Interrogato l'ispettore Galvagna |La difesa: "Accuse insufficienti" - Live Sicilia

Interrogato l’ispettore Galvagna |La difesa: “Accuse insufficienti”

Ha risposto alle domande del Gip il poliziotto arrestato ieri notte dai carabinieri insieme a 5 persone per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il difensore: "In galera un servitore dello Stato, abbiamo già presentato la richiesta di revoca dell'ordinanza".

Al carcere di bicocca
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CATANIA – E’ durato oltre due ore l’interrogatorio di garanzia all’ispettore Antonio Massimo Galvagna, chiamato dai colleghi con il diminuitivo di “Tony”. Il poliziotto è stato arrestato la sera del 13 febbraio dai carabinieri di Catania, in esecuzione di un’ordinanza firmata dal Gip Daniela Monaco Crea, per il reato di estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso. Al carcere di Bicocca oltre al Giudice per le Indagini Preliminari erano presenti il pm titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore Antonella Barrera e il difensore del poliziotto, l’avvocato Salvatore Panvini.

L’ACCUSA – Il Gip ha ripercorso nel dettaglio l’inchiesta culminata con l’arresto dell’ispettore insieme a Carmelo Lo Giudice, Denis Lo Giudice, Attilio Bellia, Carmelo Simone Tabita e Riccardo Pusillico. Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania hanno preso l’avvio dalle denunce di due persone che avevano preso a noleggio delle autovetture dalla ditta “S.M. Rent a Car” intestata al padre di Galvagna, ma secondo la ricostruzione probatoria della Procura il reale gestore dell’attività era il poliziotto indagato. Una volta restituito le vetture noleggiate l’ispettore Galvagna avrebbe preteso come pagamento somme superiori a quelle preventivate: davanti al rifiuto dei due il poliziotto li avrebbe minacciati verbalmente e anche fisicamente, facendosi aiutare da due dipendenti, anche loro finiti in manette, Tabita e Pusillico.  A supporto dell’attività investigativa dei carabinieri coordinata dalla Procura anche diverse intercettazioni che dimostrerebbero le minacce estorsive comminate con il cosiddetto metodo mafioso. Il poliziotto avrebbe anche detto alle vittime che se non avessero pagato quanto dovuto sarebbero stati arrestati dopo aver fatto trovare della droga. A queste accuse si aggiugono gli stretti legami di frequentazione che l’ispettore di polizia avrebbe con personaggi del calibro di Carmelo Lo Giudice e Attilio Bellia. Il primo, già detenuto, è lo zio paterno di Sebastiano Lo Giudice, responsabile del clan mafioso “Cappello-Carateddi”, arrestato nella nota operazione “Revenge”, e che al momento è detenuto al regime del 41 bis. Bellia, già condannato in via definitiva per il reato di associazione di stampo mafioso, è affiliato ai “Santapaola”. L’ispettore di Polizia, in servizio presso l’Ufficio Prevenzione Generale Soccorso Pubblico della Questura di Catania, è accusato anche di due episodi di accesso abusivo a sistema informatico.

LA DIFESA. “Lo Stato ha messo in galera un suo servitore” – è il commento del difensore di Antonino Galvagna, l’avvocato Salvatore Panvini. “Le accuse – aggiunge il legale – sono assolutamente insufficenti per una misura cautelare in carcere, per questo ho già presentato una richiesta di revoca dell’ordinanza al Gip”. In merito alla ditta di autonoleggio l’ispettore Galvagno avrebbe affermato che per quanto concerne la gestione dell’attività, si trattava solo dell’aiuto di un figlio ad un padre avanti con l’età. Il quadro accusatorio, secondo il legale, si fonderebbe su elementi probatori insufficenti a reggere le accuse contestate dalla Procura e accolte dal Gip. L’avvocato Panvini, ripercorrendo la carriera dell’ispettore che ha anche ricevuto un encomio durante la festa della polizia del 2011 per l’arresto di un latitante mafioso, non nasconde la sua amarezza: “Quanto è successo è inquietante”.

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