma si concluderà qualche cosa?”, chiede una signora, immersa nei sacchetti della spesa, in dialetto termitano. La risposta di un operaio si perde lungo via Mazzini: “Non lo so, ma non potevamo stare a casa”.
Premesso che auguro ai lavoratori di Termini Imerese di ritrovare il lavoro, dubito che Fiat sarà disposta a tornare a Termini Imerese: bisogna essere realisti. In Sicilia è difficile fare industria metalmeccanica, posizione geografica e infrastrutture secondo me ci penalizzano moltissimo. Perché siamo lontani dall’Europa consumatrice. Spero naturalmente di sbagliarmi.
La Fiat sta scappando dall’Italia, e dovrebbe ritornare ad investire in Sicilia? Da Siciliano e da padre di famiglia mi dispiace tanto per i lavoratori, ma non vedo soluzione alcuna.
Forza ragazzi .
Sono d’accordo con Calò.
Amaramente aggiungerei, quando la Fiat di Termini era in funzione, molti dei nostri cosiddetti lavoratori sindacalizzati non avevano tanto a cuore l’azienda e il posto di lavoro, poichè un piccolo contributo l’hanno dato anche loro con lavativismo e assenteismo (partite di calcio, raccolta dei carciofi, vendemmia, finte malattie, boicottaggio alla catena di montaggio, etc. etc.). Qualcuno in malafede non si risenta, poichè è la verità, anche se la Fiat ha pure i suoi torti.
Mi dispiace tantissimo per i lavoratori, ma dobbiamo essere realisti. Con tutta l’esternalizzazione in corso che speranza c’è di produrre auto in uno dei posti più remoti dell’Europa? Produrre lì significa un sacco di costi per il trasporto sia dei materiali che dei prodotti finiti, senza contare che un operaio in Polonia, Ucraina e posti simili costa un quarto di quello che costa uno italiano… Signori, purtroppo è così, le aziende non sono enti di beneficenza sociale, ma sono entità che puntano al massimo profitto con il minimo della spesa, specialmente in un periodo di crisi come questo e in particolare nel settore dell’auto che è in compressione.
Bisogna diversificare la produzione automobilistica come ha fatto la TESLA MOTORS con vetture elettriche di ultima generazione, non si tratta di fantascienza anzi una realta’ per adesso solo Americana; Perché nessuno la contatta visto che di sole ne abbiamo tanto in Sicilia per produrre energia pulita.
Per piu’ info http://it.wikipedia.org/wiki/Tesla_Motors
oppure http://www.youtube.com/watch?v=fA4K4AAucVA