Costruttore dentro il tunnel del pizzo | Condannati dodici imputati - Live Sicilia

Costruttore dentro il tunnel del pizzo | Condannati dodici imputati

Per anni l'imprenditore avrebbe subito in silenzio le vessazioni, fra gli altri, dei mafiosi di Santa Maria del Gesù. Fu costretto persino a "regalare" un appartamento. Poi, messo alle strette dai poliziotti, la scelta di denunciare.

MAFIA A PALERMO
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PALERMO – L’imprenditore restava in cantiere ben oltre l’orario di lavoro. I mafiosi non gli davano respiro. E trascorreva le serate a cercare di capire come uscire dal tunnel del pizzo. Alla fine si rese conto che aveva una sola possibilità. Ammettere di avere pagato. Cinque volte il clan bussò alla porta dei suoi cantieri, fra Palermo e provincia.

Per le estorsione il Giudice per l’udienza preliminare Giovanni Francolini ha condannato dodici imputati, alcuni dei quali sarebbero legati al clan di Santa Maria del Gesù: Gianpaolo e Ino Corso sono stati condannati a 3 anni (in continuazione con una precedente condanna), Dario Corso a 6 anni e 4 mesi, Luigi e Pietro Corso 5 anni ciascuno per aver occultato i proventi del reato (per loro è stata esclusa l’aggravante mafiosa); Francesco Francofonti ha avuto 2 anni (sempre in continuazione); Francesco Lombardo a 6 anni e 4 mesi, Giovanni Molinaro a 2 anni e 4 mesi; Antonino Sacco a 10 anni, Carmelo Sacco a 6 anni e 4 mesi, Giovanni Sacco a 1 anno e 4 mesi; Paolo Suleman a 6 anni e 4 mesi.

Messo di fronte all’evidenza delle intercettazioni, dunque, il costruttore ammise agli agenti della Squadra mobile di avere pagato per anni la protezione dei boss. Migliaia di euro in contanti, l’obbligo di fare lavorare le imprese segnalate dalla cosca e persino il sopruso di “regalare” un appartamento al capomafia. L’inchiesta aveva coinvolto Giuseppe Calascibetta, assassinato nel settembre del 2011. Era uscito di galera nel 2009 e subito era tornato a chiedere il pizzo. Non solo soldi – 50 mila euro -, aveva pure ottenuto un appartamento del valore di 150 mila euro in vicolo Muzio.

L’imprenditore taglieggiato si sfogava con familiari e collaboratori. Raccontava delle “… minacce ai dipendenti ricevute perché noi non abbiamo pagato e quindi abbiamo dovuto pagare obbligatoriamente… dico … è una cosa normale che noi dobbiamo arrivare a tutto questo?”. Ed ancora: “… lei sa meglio di me che ci sono andati fino al cantiere… lo hanno fatto spaventare … gli operai … gli operai non volevano venire più a lavorare … cioè abbiamo… con le pistole in mano…questi grandi signori… ci hanno imposto che devono fare gli impianti”.

Poi, la scelta, seppure sofferta di denunciare. Oggi ha ottenuto il risarcimento dei danni. Si era costituito parte civile con l’asssitenza dei legali delle associazioni antiracket Libero Futuro e Addiopizzo.


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