Dalle Province ai Consorzi | La "riforma epocale" di Crocetta - Live Sicilia

Dalle Province ai Consorzi | La “riforma epocale” di Crocetta

Dalla nascita dei nuovi enti alla costituzione delle Città metropolitane. Dall'elezione dei nuovi presidenti al destino dei Comuni. Novità e dubbi di una legge dalla gestazione difficile. Che verrà approvata martedì. Per poi finire al vaglio del Commissario dello Stato.

PALERMO – L’epocale riforma delle Province è il frutto di una gestazione complicata, faticosa a tratti drammatica. A dire il vero, più di una volta, durante l’iter del ddl il governo ha rischiato di perdere la sua creatura, sotto i colpi dei franchi tiratori e del voto segreto. Ma alla fine, la riforma arriverà. E il giorno previsto per il primo vagito è quello di martedì prossimo, 11 marzo, quando Sala d’Ercole darà il proprio ultimo sì alla legge. A quel punto, cosa cambierà?

Come dicevamo, il testo definitivo (salvo le correzioni previste dal cosiddetto ‘articolo 117, tramite il quale in questi giorni si opererà un’azione di coordinamento e in alcuni casi persino rettifica di alcune parti degli articoli finora approvati), è l’esito di un cammino accidentato. Di scritture, e riscritture, che ne hanno cambiato la fisionomia, strada facendo, rispetto all’identikit uscito dalla commissione Affari istituzionali.

Una cosa è certa: la Regione siciliana “chiude” le Province, dice addio alle elezioni per l’organo intermedio, e “apre” i Liberi consorzi di Comuni, enti previsti dallo Statuto speciale. Enti di “secondo grado”, secondo la formulazione del parlamento. Non più eletti dal popolo, ma composti dai sindaci dei comuni che lo compongono. La vera novità della norma, però, è l’istituzione delle città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Non previste, queste sì, dallo Statuto. Ma che serviranno ad attrarre finanziamenti europei indirizzati proprio a questa tipologia di ente.

Il cuore della riforma è ovviamente nel primo articolo. In occasione del quale, però, il governo ha rischiato di dover rinunciare proprio alla novità assoluta del ddl. L’articolo infatti prevedeva l’istituzione di nove liberi consorzi e delle tre città metropolitane. Un riferimento, quello alle metropoli, cassato dal voto incrociato del centrodestra, dei grillini e dei franchi tiratori della maggioranza. Ma il pasaggio sulle città metropolitane, verrà in qualche modo recuperato all’articolo 7.

Intanto, ecco i Liberi consorzi, composti inizialmente dai Comuni appartenenti alle vecchie Province e che potranno “esercitare in forma unitaria funzioni e servizi”. L’articolo 1 prevede le norme riguardanti i lavoratori delle Province, oggetto di diversi interventi e polemiche in Aula: “I liberi consorzi – si legge – continuano a utilizzare le risorse finanziarie, materiali ed umane già di spettenza delle corrispondenti province regionali e continuano ad avvalersi, nei limiti delle disponibilità finanzarie dei servizi svolti da società interamente partecipate, garantendo la continuità dei rapporti contrattuali in essere alla data di entrata in vigore della legge”. Al personale dei nascenti liberi consorzi è confermato il vecchio status giuridico-economico. I Consorzi utilizzeranno anche le attuali sedi delle Province.

La nascita di nuovi consorzi
Il governo voleva fissare il limite minimo di 150 mila abitanti. Un emendamento del Pd (primo firmatario Alloro) ha alzato l’asticella: serviranno 180 mila abitanti per la creazione di un nuovo Consorzio. Sarà più difficile, quindi, la nascita del Consorzio di Gela, tanto caro al governatore. E la nascita di un nuovo Consorzio non sarà così automatica. I Comuni, entro sei mesi dalla pubblicazione del ddl di riforma potranno chiedere di formare il nuovo ente. Ma per farlo dovranno rispettare, anche, il requisito della continuità territoriale. Per l’adesione, i Comuni dovranno esprimersi attraverso delibere approvate dai due terzi dei componenti del Consiglio comunale, e dopo un referendum confermativo. Un passaggio, quest’ultimo, voluto fortemente dal Movimento cinque stelle. Tutti paletti, questi, che dovrebbero scongiurare uno dei rischi che pareva molto concreto nella prima formulazione della legge: quello della proliferazione dei nuovi enti. Tutto questo iter, infatti, va completato in sei mesi.

Com’è formato il Consorzio e chi elegge gli organi
Il Libero Consorzio verrà composto dal presidente, dalla giunta e dall’Assemblea. Sarà quest’ultima a eleggere appunto la guida del nuovo ente. Ma da chi è formata l’assemblea? Il governo, per cercare di mediare di fronte alle richieste di un’oppoisizione che spingeva per l’elezione diretta degli organi del Consorzio, aveva proposto di prevede nell’Assemblea anche la presenza dei consiglieri dei Comuni del Consorzio stesso. Proposta bocciata dal voto segreto. L’assemblea verrà formata dai soli sindaci. E non è poco. In province come Messina o Catania, le assemblee potrebbero essere formate da sessanta, settanta sindaci. Le cui missioni e trasferte saranno rimborsate dai Comuni stessi. Solo il tempo e il costo di queste missioni, insomma, potranno dare qualche indicazione reale sul risparmio legato alla scomparsa dei vecchi consigli provinciali e delle vecchie giunte. Scompaiono infatti anche i gettoni di presenza e le indennità della vecchia “casta” delle Province.

Chi elegge il presidente del Consorzio?
Altro tema assai discusso durante l’iter del ddl è stato quello riguardante l’elezione del presidente del Libero Consorzio. “Elezione diretta”, avevano richiesto le opposizioni. Ma alla fine, governo e maggioranza hanno resistito: il presidente, che sarà uno dei sindaci del Consorzio, verrà eletto però da una platea più ampia della semplice Assemblea. Ai sindaci, infatti, si aggiungeranno anche tutti i consiglieri dei Comuni che compongono il Consorzio.

E i dubbi non mancano anche in questo caso. La scelta di evitare l’elezione da parte dei cittadini, secondo l’opposizione apre l’era della “contrattazione” tra sindaci. Insomma, la possibilità di ottenere delle preferenze in vista dell’elezione potrebbe essere il frutto di interessi territoriali e non legati alla qualità dell’aspirante presidente. L’allargamento dell’elettorato attivo ai consiglieri, invece, riesce ad ammortizzare il rischio che la mancanza di un voto “ponderato” desse ai piccolissimi Comuni (rappresentativi quindi di pochi cittadini) lo stesso potere dei grandi Comuni. L’introduzione dei consiglieri – che variano anche in base alla grandezza del Comune stesso – come detto, riduce questo possibile “difetto”. Molto meno “difficoltosa” in Aula l’approvazione dell’articolo che riguarda la composizione della giunta. Potrà essere formata da un massimo di otto assessori, che decadrebbero dalla giunta in caso di concomitante decadenza dalla carica di sindaco del proprio Comune di appartenenza.

Le città metropolitane, cancellate e ripescate
Come detto, assai complicata è stata l’istituzione delle città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Dopo la bocciatura della norma prevista all’articolo 1, infatti, le speranze di ripescare il nuovo ente è stato affidato, a sorpresa, a un emendamento che ha visto come primo firmatario il deputato del Nuovo centrodestra Nino Germanà. Una modifica che ha esteso il territorio della città metropolitana alla vecchia “area metropolitana” (individuata da un decreto del presidente della Regione del 1995). Al di là della denominazione, quello che cambia è la “sostanza”. Alla nuova formulazione delle tre città metropolitane, infatti, aderiscono anche una serie di Comuni. Una ventina circa per ciascuna. Una formula che ha convinto anche i deputati del Movimento cinque stelle, contrari inizialmente alla vecchia versione delle città metropolitane. I Comuni che restano fuori dall’area metropolitana confluiranno nel Consorzio, che a quel punto avrà come capofila il Comune più popoloso.

L’elezione del “sindaco metropolitano” sarà affidata a una legge successiva, mentre i Comuni possono scegliere sia di uscire dalla città metropolitana, sia di farne parte, ma solo in caso di continuità territoriale e solo in seguito a una delibera del Consiglio approvata a maggioranza assoluta. Rimandato a un’altra legge anche l’attribuzione di funzioni di Consorzi e Città metropolitane. Il parlamento si è limitato a prevede alcune “funzioni quadro” come quelle di “coordinamento, pianificazione, programmazione e controllo in materia territoriale, ambientale, di trasporti e di sviluppo economico”. Infine, la Regione interverrà razionalizzando, chiudendo e accorpando gli enti delle ex Province.

I tempi
Adesso si entra in una fase transitoria. Entro sei mesi i Comuni dovranno decidere se uscire o far parte di un nuovo Consorzio. Fino al 31 ottobre la continuità verrà assicurata dagli attuali Commissari delle Province. Entro quella data dovrà essere approvata la legge che prevede il trasferimento delle funzioni dal vecchio al nuovo ente.

I dubbi
La riforma c’è. Ma adesso va “riempita”. Ed è questa una delle critiche maggiori riservate alla legge del governo. “Avevamo chiesto, e Crocetta aveva sbandierato – ha detto il capogruppo del Pds, Roberto Di Mauro – una vera riforma, con l’abolizione delle Province e il trasferimento di competenze, strutture e risorse a nuove strutture più legate al territorio e ai cittadini. Alla fine di questa lunghissima maratona siamo invece arrivati…all’ennesimo rinvio, con una proposta di competenze da attribuire ai Consorzi talmente generica e vaga da rasentare il ridicolo”. Secondo il capogruppo del Ncd Nino D’Asero, “rimangono i forti crucci sulla mancanza dell’elezione diretta degli organismi e su quella di uno strumento atto a guarire i mali endemici e secolari degli enti locali: burocrazia elefantiaca, assenza di semplificazione, qualità dei servizi”, mentre per il capogruppo e il vicecapogruppo di Forza Italia, Marco Falcone e Vincenzo Figuccia, quella che verrà approvata sarà “una norma che, rinviando ad altra norma, creerà confusione e aggravamento dei costi”.

Il capogruppo del Cantiere popolare Toto Cordaro invece, sottolinea come “qualsiasi trionfalismo di oggi potrebbe trasformarsi in una disfatta domani. E ciò perché, intanto, la legge deve essere ancora approvata. Ma soprattutto in ragione di una pressocche’ certa impugnativa da parte del Commissario dello Stato”. Già, anche stavolta i dubbi non mancano. Dalle città metropolitane, non previste dallo Statuto speciale, all’elezione di secondo grado. E la figura di Carmelo Aronica ha più volte fatto capolino in occasione della discussione a Sala d’Ercole. Solo il tempo dirà se i fantasmi si trasformeranno in realtà. Se la riforma epocale si trasformerà in una clamorosa batosta.


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