L'arte del lecchinaggio - Live Sicilia

L’arte del lecchinaggio

I lecchini li troviamo nel mondo politico, nelle redazioni dei giornali, negli uffici, nelle Università, dovunque ci siano gerarchie ed al tempo stesso possibilità di entrare in filiere di benefici.

Alzi la mano chi non ha mai assistito o non ne sia stato destinatario, ad una esibizione dell’arte del lecchinaggio. Un profluvio di attenzioni, complimenti, sottintese complicità che titillano, illudono, compiacciono. A volte con obiettivi ben specifici, altre volte per miseria morale, l’accostarsi ad un presunto potere e, sia pure per un attimo, respirarne il profumo di autorità.

I lecchini li troviamo nel mondo politico, nelle redazioni dei giornali, negli uffici, nelle Università, dovunque ci siano gerarchie ed al tempo stesso possibilità di entrare in filiere di benefici. I lecchini di eccellenza dicono al politico che il suo sgrammaticato discorso li ha emozionati nelle più profonde corde del cuore, al capo ufficio che ammirano la sua capacità di direzione quasi genuflettendosi alla Fracchia, al barone universitario tedioso e borioso che le sue lezioni sono la quintessenza del sapere.

I lecchini volteggiano tagliando trasversalmente ideologie, amicizie, tradizionali rapporti. La loro capacità stupenda è quella di non avere memoria. Leccare il presente automaticamente cancella ogni precedente segnale nelle papille che traspirano umori umettanti. Vogliamo fotografarli in due versioni di genere ispirandoci a modelli esistenti ed in attività. Nessun riferimento, in questa descrizione, è puramente casuale.

Nella prima versione, quella maschile, il lecchino ha i tratti materici, la pelle grassa e tende, col passare degli anni, alla pinguedine. Superata la mezza età ricorda un parallelepipedo rettangolo. Trattasi dell’uomo lecchino, sì, di colui abituato sin da piccolo a incensare la maestra portandole i fiori, quello che per aver qualcosa da fare nella prima giovinezza si presta a ricoprire il ruolo di galoppino elettorale, il lusingatore del capoufficio, pronto a diventare portaborse, incline alla piaggeria gratuita, schiavetto tutto fare, abile cortigiano, lacchè per vocazione, in sintesi, e prendendo a prestito il termine dagli americani, un brown nose, letteralmente un naso marrone di…merda, proprio di colui che, per una vita, lecca il culo. Potrebbe persino possedere un buon capitale intellettivo o una discreta cultura ma li tiene in serbo a suo uso, non esprimendo mai una chiara idea politica o una posizione di contrasto. Il suo modo di parlare è biascicato e quando, in un momento di estrema sincerità, colto da un eccezionale raptus, vuole tranciare un giudizio forte, lo fa ingarbugliando le parole sino a risultare incomprensibile. Tende a lavorare il meno possibile, concedendosi spesso voluttuosi riposini. Impegnato nell’agone politico, il nostro lecchino sarà portato a cambiare spesso casacca, saltabeccando da un partito all’altro fino a trovare una comoda sistemazione in quell’area che, a suo modo di pensare, gli concederà più vantaggi. Certo, tra un passaggio e l’altro, tende a affinare le sue doti di incensatore, di lusingatore, e financo di panegirista. Così finisce col rimanere sempre in piedi, anche se angariato da forti dolori alla schiena. In qualche caso da lecchino rampante si trasforma, ma solo momentaneamente, in lecchino lombosciatalgico.

Diverse peculiarità si rivelano analizzando la lecchina-donna. Nell’attuale corpo sociale se ne incontrano un numero minore e, rispetto al maschio, di solito presenta fattezze leggiadre. Infatti trattasi di creature che, consapevoli dei propri limiti culturali e intellettuali, tendono a intraprendere un percorso di vera e propria seduzione. Ma non di tipo erotico-sessuale, né di tipo etero né di tipo omo. Bensì esaltando, sino alla eccezionalità, alcune doti domestiche. La lecchina-donna, non appena punta la propria “vittima”, inaugura una stagione intensa di cene, pranzi e merende. Cene etniche realizzate con prodotti della campagna a kilometro zero, o raffinate cene alla francese annaffiate da ottimo champagne, o incontri macrobiotici se il Superiore ha intrapreso una feroce dieta a scopo estetico-salutistico. O, per le più opulente, per nulla preoccupate dalla violenta crisi economica, veri e propri “pranzi di Babette”, da consumarsi la domenica all’ora del tocco. L’Ospite d’onore occuperà a tavola un posto centrale, quello che, secondo le regole, spetterebbe al padrone di casa. Il primo boccone viene riservato a lui e gli altri commensali aspetteranno, con la bava alla bocca, il giudizio apodittico, della “vittima”, prima di dare risposta agli assalti convulsi delle proprie papille gustative. Tutto ciò che costituisce il perno della seduzione verrà accompagnato da altri pensierini quotidiani: dono di libri, qualche confidenza di corridoio, una messa a punto di un alveo di fiducia totale. Tutto questo crollerà nel preciso istante in cui la “vittima” perderà la poltrona. E’ come una sorta di riflesso condizionato alla Pavlov: cessato l’incarico prestigioso cessa la strategia seduttiva. Ed il talento del lecchinaggio sarà fruttato per nuovi protagonisti. Non c’è lecchino o lecchina- stiamo parafrasando Bufalino – che non assomigli al serpente dell’Eden. Solo che la mela è marcia.

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