Supermercato Bosco quartier generale dell'usura |"Interessi con tassi annui fino al 140%" - Live Sicilia

Supermercato Bosco quartier generale dell’usura |”Interessi con tassi annui fino al 140%”

Di LAURA DISTEFANO - I segreti e i retroscena del blitz Money Lender.  I NOMI DEGLI ARRESTATI - LE FOTO - L'INTERCETTAZIONE AUDIO

CATANIA – “Nino Bosco è uno dei maggiori usurai di Catania”. Il boss Gaetano D’Aquino aveva descritto così ai magistrati Antonino Bosco, imprenditore leader nel settore del catering nella provincia etnea ed oggi finito in manette insieme a diversi esponenti della sua famiglia. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia trovano pieno riscontro nell’inchiesta Money Lander della Squadra Mobile che con l’importante sinergia della Finanza ha assicurato alla giustizia 24 persone. Le indagini della Mobile – coordinate dal Pm Giovannella Scaminaci e dal procuratore Giovanni Salvi – partono dal 2008 e grazie a intercettazioni e cimici riescono a fotografare un’organizzazione “a conduzione familiare – l’ha definita Antonio Salvago – che riusciva a lucrare sui prestiti usurai con tassi di interesse annui del 140 per cento”.

Le insegne “Fratelli Bosco” negli ultimi anni si sono moltiplicate: ristoranti, gastronomie e supermercati sono sorte, o quelle esistenti si sono rinnovate, in ogni zona della città. Dietro al business del catering, però, ci sarebbe un reinvestimento illecito nel racket dell’usura e delle estorsioni. Se le accuse mosse dagli inquirenti risultassero fondanti l’impero di Bosco nasconderebbe uno dei crimini più abbietti, riconducibile per metodi e tipologia alla criminalità organizzata, e cioè quello dei prestiti a chi purtroppo molte volte si è visto sbattere la porta in faccia dalle banche. Il quartier generale sarebbe, da quanto emerge dall’inchiesta, il supermercato di Via Orto dei Limoni: qui chi aveva bisogno di soldi sapeva di poter trovare un finanziatore di fondi.

La famiglia Bosco non agiva da sola, l’associazione a delinquere sarebbe stata avviata con i fratelli Mario e Antonio Cuntrò, e Giovanni Di Prima, volto molto conosciuto soprattutto nel mondo sportivo etneo. Nel 2009 si presentano in procura due imprenditori edili della provincia, assistiti dall’Asaae, e denunciano le intimidazioni, le vessazioni e le minacce subite. Un incubo di centinaia di migliaia di euro a cui erano stanchi di sottostare: era, però, solo la punta dell’iceberg. La collaborazione ha aiutato a chiudere il cerchio, tanto che in totale sono state scoperte 21 episodi di usura e 11 di estorsione. Anche se la lista è molto più lunga, ma non avendo individuato le vittime non è stato possibile contestare i fatti ai 27 indagati.

Somme da capogiro, anche a 5 zeri quelle cedute dagli usurai. Si va da importi di 7 mila euro fino ad un prestito di 350.000 euro: la restituzione è stata rateizzata in diverse soluzione con denaro contante ma anche titoli. In totale secondo le indagini della polizia tributaria della Guardia di Finanzia, guidata da Giancarlo Franzese, la famiglia Bosco ha prestato oltre un milione e mezzo di euro, applicando – come già detto – tassi usurai che potevano raggiungere anche il 140%.  La finanza ha svolto accertamenti riguardanti il calcolo degli interessi pattuiti e pagati: elementi probanti che hanno reso possibile la contestazione del reato di usura ai destinatari dell’ordinanza firmata dal Gip. “Abbiami eseguito un sequestro preventivo per equivalente – ha dichiarato Franzese – per un valore di circa 800 mila euro nei confronti di 20 indagati. Il sequestro è stato effettuato attraverso il blocco delle somme versate in diversi conti correnti e sono stati posti i sigili a diversi beni mobili e immobili intestati o riconducibili sempre agli indagati”.  I supermercati e i ristoranti quindi non sono stati colpiti dalla misura.

La modalità di restituzione del prestito era ben delineata. L’interesse maturato o veniva trattenuto in origine: ad esempio per un prestito di 1.000 euro veniva data la somma di 900 euro,  oppure in altri casi gli interessi, insieme ad una parte della somma prestata,  dovevano essere versati ad una data stabilita, di solito mensilmente.  Poteva succedere che nella rata veniva inserito solo l’importo maturato come interesse, con la restituzione del capitale in una fase successiva.  Saltare una scadenza significava il ricalcolo degli interessi, che salivano in maniera esponenziale. Ancor peggio era se il ritardo riguardava l’impobile: in queste occasioni veniva stilato addirittura un piano di rientro. E in garanzia alcuni imprenditori davano degli assegni che i Bosco avrebbero girato ad alcuni fornitori di merce. E c’è anche chi sarebbe stato costretto a firmare un compromesso propedeutico ad un atto di vendita di un immobile.

E gli interessi a volte si pagavano anche con la carta di credito o con il bancomat utilizzando il Pos del supermercato. Un’intercettazione ambientale fornisce una lucida fotografia di quanto potesse accadere. “Quegli altri 100 – mila euro, ndr – che sono fermi là che ti dà 4.000 mila euro al mese … è venuto l’ultimo giorno del mese e li ha pagati col bancomat”. Antonino Bosco avrebbe preteso il pagamento di 60 euro in quanto sulla transazione avrebbe pagato la commissione alla banca.

Non è solo Gaetano D’Aquino ad aver rilasciato dichiarazioni alla magistratura in merito a Bosco come potente usuraio di Catania. In questa inchiesta elemento di grande rilevanza assumono le parole del collaboratore di giustizia Giuseppe Laudani che ha fornito chiarimenti in merito a contributi economici che sarebbero stati garantiti  dai Bosco sia a Natale che a Pasqua, con il benestare degli uomini del Clan. Insomma doni che avrebbero avuto “la benedizione” dei Laudani. A rilevare questa presunta vicinanza tra gli imprenditori e i clan mafiosi sono le parole di Antonino Bosco captate in una intercettazione:  “Io ho questo con Cappello, a quello con i Tigna, a quello con i Puntina e questo con i Mussi… ne ho quattro..”

Un collegamento con la criminalità organizzata che spicca anche da diversi nomi raggiunti dall’ordinanza. Personaggi che militano in diverse famiglie tra cui anche Cosa Nostra catanese. Massimo Squillaci, ritenuto affiliato ai “Mattiddina”, vicini storicamente all’organizzazione Santapaola – Ercolano e transitata per un periodo nel clan Cappello-Bonaccorsi, avrebbe avuto il ruolo di esattore in un tentativo di estorsione. E ancora  Mirko Pompeo Casesa, dei Santapaola – Ercolano, e Giuseppe Emilio Platania, dei Ceusi (così viene definito il clan Piacenti).

Terremoto anche tra le mura del Palazzo di Piazza Verga.  Due dipendenti del Ministero della Giustizia, per la precisione Francesco Agnello attualmente in servizio al Tribunale di Catania e Antonino Buffa, in pensione sono stati arrestati  con l’accusa di usura. A loro è contestata l’aggravante di avere favorito il Clan Cursoti. Agnello e Buffa avrebbero, infatti, secondo gli inquirenti finanziato prestiti per conto della Cosca.


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